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Rane, gru e teste di leone



Antonia Anania



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E’ vincente la prima volta di Luca Ronconi al Teatro greco di Siracusa. Lo dicono quelli che lavorano dietro le quinte: i tecnici, le sarte, i macchinisti che con l’arrivo del regista hanno dovuto tacchiare, come si dice in Sicilia, darsi una mossa, visto che durante le prove, si iniziava a lavorare alle otto di mattina e si finiva a mezzanotte, senza lunghe interruzioni. Lo dicono le due e pure tremila persone che in media, affollano la cavea del teatro ogni pomeriggio e che diventano seimila, nei giorni di posto unico, quando si paga uguale in qualsiasi settore siedi. Gli hanno dato ragione e hanno deciso di assistere alla sua trilogia.

Sua perché Ronconi ha cercato i fili che unissero due tragedie e una commedia. Col risultato che le ha allestite come se fossero in continuazione l’una dell’altra, anche se le differenze cronologiche e di stile sono inequivocabili. Il Prometeo Incatenato di Eschilo di Ronconi finisce con l’accensione del fuoco dalla mano di un’enorme statua del protagonista? E allora con una vampata di fuoco che esce dalla reggia di Penteo iniziano le sue Baccanti di Euripide. E se questa tragedia si conclude con la morte del giovane re portato via da Dioniso, la commedia, Le Rane di Aristofane, si apre con Dioniso che deve entrare da vivo nell’Oltretomba, dove proprio i tragediografi del Prometeo e delle Baccanti, Eschilo ed Euripide, si prenderanno a versi in una sorta di processo-quiz televisivo, che deciderà chi potrà risalire sulla terra per salvare la città corrotta.

A un regista eccellente attori convincenti. E allora ecco, in ordine alfabetico, Warner Bentivegna l’ormai famoso Ing. Duprè della saga televisiva Incantesimo. Franco Branciaroli che in queste stagioni teatrali abbiamo visto ne La moscheta di Ruzante. Giovanni Crippa, attore caro a Bentivegna (nei camerini erano spesso insieme a parlare di teatro). Massimo De Francovich, il maestro. Antonello Fassari più visto al cinema che a teatro, e di cui pochi sanno che ha fatto l’Accademia e che da grande voleva fare l’attore tragico ma veniva preso quasi sempre per parti comiche. La grande Anna Maria Guarnieri, la sorprendente e intensa Laura Marinoni, l’energico trascinatore Massimo Popolizio. Un’insolita Galatea Ranzi, soprattutto nella parte di Agave nelle Baccanti, dove mostra di saper fare non solo parti intimiste. Stefano Santospago, nuovo e vigoroso acquisto del Piccolo. Luciano Virgilio che regala interpretazioni tenaci.
E allora raccontiamola, questa trilogia.

Prometeo Incatenato di Eschilo, traduzione Dario Del Corno, scene Margherita Palli, costumi Gianluca Sbicca, Simone Valsecchi, movimenti mimici Marise Flach. Con Franco Branciaroli, Emanuele Vezzoli, Luciano Virgilio, Warner Bentivegna, Laura Marinoni, Stefano Santospago, Galatea Ranzi, Paola Bigatto, Margherita Di Rauso, Elisabetta Femiano, Clara Galante, Anna Gualdo Giorgia Senesi. Dura un’ora e mezzo. Ogni martedì e venerdì, fino al 29 giugno.

Prometeo è interpretato da Franco Branciaroli, una parte che potrebbe sembrare inconsueta a chi l’ha apprezzato nelle stagioni scorse in vesti più comiche e giullaresche. Ma a ben vedere e a ben pensarci questa è per l’attore una parte azzeccata, perché il semi-dio è un trickster, ossia un giullare “trafficone”, un Robin Hood greco che ha rubato il fuoco agli dei per donarlo agli uomini e ora per punizione divina viene incatenato a una roccia. Rimarrà lì per intere generazioni e il suo corpo sarà mangiato dal cane alato di Zeus, fino a quando non si pentirà e svelerà al re dell’Olimpo il termine del suo regno. Bella prospettiva, ma Prometeo, testardo e sicuro di avere ragione, non accetta e non si piega ai compromessi del capo. Resterà dunque in eterno incatenato sia nella storia vera e propria che nella letteratura, visto che della trilogia di Eschilo su questo semi-dio, non ci è giunta la tragedia dedicata alla sua liberazione.

