Caffe' Europa
Attualita'



Una discussione con Luigi Ferrajoli



Michelangelo Bovero



Articoli collegati:
Per una tenuta del patto sociale
Una discussione con Luigi Ferrajoli


Quello che segue è il testo dell'intervento di Michelangelo Bovero al convegno "I diritti fondamentali in tempo di guerra e di terrore" che ha avuto luogo giovedì 7 marzo presso la Fondazione Basso.

Quando, alcuni anni fa, ho proposto a Luigi Ferrajoli di pubblicare su Teoria politica un saggio teorico sui diritti fondamentali ero certo che ne sarebbe nato un dibattito ampio e interessante. E’ stato tanto ampio da aver attraversato tre annate della rivista; e tanto interessante che si è ritenuto opportuno riproporlo in un volume. Questo libro, intitolato semplicemente Diritti fondamentali, presenta l’intero complesso organico del dibattito, avviato da Ferrajoli con quel saggio e poi alimentato e sostenuto da numerosi interventi e repliche.

Vorrei subito sottolineare l’importanza insieme scientifica e politica (in senso ampio e nobile: i problemi politici sono i problemi di tutti) di questo dibattito, e dunque di questo libro, specialmente nei tempi tristi e terribili che stiamo vivendo. Tempi di terrore, di terrorismo, e tempi di guerra; ma anche tempi di degenerazione della democrazia. Quale il destino dei diritti fondamentali di fronte agli spettri del fondamentalismo e del terrorismo, e di fronte alla «guerra globale» che dichiara di volerli sconfiggere ad ogni costo, senza limiti di tempo e di spazio, per esorcizzare la «paura globale» conseguente all’attentato contro le torri gemelle?

In questo scenario, come si pone il problema della protezione dei diritti a livello transnazionale, o meglio planetario, ancora una volta «globale»? E in che modo difendere i diritti fondamentali, e con essi l’intera civiltà del costituzionalismo democratico, in un contesto particolare come quello italiano, contro la grottesca arroganza dei nuovi «padroni del potere» il cui obiettivo è imporre una volontà (formalmente) maggioritaria «senza leggi né freni», come quella del despota di Montesquieu? Propongo come spunto per la nostra discussione questi interrogativi, suscitati da una situazione ulteriore rispetto a quella in cui era maturato e si è svolto il dibattito contenuto nel libro.

Universalismo dei diritti e universalizzazione della democrazia - termini strettamente interrelati nella visione di Ferrajoli - sono da considerarsi figure normative, plausibili utopie la cui credibilità è cresciuta a velocità discontinua lungo la seconda metà del Novecento. Raggiungendo (forse) il massimo grado di favore, di consensum gentium, a ridosso del fatale Ottantanove: dunque, mi pare, subito prima che si affermassero, nella realtà e nell’immaginario collettivo, le figure dominanti della globalizzazione economica e mediatica, destinate a crescenti fortune.

Dopo di allora, gli ideali normativi dei diritti e della democrazia hanno invece conosciuto forme di declino e di pervertimento. Diritti e democrazia sono, oggi, ideali entrambi in crisi: non perché, o non solo e non tanto perché vengano apertamente contestati o vi si contrappongano altri ideali alternativi, ma anzitutto e soprattutto perché aumenta il divario tra questi ideali e la realtà, sia a livello locale, sia a livello globale.

Se solleviamo lo sguardo dalle miserie del cortile di casa - degli «interni democratici», che tendono tutti ad assomigliarsi, anche se l’Italia può vantare attualmente un certo primato immorale e incivile - alle esperienze che stiamo vivendo dopo l’11 settembre 2001, sulla scena del mondo sembrano delinearsi due (o tre) figure inedite della globalizzazione. La prima è quella che chiamerei globalizzazione della paura: un sentimento terribile, sottile e continuo, ancorché rimosso dalla superficie della coscienza durante il fare quotidiano, il sentimento della vulnerabilità senza confini, della possibilità di essere colpiti in modo imprevedibile e imprevenibile, da chiunque, in qualunque luogo. La seconda figura è, purtroppo, quella che la reazione globale a questo sentimento ha voluto assumere: di fronte alla globalizzazione della paura si è risposto con la globalizzazione della guerra.

Invito a non sottovalutare questa formula, a non intenderla come una trovata linguistica. Quella cui stiamo assistendo e in cui siamo coinvolti non è (più) una guerra mondiale, ovvero un conflitto tra gli stati del mondo divisi in amici e nemici, è invece una guerra globale, dichiaratamente - e del resto inevitabilmente, visto l’obiettivo - senza limiti di tempo e di spazio. La sua natura è già rivelata, e confessata, nei nomi che le si sono imposti: non certo dai sostantivi, «giustizia» e «libertà» (!), bensì dagli aggettivi, «infinita» e «durevole».

Se applicata a questa guerra, in cui una concentrazione spaventosa di potenza globale è pronta a piombare dall’alto su ogni punto del globo e in ogni momento, suona tragice e grottesca insieme la caratterizzazione del fenomeno «globalizzazione» data da E. Morin: «non solo ogni parte del mondo fa sempre più parte del mondo, ma il mondo come tutto è sempre più presente in ognuna delle sue parti» - anche con le bombe.

Non voglio finire soltanto con questo scenario da incubo. Voglio almeno alludere a un’ultima figura della globalizzazione: la globalizzazione della sinistra, che paradossalmente è rappresentata dal movimento no-global.. In questa figura scorgo, o mi ostino a scorgere pur tra mille contraddizioni, il mio unico signum prognosticum. Per continuare a voler credere, e ci vuole davvero molta forza di volontà, che un altro mondo è possibile.

Articoli collegati:
Per una tenuta del patto sociale
Una discussione con Luigi Ferrajoli

 


Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio Attualita'


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 2001

 

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo