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Un liberale a favore delle riforme sociali



Hans Albert con Giancarlo Bosetti



Il prossimo numero di Reset, in edicola a metà luglio, sarà interamente dedicato a Karl Popper, in occasione del centenario della sua nascita. Oltre a un lungo saggio di Hans Albert, che racconterà la sua collaborazione con il famoso epistemologo viennese, troverete poi due ampi dossier, uno dedicato alla filosofia della scienza, l’altro al pensiero politico di Popper. Interverranno tra gli altri: Dario Antiseri, Karl Otto Apel, Giulio Giorello, Peter Munz, George Soros, Helmut Schmidt, Havel Vaclav, Salvatore Veca.


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Professor Albert, se dovesse illustrare i meriti teorici di Popper, da dove comincerebbe?

Comincerei dalla sua teoria della conoscenza.

In questo campo che cosa ha aggiunto Popper al pensiero occidentale?

Ha dato una nuova interpretazione della razionalità critica in relazione in primo luogo alla scienza e al suo sviluppo. E l’ha elaborata prendendo le mosse dalle sue discussioni con il Circolo di Vienna e dalla sua critica del kantismo. Da lì nacque il suo primo libro I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza. In generale domina l’impressione che Popper abbia sviluppato le sue concezioni solo nel quadro della critica alle posizioni filosofiche del Circolo Viennese, cioè al positivismo logico. In realtà egli si è scontrato non solo con il positivismo logico, ma anche con certe versioni del kantismo. Il che non vuol dire che non si sia lasciato ispirare anche da idee kantiane.

Allora ci spieghi meglio qual è il rapporto di Popper con Kant?

In sintesi direi che Popper ha compiuto una trasformazione del pensiero kantiano in direzione di un realismo metafisico. Come è noto, si parla di Kant come di un idealista trascendentale. Popper aveva l’impressione che la definizione “idealismo trascendentale” fosse fuorviante. In realtà c’è una tendenza in direzione del realismo che si è affermata anche nella tradizione kantiana, sia pure con figure minori come Oswald Külpe, che ha tratto da Kant un’interpretazione realistica. Popper fa parte di questa tradizione, sebbene si riferisca raramente a Külpe. Egli ha lavorato autonomamente su questo tema fornendo una interpretazione originale del pensiero trascendentale di Kant. In particolare ha ripreso da Kant la questione delle condizioni che rendono possibile la conoscenza, e l’ha affrontata in senso realistico. Nella sua prima opera pubblicata, Logica della scoperta scientifica, questo non emerge in maniera molto chiara.

In quel libro era centrale il suo disaccordo con le posizioni del Circolo di Vienna, dove si era sviluppata una teoria del significato basata sul concetto di verificabilità.

A questo proposito ci sono due cose da notare: in primo luogo, il fatto che il Circolo di Vienna elabora una teoria empirica della scienza; ed in secondo luogo, il fatto che tale teoria è legata alla mancanza di senso della metafisica, e dunque alla necessità che le proposizioni portatrici di senso possano essere verificabili. Si deve essere in grado di provare la propria verità sulla base di osservazioni empiriche, oppure si tratta di verità esclusivamente logiche o matematiche. Le affermazioni di tipo metafisico non sono né verificabili né falsificabili, e dunque sono prive di qualsiasi senso teorico.

Lei parla di realismo kantiano, ma per la filosofia kantiana non è certo che il mondo esista realmente, perché le “cose in sé” sono “noumeni”, al di là di un limite dove la nostra mente non può arrivare a certezze realistiche.


Kant era un idealista trascendentale, ma era anche un realista metafisico. Ciò implica che accettava il fatto che la realtà esiste, anche se noi non possiamo riconoscerla. Quello di Kant è un realismo minimale. Per lui ciò che noi siamo in grado di riconoscere - il mondo dell’apparenza - si costituisce attraverso la nostra capacità di riconoscere. Il fatto che, ciononostante, la cosa in sé esista, resta comunque un punto controverso, così come il modo in cui sia da interpretarsi lo stesso concetto di cosa in sé. Esiste una realtà, ma noi non possiamo riconoscerla. L’esistenza, la cosa in sé, in Kant viene data come premessa. Questo crea una difficoltà: come si può sapere che la cosa esiste, se il sapere è costituito solo da apparenze?

Popper si libera da questa prigionia dei fenomeni ed elabora addirittura una teoria dei tre mondi - mondo uno, mondo due, mondo tre -: ma come ci riesce?

