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Quando eravamo insieme all’Accademia



Roberto Herlitzka e Walter Maestosi con Antonia Anania



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“Lettura colorita. Aspetto meschino, brutto. Recita male. Pronunzia dialettale (molto). All’improvviso, mediocremente”. Questo il responso del provino che Carmelo Bene fece per essere ammesso all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Correva l’anno 1956. A Roma si faceva la dolce vita. E l’aspirante attore fu dichiarato idoneo, con un mediocre D.

“A quell’epoca era già più o meno come sarebbe diventato, -ricorda Roberto Herlitzka, suo compagno di corso-. Molto estroverso. Io invece ero molto riservato, ma visto che a entrambi piaceva recitare versi a raffica, iniziammo a frequentarci, a uscire insieme la sera, ad andare per bar. Ogni tanto mi parlava di sé ma sempre in modi immaginifici, tanto che di lui conoscevi le fantasie, mai le notizie vere. In Accademia ne combinava una più del diavolo e non venne cacciato già al primo anno solo grazie a Orazio Costa, il quale insistette per farlo rimanere e dargli un’altra possibilità: aveva visto in lui qualcosa di speciale”.

“Ci sorprendeva -ricorda Walter Maestosi-. Già durante il primo anno recitava a memoria ben quattro traduzioni dell’Amleto di Shakespeare, cosa che mai nessun altro allievo attore aveva pensato di fare. Fummo amici da subito. Preparammo insieme una lettura sui partigiani che venne presentata a Civitavecchia. Al secondo anno d’accademia, Ione Morino ci esortò a recitare insieme l’Anniversario di Cechov, io ero il presidente della banca, lui il contabile vecchio. Andavamo spesso a teatro a vedere i grandi, Renzo Ricci all’Eliseo in Misura per misura di Shakespeare e Carmelo rimase folgorato dalla sua recitazione. Credo che già allora avesse in mente di rivoluzionare la recitazione e la funzione dell’attore, prendendo però il meglio dei grandi interpreti di quel tempo, avendo come modello la recitazione di Ricci e l’impostazione di naso della voce, alla Gassman, per intenderci”.

Nel 1957, per l’esame del secondo anno, Carmelo Bene preparò la lettura proprio dell’Otello di Shakespeare, che poi letto e riletto, pensato e ripensato, codificato e decodificato, vent’anni dopo divenne l’Otello di Carmelo Bene, e quarantacinque dopo, il 18 marzo scorso, è stato il suo ultimo saluto al pubblico, post mortem, al Teatro Argentina di Roma. Ed è davvero curioso scoprire che Otello -protagonista passionale ed egocentrico che più che agire, rimugina e si rode mentalmente- abbia accompagnato Carmelo Bene dall’inizio alla fine della sua carriera. Quasi fosse il suo alter-ego.

Ritornando al ‘57, gli esaminatori notarono che l’allievo Carmelo era migliorato rispetto all’anno prima, quando aveva preparato Imbecille di Pirandello. Così migliorato che prese un bel C-B. Probabilmente anche grazie alla lettura del testo shakespeariano.

Al terzo anno però, decadde. Per condotta -“comportamento nell’insieme deprecabile, avvisare la famiglia”, si legge in una nota- e assenze varie. “Fu lui a mettersi nelle condizioni di essere mandato via, -commenta Walter Maestosi-. Aveva iniziato a fare comunella con Alberto Ruggiero, un allievo regista del primo anno, che veniva da Torino. E cambiò. Il suo rendimento era eccellente ma arrivava sbronzo alle lezioni, entrava negli spogliatoi delle ragazze. Insieme a Ruggiero, prendevano un taxi e poi scappavano senza pagare, rubavano le torte della pasticceria accanto all’Accademia. Erano trasgressioni fini a se stesse, ma che la 'Silvio D’Amico' non poteva certamente sopportare”.

In una lettera del 2 Marzo del 1959, il direttore scrisse: “L’allievo Carmelo Bene è sospeso da tutte le lezioni per un periodo di dieci giorni a grave mancanza di rispetto verso una compagna”. “Non so chi fosse questa compagna, -dice Roberto Herlitzka-. In quell’anno i nostri rapporti erano sempre meno stretti e ci vedevamo sempre di meno. Carmelo si lasciò influenzare da Ruggiero, genialoide e demonio più di lui. Insieme costituirono una compagnia teatrale e debuttarono nel Caligola che Albert Camus aveva scritto intorno al 1945”.

“Quando lo misero in scena andammo a vederlo, -riprende Walter Maestosi. La regia era di Alberto Ruggiero, Antonio Salines faceva la parte di Scipione, Maria Elena Zen quella di Cesonia, Carmelo quella di Caligola, una figura estrema ‘in cerca della luna’ che lo affascinava sin dagli anni d’accademia. La critica li stroncò ma io mi accorsi che in quella messinscena, Carmelo era riuscito a rinnovare la tradizione senza rinunciarvi. Iniziarono per lui gli anni delle cantine romane. Mi chiamò spesso per lavorare insieme. Gli spiegai che stavo facendo un percorso diverso. E lui capì. Qualche anno dopo, lo incontrai a Torino: non aveva neppure i soldi per tornare a Roma. Faticava molto in quel periodo. Fu una lunga gavetta, durante la quale incamerò molta rabbia soprattutto nei confronti di quegli intellettuali che allora lo scansavano e che poi lo avrebbero osannato”.



P.S.: chiunque voglia sbirciare le pagelle di Carmelo Bene e degli altri allievi della “Silvio D’Amico” nei decenni dopo la seconda guerra mondiale, può visitare la mostra Roma 1948-1959. Arte, cronaca e cultura dal neorealismo alla dolce vita. Al Palazzo delle Esposizioni di Roma, fino al 27 maggio 2002.

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