Per una tenuta del patto sociale
Ermanno Vitale
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Una discussione con Luigi Ferrajoli
Quello che segue è il testo dell'intervento di Ermanno Vitale al
convegno "I diritti fondamentali in tempo di guerra e di
terrore" che ha avuto luogo giovedì 7 marzo presso la
Fondazione Basso.
Il volume Diritti fondamentali di Luigi Ferrajoli ed altri
coniuga e offre, ben contemperate, almeno due chiavi di lettura: una
squisitamente teoretica - a cavallo fra teoria del diritto,
filosofia del diritto e filosofia politica - l'altra più politica,
non certo da intendersi come dimensione di corto respiro - quando
non meschina, ispirata da un tatticismo fine a se stesso, senza
progetto - in cui fin troppi oggi credono di essere maestri, ma in
quella del richiamo alla difesa di principio dello stato democratico
di diritto e ai fondamenti del diritto internazionale, nella forma
dell'impegno civile e della resistenza morale.
In altre circostanze avrei senza dubbio preferito utilizzare la
prima chiave - presentando e tentando di affrontare i nodi
problematici che Ferrajoli e i suoi interlocutori italiani e
stranieri hanno individuato in questo volume e nella prosecuzione
del dibattito teorico. Ma siccome, a mio giudizio, dire oggi che mala
tempora currunt appare quasi un eufemismo se non si aggiunge
subito che stiamo andando ad peiora (sia a livello interno
sia a livello internazionale), vorrei qui prediligere la seconda
chiave di lettura. A questo scopo è bene soffermarsi un poco di
più sui contenuti dei diritti fondamentali, dando meno rilievo al
dibattito circa la loro forma (vale a dire ai problemi
concernenti la loro migliore definizione teorica) per sottolineare
quali sono i criteri che identificano un diritto come fondamentale,
e dunque che cosa un tale diritto contiene e protegge.
Ovviamente, forma e contenuti non sono affatto disgiunti, anzi è
proprio la loro forma universale a selezionare i contenuti
dei diritti fondamentali. Detto nel modo più generale possibile,
per Ferrajoli i diritti fondamentali sono leggi del più debole
contro la legge del più forte: ed è proprio la forma universale -
sono diritti di tutti, non di uno o di alcuni, e a rigore
neppure solo di molti individui o persone - insieme al loro rango
costituzionale (che assicura loro il ruolo di suprema fonte del
diritto) a costituire la tecnica, il mezzo idoneo al fine della
tutela dei più deboli.

Stabilendo infatti che i diritti fondamentali sono
diritti di tutti, indisponibili, non negoziabili, non transigibili,
vale a dire non oggetto di scambio economico e/o politico - e
neppure oggetto di appropriazioni o deformazioni ideologiche o
partitiche - questi diritti vengono sottratti ai rapporti di forza
tipici del mercato, della politica e della stessa comunicazione di
massa, là dove è fisiologico che ci siano vincitori e vinti. Ma
dove è patologico che i temporaneamente vinti non siano messi in
condizione di sopravvivere e di riprendere il gioco, essendo invece
annichiliti o emarginati politicamente, economicamente o
socialmente.
A questo servono i diritti fondamentali: per dirlo con le parole di
Ferrajoli, "se vogliamo che i soggetti più deboli
fisicamente, o politicamente, o socialmente, o economicamente, siano
tutelati dalla legge del più forte, occorre sottrarre la vita, la
libertà e la sopravvivenza sia alla disponibilità privata (alle
leggi del più forte del mercato) sia a quelle dei pubblici poteri
(le leggi del più forte delle contingenti maggioranze politiche),
formulandole come diritti in forma rigida e universale". Sono,
potremmo dire con un'espressione metaforica anche se forse
analiticamente impropria, diritti sia contro il fondamentalismo del
mercato (per cui il profitto regolato dalla legge della domanda e
dell'offerta è l'unica vera religione), e in particolare del
mercato della comunicazione, sia contro il fondamentalismo della
politica (pseudo)democratica - secondo cui la volontà della
maggioranza è onnipotente e definisce legittimamente giorno per
giorno, de iure, non solo de facto, la costituzione
materiale dello stato.
Articolando e scomponendo un minimo: i diritti fondamentali come
legge del più debole fanno proprio un criterio di eguaglianza
fra gli individui non in tutto, come sono subito pronti a
dire i loro detrattori, ma appunto in diritti fondamentali, ovvero
in diritti di libertà (libertà ed integrità personale, di
opinione, di riunione e di associazione), politici (diritto di voto
e di partecipazione) e sociali (diritto a vedersi assicurata una
sopravvivenza dignitosa: istruzione, salute ecc.). Non che sui primi
non si debba costantemente vigilare (Genova docet), ma questi
ultimi, i diritti sociali, sono da sempre oggetto dei maggiori
attacchi. Essi sono tuttavia il presupposto materiale per
l'esercizio responsabile dei diritti di libertà e politici nonché
il vero cemento della solidarietà sociale. Ciò che mi fa essere a
pieno titolo "socio" di una collettività è infatti la
certezza che anche qualora risultassi perdente nella competizione
sociale non sarò tuttavia annichilito, emarginato e di fatto espulso
da tale collettività (non sarò, letteralmente, un vuoto a
perdere).
Di qui deriva anche la relazione fra diritti e pace : senza
la base comune dei diritti fondamentali i contrasti di ogni natura
(interni ed internazionali) - che di per sé (entro la cornice del
diritto) sono il sale di una società (nazionale e sovranazionale)
aperta e pluralistica - diventano distruttivi, diventano con estrema
facilità guerre (civili) che generano, da una parte,
vincitori arroganti e dispotici e, dall'altra, sconfitti senza
dignità e, soprattutto, senza ragionevole fiducia nel gioco
democratico. Alla fine, entrambi intolleranti, fanatici e, in senso
lato, fondamentalisti.
Ecco, oggi molti sostengono, e non solo a destra, che dare troppo
spazio ai diritti (sarebbero insaziabili!) significherebbe sottrarre
spazio al gioco democratico, alla volontà della maggioranza,
fagocitando così il Parlamento e le istituzioni rappresentative.
Pur potendo essere una critica in astratto fondata, credo sia oggi
vero il contrario: nella tutela dei diritti fondamentali sta la
tenuta di quel patto sociale che dà senso e dignità proprio al
processo deliberativo democratico, il limite che non rende
arbitraria e dispotica la volontà delle maggioranze che si
alternano alla guida di un Paese.
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