La dottrina dei tre mondi si presenta soltanto nella sua tarda filosofia. All’inizio, egli si è limitato a scrivere sulla logica della ricerca, criticando il principio della verificabilità caro al circolo di Vienna, un principio dal quale discendeva la conseguenza che la metafisica sia senza senso. Popper ha dimostrato che, in base al principio della verificabilità, non si possono comprendere le scienze naturali. Se si prende il Tractatus di Wittgenstein, che ha influenzato il Circolo di Vienna, si vedrà come le leggi delle scienze naturali, per Wittgenstein, non esistono affatto, dal momento che non sono verificabili. In questo modo, però, se si rimane dentro quella visione, non si può neppure rendere giustizia alle più importanti affermazioni della scienza. Popper dirà dunque che le leggi della scienza sono falsificabili, ma non verificabili, e su questo costruisce una teoria sul modo in cui possa render conto del funzionamento della scienza. Al posto di teoria della verificabilità del senso, Popper introduce una teoria della “messa alla prova” delle affermazioni scientifiche. Si tratta di qualcosa di completamente diverso.

E come si passa dalle verità scientifiche a quelle metafisiche?

Popper non parla del senso o della mancanza di senso, ma vuole addirittura provare che, se le affermazioni scientifiche hanno senso, anche le affermazioni metafisiche devono necessariamente averlo. Quando si formula una legge causale, allora esiste un rapporto logico tra questa legge ed un principio causale generale, secondo il quale tutto ciò che è causale è spiegabile e si possono spiegare tutte le apparenze con l’aiuto delle leggi causali. Per questo sono possibili proposizioni metafisiche. Esistono relazioni logiche tra proposizioni metafisiche e proposizioni scientifiche. Se le seconde sono portatrici di senso, altrettanto possono esserlo le prime.

Qual è la novità popperiana dal punto di vista del metodo?

Popper è stato il primo a sviluppare, entro la logica della ricerca, una metodologia revisionistica delle scienze. Tutte le affermazioni scientifiche sono sostanzialmente delle ipotesi, e tali rimangono. Esse possono essere messe alla prova, alla luce delle osservazioni, ed in questo modo possono essere rifiutate o accettate; ma restano sempre e comunque delle ipotesi, giacché deve essere sempre possibile respingerle in un momento successivo. Questo è il nocciolo della sua metodologia revisionistica, che in generale è stata chiamata “falsificazionismo”.

La Società aperta e i suoi nemici viene dopo. E che cosa rappresenta?

Sì, viene più tardi ed è il suo contributo alla guerra. Ma la Società aperta sta in relazione con la Logica della scoperta scientifica, poiché il criticismo della scienza viene esteso all’intera società. Una società aperta è una società in cui è possibile la critica rispetto non ad affermazioni scientifiche, bensì a proposte politiche. Si tratta di una relazione significativa, perchè qui Popper vede la scienza stessa come fenomeno sociale, come una società degli scienziati. La scienza stessa rappresenta un modello di società aperta. La teoria della scienza sta indubbiamente sullo sfondo della società aperta.

Forse a causa del suo anticomunismo, Popper è stato considerato un conservatore negli anni Sessanta, Settanta, ma sappiamo bene che in realtà Popper era un riformista, un progressista.

Popper era un socialista revisionista, alla maniera, se vuole, di Edward Bernstein. Ma all’inizio era stato comunista, sia pure per un brevissimo periodo.

Sono passati otto anni dalla sua morte. Dovremmo finalmente collocare con equilibrio il pensiero politico di Popper.

Era un liberale, ma un liberale che ha sostenuto la possibilità delle riforme sociali, le quali conducono al superamento dei grandi mali dell’umanità. Non è possibile creare una società che renda tutti felici, ma possiamo tentare di superare i grandi mali, e questo si fa attraverso le riforme sociali. Una società che voglia fare felici åtutti, finisce probabilmente col rendere infelice la maggior parte delle persone.

In alcuni articoli e interviste Popper sosteneva di essere vicino alle posizioni socialdemocratiche, si dichiarava favorevole a politiche economiche keynesiane, diceva che la priorità per i governi doveva essere la lotta alla disoccupazione.

La disoccupazione è uno dei grandi mali che si dovrebbero cercare di superare, questo mi è stato sempre chiaro, anche se non sono uno specialista di questioni economiche. Certo Popper parlava della necessità di mutamenti istituzionali e di riforme di carattere generale, non si occupava di singole questioni politiche. Questi temi di riforma, nella sua visione gradualista - il piecemeal social engineering - lui la ancorava al diritto e alle istituzioni della società aperta. Di singoli e specifici interventi Popper non si occupava.

