Gli opposti, Hornby e Swift
Claudia Caporaletti e Andrea Tolu
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Gli opposti, Hornby e
Swift
“Ritrovare la propria storia è ormai imperativo categorico
per vincere la paura senza nome che attanaglia il singolo nella
società contemporanea, privandolo della propria identità.”
Silvia Albertazzi riassume così la narrativa inglese degli anni
Ottanta. Terminato il thatcherismo, la situazione sembra non essere
cambiata: mentre l’Inghilterra di Tony Blair è costantemente
proiettata verso il futuro, gli scrittori fanno i conti col passato.
I romanzi presentano quasi sempre uomini in crisi, alla ricerca dell’identità
perduta, incapaci di crescere, prigionieri, appunto, di un passato
che non riescono a decifrare, e di un presente carico di terrore.
Di recente, l’attenzione di registi, scrittori e giornalisti
sembra aver abbandonato le crisi degli adolescenti, per concentrarsi
sui loro fratelli maggiori (o sugli stessi adolescenti che nel
frattempo sono cresciuti solo anagraficamente), trentenni affetti
dalla cosiddetta “sindrome di Peter Pan”, incapaci di vivere, di
amare e persino - nei casi più gravi - di interagire con gli altri.
Bloccati dalle loro paure, dal terrore di essere costretti a
prendere un a decisione, sono decisi ad accontentarsi di quello che
hanno, senza mettere alla prova le loro potenzialità.
Come i personaggi di Nick Hornby, o se vogliamo, come l’autore
stesso, che nell’autobiografia calcistica Febbre a 90
racconta della sua ossessione per l’Arsenal e dell’incapacità
di dare una direzione alla propria vita. Attingendo dalla sua
esperienza personale, lo scrittore crea personaggi altrettanto
monomaniaci e immaturi: Rob Fleming in Alta fedeltà, patito
di musica, e Will Freeman in Un ragazzo, il cui obiettivo è
essere sempre, comunque, cool.

Sia Rob che Will conducono un’esistenza al di
sotto delle proprie capacità: terrorizzati dal presente,
preferiscono“esorcizzarlo”nascondendosi l’uno dietro il
bancone del suo scalcinato negozio di dischi usati, l’altro dietro
al lusso più ostentato per essere sempre alla moda. Pur
appartenendo a due estrazioni sociali diverse, (Rob proviene dalla
middle-class, Will è ricco grazie ai diritti di autore su una
canzone natalizia scritta da suo padre anni prima) condividono lo
stesso problema: una vera e propria incapacità, quasi congenita, di
gestire i rapporti umani, di provare sentimenti reali, di saper
vivere una vita che rispecchi la loro età anagrafica. Più
semplicemente, i personaggi di Hornby, sono degli immaturi privi di
qualsiasi giustificazione, alla perenne ricerca di un’identità
che sia definitiva come quella di un adulto, e non mutevole come
quella di un teenager.
La città nella quale questi protagonisti si muovono è la Londra
degli anni Novanta che, soprattutto Will vive come fosse ancora la swinging
city, caotica, colorata, camaleontica della sua adolescenza (e
di quella di Hornby, nato nel 1957). Esattamente l’idea dell’Inghilterra
che ha voluto dare il governo Blair, riproponendo l’immagine di un
paese popolato da teenager che si muovono tra vecchie vie
ricche di negozi dall’arredamento moderno e accattivante.
Non ci sono solo i trentenni però: la crisi può arrivare anche
dopo i quarant’anni. A occuparsi della mezza età ci ha pensato
Graham Swift. Londinese come Hornby, e di nove anni più vecchio,
Swift raggiunge il successo internazionale nel 1983 con Waterland,
una saga familiare ambientata tra le Fenland e Londra. Dopo le
accoglienze tiepide riservate alle due opere successive, l’ultimo
romanzo, Ultimo giro, la cui versione cinematografica è in
circolazione in questi giorni nelle sale inglesi, ha vinto il Booker
Prize nel 1996.
