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Italia, zero in condotta



Mauro Buonocore




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A parlare di educazione e di scuola viene subito in mente una parte della nostra vita, un segmento della nostra esistenza che, volenti o nolenti, con successo o meno, abbiamo dedicato alla formazione dei nostri saperi. Il concetto di scuola si associa ad un periodo limitato, agli anni più giovani delle elementari, le medie, le scuole superiori e poi, per alcuni, l'università. Superati questi anni il concetto e la parola "formazione" appartengono ormai al passato, abbandonati al ricordo, mentre il nostro presente appartiene al posto di lavoro.

Eppure così non è. Anche una volta che si è entrati nel mondo delle professioni non si può dire di avere chiuso definitivamente con la scuola e con l'apprendimento. L'ampliamento del mercato del lavoro, la velocità con cui le tecnologie si aggiornano e cambiano mutando il modo di utilizzarle, la necessità di affrontare i problemi con un bagaglio di saperi che sia il più ampio e dinamico possibile: sono questi tutti fattori che ci chiamano ad aggiornare le nostre conoscenze, a mantenerle sempre fresche, a non far scadere il nostro sapere.

L'Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) dedica ai temi dell'educazione una Commissione formata dai Ministri dell'Istruzione dei trenta paesi membri che periodicamente si riuniscono con lo scopo di realizzare una strategia a vasto raggio per l'apprendimento che duri tutta la vita. In Italia la chiamiamo "educazione permanente", nel mondo anglosassone la definiscono long life learning, ma, al di là delle sfumature semantiche, si tratta della stessa cosa, cioè di creare e mantenere istituzioni dedicate ad un apprendimento che si sviluppi lungo tutto l'arco della vita e mettere in piedi delle politiche efficaci affinché ciascuno sia motivato e attivamente incoraggiato ad imparare non solo negli anni della gioventù.

L'educazione permanente si basa su una concezione dell'apprendimento che abbraccia tutti i contesti: certo la scuola, ma anche gli ambienti sociali in cui il sapere si traduce in uno strumento di analisi e di comprensione del mondo circostante, gli spazi quindi in cui la conoscenza si fa elemento di crescita della persona, dall'ambiente domestico al posto di lavoro fino ad una semplice chiacchierata tra amici.

Jacques Delors, presidente della Commissione Internazionale sull'Educazione per il XXI secolo presso l'Unesco, ha ribadito questo concetto in un libro intitolato Nell'educazione un tesoro (Unesco-Armando Editore, 1996): il sapere, dice Delors, "è un mezzo prezioso e indispensabile che potrà consentirci di raggiungere i nostri ideali di pace, libertà e giustizia sociale, uno dei mezzi principali per promuovere una forma più profonda e più armoniosa dello sviluppo umano, e quindi per ridurre la povertà, l'esclusione, l'ignoranza, l'oppressione e la guerra".

L'occasione per parlare di questi temi, e di come l'Italia risponde alle domande dell'educazione permanente, è data dall'inaugurazione del ventesimo anno accademico dell'Università di Castel Sant'Angelo (Ucsa), istituto che negli ultimi due decenni ha rappresentato una realtà in fatto di educazione a tutte le età. Nella Sala della Promoteca in Campidoglio, a Roma, la cerimonia di inaugurazione ha avuto per protagonista il ministro delle Politiche Comunitarie Rocco Buttiglione.

"Secondo i dati Ocse - ricorda il presidente dell'Ucsa Saverio Avveduto - nella fascia d'età tra i 25 e i 64 anni sono in testa per scolarità, sapere diffuso e ricerca scientifica, la Finlandia e poi Germania, Francia e Regno Unito".

E l'Italia? Non segue da vicino i grandi partner europei? Non in questa speciale classifica, dove il nostro paese si attesta costantemente tra gli ultimi quattro o cinque posti. E cercare le cause di questa situazione non è impresa tanto difficile, è anzi lo stesso ministro Buttiglione che lo ricorda: "Devo ammettere che la finanziaria ha un buco: la ricerca scientifica".

Dunque i governi italiani, e questa è una costante che si ripete negli anni, spendono poco per finanziare la scuola e la ricerca scientifica, e di questa situazione l'educazione permanente ne risente in maniera evidente; eppure una soluzione andrà pure trovata. "Io ho fatto una proposta che certamente agli orecchi di molti di voi suonerà impopolare - continua il ministro di fronte ad una platea composta tra l'altro da molti giovani delle scuole superiori - la mia idea è quella di una tassa di scopo: si potrebbe ad esempio aumentare il costo dei tabacchi e orientare il ricavato verso la ricerca scientifica".

Sostenere e finanziare l'educazione di un paese non vuol dire soltanto migliorare le condizioni della scuola e dell'università, ma rendere i cittadini e le fasce produttive della popolazione in grado di rispondere alle domande dello sviluppo tecnologico, economico e sociale, significa dotarli degli strumenti che li rendano in grado di guardare al mondo con occhio cosciente, metterli in condizione di capire i cambiamenti e di affrontarli con abilità e prontezza. "E' importante porre l'attenzione su questi temi - conclude Buttiglione - perché il nostro futuro dipende dai brevetti, dalla ricerca, dalla formazione e dall'educazione permanente".

 

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