Il Novecento è stato un secolo, tra le altre cose, di forti contrapposizioni teoriche, ideologiche, filosofiche: da una parte i continuatori del progetto illuministico, i razionalisti, modernisti, dall’altra i vari rappresentanti della critica della modernità e della ragione. Pensiamo ai contrasti tra il positivismo e lo scientismo da una parte e il pensiero nietzscheano o heideggeriano dall’altra. Nell’ultima fase del secolo i contrasti teorici sembrano attenuarsi o passare in secondo piano rispetto a quelli politici. Oggi Habermas, Vattimo o Derrida dialogano con una certa facilità, Popper al solo nominare Heidegger si irritava e passava ad argomenti pesanti: le sue simpatie per Hitler…

Heidegger non ha colpa dell’olocausto. Fu a lungo nazista, ma credo che la sua filosofia debba essere giudicata indipendentemente da questo. Credo che Popper non abbia mai letto Heidegger. A me ha sempre detto: non entrare in quella palude. Non ha mai letto neppure Habermas o Adorno. La considerava una perdita di tempo. Ma io ho letto Heidegger: non si può giudicare tutta la sua filosofia sulla base del fatto che per un certo tempo ha fatto gli occhi dolci a Hitler. Nonostante questo, la sua filosofia avrebbe potuto essere buona; io la trovo miserabile in se stessa. E trovo inutili anche i tentativi di Vattimo di raccapezzarsi in quelle frasi spaventose.

Come vuole tentare di tradurre Heidegger? “Der Sprung ist der Satz aus dem Grundsatz vom Grunde in dem Sagen des Satzes…” È un giochetto. Ma è la frase centrale nel mezzo di Essere e tempo. Il suo Essere è l’abisso! Heidegger non conosce abbastanza la logica. Oppure pensi a quest’altra: “Das Gestell ist das Versammeln jenes Stellens, das den Menschenstellt, das wirklich…” etc etc, ma questo è solo un crampo! Così si ammazzano gli studenti… “Musica di vocaboli”, diceva Vilfredo Pareto. Vede, prima, Heidegger è stato un filosofo cattolico, che voleva impadronirsi della logica e del tesoro della verità cattolica; era un realista o qualcosa del genere. E poi, piano piano, è passato a fare poesia con i concetti. E infine è arrivato alla musica rock!

Vedo che lei non intende affatto abbandonare il terreno della polemica teorica contro le scuole filosofiche antirazionalistiche, postmoderniste e così via.

Esattamente, e intendo polemizzare molto, e difendere, molto, il modernismo contro il costruttivismo, una filosofia idiota. Avete presente il costruttivismo radicale? Un mondo è mia invenzione, anche se in realtà non esiste affatto. Quando uno li attacca, allora dicono, improvvisamente, che la nostra teoria sono le nostre costruzioni. Ma se “il mondo è una nostra costruzione” allora abbiamo trascinato l’idealismo trascendentale fino all’arbitrio.

Eppure è difficile trovare contrasti filosofici aperti tra scuole diverse. Tendono a non combattere, e sembra che preferiscano dividersi il territorio accademico: ognuno va avanti con i suoi seguaci, si dibatte solo all’interno delle singole scuole.

Non è il mio metodo: io ho sempre delle controversie in corso. Da studente sono stato seguace di Oswald Spengler, e poi in uniforme e dopo la guerra lo sono stato di Benedetto Croce: la logica dello Spirito, la logica come scienza del puro concetto. Ho letto tutto in tedesco. Poi mi sono avvicinato a Hartmann e Jaspers, poi Carnap. Confesso che ogni volta ero tentato di dare ragione all’autore che leggevo. Ma tutti questi autori si contraddicevano l’un l’altro. E allora? Che cosa si può fare? Si può cercare di imparare la logica per venire a capo dei problemi teorici.

La sua proposta è allora quella che i vari modelli filosofici devono confrontarsi e combattere l’uno contro l’altro?

Sì, senza violenza, però. Se si combatte con le parole, può essere una buona cosa. Io sono un po’ polemico. Habermas ha un vero talento nel confronto pubblico. Io invece sono più polemico. Popper mi diceva spesso che una discussione in cui tutte le persone siano sostanzialmente della stessa opinione, in generale non è molto fruttuosa. Quanto più il punto di vista è distante, tanto più la discussione può diventare utile. Si può imparare di più dalle persone quanto più ci si trova lontano da esse. Non che si debba accettare quel che dicono gli altri, ma è sempre possibile cambiare o migliorare il proprio punto di vista. Non è necessario trovare il consenso, come nell’ideologia del consenso di Habermas. Nicholas Rescher, un filosofo di Pittsburgh, ha scritto un bel libro su questo, Pluralism Against the Request of Consensus, un libro meraviglioso. Si possono tranquillamente avere opinioni diverse, e conservarle. Io ho discusso sempre volentieri con i filosofi, anche con le correnti più distanti da me, perché no?

E Popper?

Popper era un uomo difficile, nelle discussioni era un avversario veemente. Ed era sempre convinto che i suoi argomenti fossero tali, che l’altro dovesse necessariamente accettarli, anche quando diceva: “I may be wrong”, “Potrei sbagliare”. Io stesso ho sperimentato il fatto che anche con i suoi allievi, quando erano di diversa opinione, diventava furioso. Ma dopo, si scusava sempre della sua rabbia.


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