I personaggi di Swift sono un po’ troppo vecchi per scoprirsi
Peter Pan, e non devono fare i conti con ossessioni particolari, ma
con un passato doloroso, che devono necessariamente recuperare (non
a caso Waterland è costruito sulla metafora della ‘bonifica’,
in inglese re-claim), per risolvere la paralisi del presente.
Mentre Hornby può essere definito uno scrittore generazionale (i
suoi personaggi sono immersi nella stessa pop culture, hanno
gli stessi problemi con le donne, vanno incontro alle stesse
delusioni), questo non si può dire per Swift, che non racconta una
generazione, ma la vita di persone diversissime tra loro: il
fotoreporter giramondo e l’impiegato del ceto medio con manie
omicide, il professore universitario e il macellaio, il
fruttivendolo, l’impresario di pompe funebri di Bermondsey. Come a
dire che la crisi è un fatto essenzialmente umano, e colpisce
indipendentemente da età, collocazione sociale, grado di cultura.
Accostare Swift e Hornby è tuttavia un esercizio interessante,
perché alle spalle del loro comune interesse per la crisi ci sono
due concezioni molto diverse dello scrittore e della scrittura.
"These things that I write about," dice Hornby, "not
only have I experienced them, but they are unavoidable. I just use
what I've got." "For God's sake write about what you don't
know about!", è invece l'esortazione di Swift ai giovani
scrittori, perché quando il bagaglio di esperienze si esaurisce,
cosa resta da scrivere?
La realtà è per Hornby la principale fonte di ispirazione,
qualcosa dalla quale non si può prescindere, e questo fa sì che la
vita dell'autore si ripeta in qualche modo in quella dei
protagonisti. Così, per esempio, l'infanzia di Hornby, segnata dal
divorzio dei genitori, si ritrova nel protagonista di Un ragazzo,
Marcus, un ragazzino disadattato alle prese con un senso di
non-appartenenza, e con una madre depressa con manie suicide. E
ancora nell'ultimo romanzo, Come diventare buono, la sfiducia
della protagonista Katie verso gli ideali progressisti, rispecchia
la disillusione dell'autore verso la politica di Tony Blair.
Per Swift invece l'autobiografismo non è un modo di scrivere, ma un
pregiudizio da sfatare. Egli racconta come, dopo che Waterland
aveva portato alla ribalta uno scrittore pressoché sconosciuto, la
gente si stupiva di non vederlo arrivare ai literary partiy
con gli stivali di gomma ai piedi, una canna da pesca in una mano e
un secchio pieno di anguille nell'altra. Vista la ricchezza di
particolari e il realismo con cui aveva descritto le zone paludose
delle Fenland, non c'erano dubbi: l'autore doveva essere nato
e vissuto in quei luoghi. C'è da supporre la loro delusione, nello
scoprire che fino a quel momento Swift raramente si era mosso da
Londra, e solo qualche volta aveva visto i posti di cui parla per
trecento pagine.
In Come diventare buono, la protagonista Katie fa, ad un
certo punto, l'elenco dei suoi sensi di colpa verso i genitori e la
famiglia. Nulla però ci viene detto su come e perché questi si
siano formati. Il dato importante è che le creano disagio qui, ora,
ed è il problema attuale che deve essere risolto. Per Hornby,
proprio perché legato alle sue esperienze personali, e ad una
volontà di scrivere solo ciò che vede, il tempo della narrazione
non può che essere il presente, più precisamente lo here&now
ereditato dalla cultura degli Anni Sessanta.
Del resto, se i suoi personaggi sono adolescenti dentro e trentenni
fuori, rimasti attaccati, come direbbe Hornby " intorno al loro
quattordicesimo compleanno", e se le loro ossessioni, come il
calcio, la musica e la moda agiscono da ritardanti della crescita,
è logico che essi riescano a concepire, proprio come i ragazzini,
solo il tempo presente, l'immediato, il qui e ora, ignorando passato
e futuro.