Nella messinscena “la vetta più alta” è diventata un’enorme statua che raffigura Prometeo nell’atto di porgere la mano in segno di dono o di supplica. Prometeo-Branciaroli è incatenato sul ponte levatoio che si apre dalla testa della statua, probabilmente anche per mostrare che il titano è incatenato ai suoi pensieri, ancorato alle sue ragioni. Lì arrivano Kratos, Bia (Emanuele Vezzoli) ed Efesto (Luciano Virgilio) per assicurarlo alla roccia, Oceano (Warner Bentivegna) ed Ermes (Stefano Santospago) per convincerlo a cambiare idea. Sono tutti personaggi-attori che affrontano un notevole sforzo fisico e che prima sono volati nei cieli sopra il teatro (grazie a una controfigura) tramite un’altissima gru, che ha sorpreso non poco il pubblico e che riprende le ‘macchine teatrali’ usate un tempo dai greci.

Fanno da contraltare alla tenacia a tratti strafottente e orgogliosa di Prometeo, la grazia e la delicatezza del coro: “Sono ali che battono leggere, e l’aria risponde con un fruscio” dice Prometeo. Sono le figlie di Oceano, che gli parlano da basso, dal “mare”, vasche di acqua che si smuove al loro incedere e provoca suoni piacevoli quasi intonati con le voci di queste fanciulle. Parlano con tranquillità. Sembrano leggeri e delicati fantasmi con vestiti color crema di fine Ottocento, tutti pizzi e merletti, e parrucche biondo-bianche. Vedendole così, riaffiorano alla memoria anche le giovani eroine di certi romanzi a cavallo tra Otto e Novecento. O l’immagine di un quadro liberty, Ofelia sott’acqua. Poi invece, fanno da contraltare a questa delicatezza, la frenesia e la disperazione di Io, interpretata da una strepitosa Laura Marinoni, “vergine con le corna” assillata da un tafano che la morde e non le dà pace.

La prima volta de Il Prometeo Incatenato a Siracusa fu nel 1954. Quell’anno al posto di Franco Branciaroli c’era Vittorio Gassman diretto da Guido Savini. Quest’anno Caffè Europa ha avuto la fortuna di sedersi accanto a chi c’era anche negli anni Cinquanta, e alla fine dello spettacolo di Ronconi queste sono state le sue parole: “Quello con Gassman era un Prometeo magniloquente e altisonante, questo mi è sembrato più umano”.

Versi scelti: Prometeo: Ho tolto agli uomini l’attesa della morte; Corifea: Che farmaco hai trovato per quest’ossessione?; P.: Un pensiero cieco - la speranza (…) e poi, agli uomini ho dato il fuoco per compagno (…) e con il fuoco apprenderanno molte arti. (…) io ho messo in loro la ragione, li ho resi padroni dei loro pensieri.

Baccanti di Euripide, traduzione Maria Grazia Ciani, scene Margherita Palli, costumi Gianluca Sbicca, Simone Valsecchi, movimenti mimici Marise Flach. Con Massimo Popolizio, Luciano Virgilio, Warner Bentivegna, Giovanni Crippa, Riccardo Bini, Luciano Roman, Massimo De Francovich, Galatea Ranzi, Paola Bigatto, Margherita Di Rauso, Elisabetta Femiano, Clara Galante, Anna Gualdo, Franca Penone, Giorgia Senesi, Domenico Bravo, Mario Cei, Franco Colella, Maurizio Gueli, Igor Horvat, Mauro Malinverno. Dura due ore. Fino al 29 giugno, ogni mercoledì e sabato.

Il fuoco all’interno della reggia e i rumori tipici di una città moderna aprono la scena delle Baccanti, tragedia che prende nome dal coro che non ha più la delicatezza tipica delle Oceanine. E’ formato da donne in preda al furore e poi al sonno dionisiaco. Hanno parrucche rosso-brune e vestiti scuri da campagna. I loro toni di voce sono più vigorosi e a tratti parlano come sotto ipnosi. “Le Baccanti sono il coro più faticoso da interpretare -racconta Giorgia Senesi-. Ci sono molte entrate e molte uscite. Dobbiamo apparire stanche e invasate. Io le ho pensate un po’ streghe, un po’ profughe, e anche un po’ monache, visto che erano le sacerdotesse di Dioniso”.

La storia racconta che a Tebe tutti sembrano accettare il culto del dio Dioniso (Massimo Popolizio). Anche l’indovino cieco Tiresia (Luciano Virgilio) e l’anziano fondatore Cadmo (Warner Bentivegna), anziani di buon senso. Anche la figlia Agave (Galatea Ranzi) che insieme alle sorelle, guida le donne nei boschi per un folle baccanale. Tutti tranne il giovane re Penteo (Giovanni Crippa), che anzi ordina di imprigionare questo straniero venuto dall’Asia. Dioniso con i suoi straordinari poteri, frantuma i muri della prigione, e alquanto arrabbiato, muove vendetta: convince Penteo che per cacciare le Baccanti, bisogna travestirsi come una di loro, con una veste di lino, una parrucca di capelli lunghi e folti, nastri, il tirso e pelle maculata. Ma nei boschi le donne invasate lo credono un leone e iniziano una folle caccia. Agave soddisfatta della preda, ritorna a Tebe con la testa del leone, o almeno pensa-vaneggia che sia così. In realtà è la testa di suo figlio. Dioniso ha vinto.

Massimo Popolizio interpreta un dio al quale non si può resistere, che veste tuniche lunghe come lunghi sono i suoi capelli biondi. Affascina tutti, soprattutto i ragazzi, ai quali strappa applausi ad ogni uscita. La sua voce è stentorea, sicura, potente -in certi momenti è come se rappasse- e a tratti anche femminea: “E’ un dio fatto per piacere alle donne”, gli dice Penteo. Massimo De Francovich invece affascina soprattutto chi ha visto altre messinscene delle Baccanti e può fare il confronto. La sua parte, il secondo messaggero è un vero cammeo: la scena è spoglia, le donne del coro sono ancora per terra in preda al sonno estatico post-tarantola, lui siede e racconta i fatti; non c’è bisogno di movimenti fisici per narrare, basta la forza della sua voce che ammalia gli spettatori. Giovanni Crippa interpreta il razionale Penteo, davvero credibile quando inizia a cambiare idea o meglio a diventare folle per volere di Dioniso: si traveste da donna su indicazione del dio e prova la danza col tirso.

Versi scelti: Dioniso: Donne l’uomo è nella rete. Andrà dalle baccanti e pagherà le sue colpe con la morte. Dioniso ora tocca a te. (…) Insinua nella sua mente un barlume di follia. (…) E’ a te che parlo, Penteo, ti voglio guardare nelle tue vesti da femmina: per spiare tua madre e il suo corteo di donne, ti sei travestito da mènade. (…) Penteo: Mi sembra che tutto sia doppio. Vedo due soli e due città (…) e tu, che cammini davanti a me, mi sembri un toro, sì, sulla tua testa sono spuntate delle corna. Eri forse già prima una bestia? Perché ora ti sei trasformato in un toro. (…) Coro: Le forme del divino sono infinite; e infiniti i miracoli compiuti dagli dei. Ciò che è atteso non si avvera, per ciò che non è atteso il dio trova la strada.

Rane di Aristofane, traduzione Raffaele Cantarella, Scene Margherita Palli, costumi Gianluca Sbicca, Simone Valsecchi, movimenti mimici Marise Flach. Con Massimo Popolizio, Antonello Fassari, Stefano Santospago, Domenico Bravo, Maurizio Gueli, Anna Maria Guarnieri, Paola Bigatto, Domenico Bravo, Mario Cei, Francesco Colella, Margherita Di Rauso, Elisabetta Femiano, Clara Galante, Anna Gualdo, Igor Horvat, Mauro Malinverno, Franca Penone, Giorgia Senesi, Luciano Roman, Emanuele Vezzoli, Riccardo Bini, Giovanni Crippa. Durata, due ore e un quarto. Fino al 29 giugno, ogni giovedì e domenica.