I trentenni di Hornby non hanno un passato e se ce l'hanno - come
nel caso di Rob - è vittima di manipolazioni continue da parte del
personaggio, mentre il futuro è qualcosa di inimmaginabile e
spaventoso, una vera minaccia da cui tentano - goffamente - di
fuggire. Per loro non c'è quindi scelta: per quanto incerto e
confuso possa sembrare, è il presente l'unica dimensione in cui
possono esistere.

Se Katie fosse nata dall'immaginazione di Swift
invece, la seguiremmo nel suo sforzo incessante di affrontare le
rimozioni della mente, di ricordare, connettere. Per i personaggi di
Swift, riscoprire il passato narrandolo non è un ossessione, ma una
vero e proprio bisogno vitale. In Waterland, l'autore va alle
radici di questo bisogno, e il romanzo diventa una grande 'metanarrazione,'
la cui tesi conclusiva è estrema, terribile e consolante allo
stesso tempo: la Storia è in realtà una storia, una favola,
un mito che aiuta a eliminare la paura, ma, per quanto lontana
dall'avere valore oggettivo, pur sempre l'unico strumento in mano
all'uomo per non perdere l'orientamento nel mondo.
Waterland è ambientato negli anni Ottanta, nel mezzo del
thatcherismo, della guerra fredda e della minaccia nucleare. Andando
contro l'ottuso ottimismo di chi crede che la storia sia arrivata
alla fine, che la scienza e la tecnologia facciano di questo il
migliore dei mondi possibili, e che il rimedio migliore al pericolo
nucleare sia un rifugio sotterraneo, il protagonista sceglie di dare
voce all'inquietudine dei suoi studenti, che "sentono" la
presenza di una minaccia terribile, anche se non meglio definita.
Quanto basta per fare di Waterland, a distanza di quasi
vent'anni, un romanzo attualissimo.
Resta da chiedersi se i personaggi di Hornby e Swift escano o no
dalla loro crisi. Naturalmente sì. Naturalmente no. Perché i
finali che i due autori propongono non dicono mai troppo, né troppo
poco, e se i personaggi fanno un passo verso la soluzione dei loro
problemi, quando la loro storia finisce, hanno ancora tutto il tempo
per tornare indietro.
Affrontare i problemi del presente per risolvere i danni prodotti
dal passato, o fare i conti col passato per risolvere i problemi del
presente. Al di là delle marcate differenze di stile, a quanto
sembra gli scrittori non si rassegnano all'ottimismo. Come ha detto
Swift in un'intervista, "Happiness is fine, but it's rather
boring."
Chi è Nick Hornby:
Nick Hornby nasce a Londra nel 1957. Dopo aver esercitato la
professione di insegnante, diventa uno scrittore a tempo pieno a
partire dal 1992, quando viene pubblicata la sua prima opera Febbre
a 90', cui fanno seguito Alta Fedeltà (1995), Un
ragazzo, (1998) e Le parole per dirlo ( 2000). Il suo
ultimo lavoro è Come diventare buoni ( 2001). Tutti suoi
romanzi sono editi in Italia da Guanda Editore.
Chi è Graham Swift:
Graham Swift nasce a Londra nel 1948. Dopo aver pubblicato dei
racconti brevi alla fine degli anni Settanta, pubblica il suo primo
romanzo The Sweet Shop Owner, cui fa seguito l'anno dopo Shuttlecock.
In seguito al successo de Il paese dell'acqua, uscito nel
1983, diventa scrittore a tempo pieno. Ha pubblicato successivamente
Via da questo mondo (1988), e Per sempre
(1991). Il suo ultimo romanzo Ultimo giro (edito in Italia da
Feltrinelli) ha vinto il Booker Prize nel 1996.
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