Capita poche volte di vedere a teatro una commedia greca. Già per questo le Rane di Aristofane costituivano una bella novità appena era stato annunciato il ciclo tragico 2002 dell’Inda (Istituto Nazionale del Dramma Antico). Poi, prima della prima, ecco insorgere le polemiche sui manifesti assemblati e deformati di Berlusconi & c. che dovevano far parte della scenografia della commedia e che risultavano scomodi al viceministro Gianfranco Miccichè e al ministro Stefania Prestigiacomo.

Dopo tre settimane, sulla questione la gente di Siracusa si divide, tra chi dice che la polemica era inutile e che sull’arte non si discute e chi, invece, o di destra o di sinistra, non accetta le attualizzazioni, perché sta allo spettatore leggere dentro le parole della commedia ogni riferimento a persone e fatti reali.

Fatto sta che adesso sulla scena, quei cartelloni tanto polemizzati e pubblicizzati non ci sono più. Sono rimaste le strutture di ferro che dovevano contenerli, forse a mo’ di ricordo. Per il resto, l’Ade dell’allestimento di Luca Ronconi è una sorprendente e vasta officina di sfasciacarrozze con sedili e macchine nere ed enormi da cui escono strani personaggi dell’Ade: donne in disabillè ancelle di Persefone (Franca Penone), uomini travestiti da ostesse (i divertenti Francesco Colella e Mauro Malinverno), er coatto Eracle (Stefano Santospago) tutto muscoli e collane d’oro al collo che arriva su un camion.

Una situazione trash dove il protagonista Dioniso (Massimo Popolizio) e il suo servo-compare Xantia (Antonello Fassari) non sono da meno: due burini romani trucidi, grassi e irresistibili. La situazione è così fuori da far morir dal ridere, anche quando questo Dioniso così sfasciato, e che spesso ricorda Aldo Fabrizi nei modi e nelle intonazioni, deve giudicare i due grandi tragici sdegnosi e saputelli, Eschilo (Giovanni Crippa) ed Euripide (un efficace Riccardo Bini), per decidere chi dei due riportarsi sulla terra: “(…) io da solo, non mi sento di giudicare (…) l’uno lo ritengo bravo e l’altro mi piace”.

Le rane sono il primo coro della commedia. “Brekekekèx koàx koàx”è il verso che fanno nella palude che Dioniso attraversa con Caronte (Maurizio Gueli) in Renault 4. E “Brekekekèx koàx koàx” è il verso che Dioniso non può sopportare e al quale risponde con dei grossi peti. La corifea delle rane è la strabiliante Anna Maria Guarnieri: sollevata da una botola, a mezzo busto e con un vestito verde, parla modulando la voce sul tipico gracidare delle rane. E’ uno spettacolo. Così come uno spettacolo è il momento del processo: il capo (Luciano Roman) del secondo coro -gli iniziati, vestiti di bianco, eterei e tranquilli- diventa una specie di conduttore televisivo e anima la gara. Altro spettacolo, la pesatura della poesia con una bilancia alla quale si attaccano i due tragici che vengono sollevati da terra tramite gru. Vince sempre Eschilo perché i suoi versi sono pieni di carri, morti e buoi e dunque più pesanti di quelli euripidei, alati e poco ingombranti. Alla fine anche Dioniso dovrà dare la vittoria a Eschilo. E torneranno insieme ad Atene-Roma da tempo corrotta.

Versi scelti: Plutone: Buon viaggio, dunque, Eschilo: salva la patria nostra con buoni consigli e ammaestra gli stolti. (indicando il pubblico) Sono tanti! E (porgendogli una spada) questa, portala a Cleofonte; e questo (porgendo un cappio), agli agenti delle imposte, a Mirmèce e Nicòmaco insieme; e questa (porgendo una coppa piena di cicuta), ad Archènomo. E digli che vengano subito qui da me, senza indugio.

 

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