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Tarantismo e neotarantismo



Anna Nacci




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Quello che segue è l'estratto dell'intervento di Anna Nacci, musicista e sociologa, al simposioDioniso, il dio dell'ebbrezza - dall'antropologia del bere alla cultura della salute, che avrà luogo l'11 marzo 2002 al Teatro Litta di Milano.

L’industrializzazione ha spazzato via riti e stilemi della cultura contadina. I mass-media hanno travolto valori, costumi, ma hanno soprattutto profondamente modificato l’agire comunicativo. In un’era dove il mondo dei potenti vuole globalizzare ed omologare, cancellare le differenze e porre sempre più radicali distinzioni fra le aree del pianeta, compaiono dei segnali che sembrano annunciarci un testardo riappropriarsi di identità e tradizioni, diversità e ricchezze.

Ciò che è stato il primo linguaggio dell’uomo -la musica- ritorna oggi ad essere lo strumento privilegiato per conoscere, aggregare, comunicare, relazionarsi in maniera “sana” e costruttiva. Il ridondante tentativo dei media di isolare gli individui ha ottenuto un effetto boomerang per cui la gente ora richiede quella musica che veicola i valori e le ricchezze delle culture mai cancellabili.
Migliaia di giovani e meno giovani chiedono , suonano, danzano, cantano la musica popolare, etnica, world, e questo non è un fenomeno di piccole dimensioni (in quanto rilevabile in più parti del pianeta), né tantomeno trascurabile.

Nasce un movimento già battezzato col nome di “neotarantismo”, un neologismo coniato osservando un fenomeno che coinvolge larghe fasce di persone. Un movimento che esprime il bisogno di musica “altra”, per nuovi rapporti comunicativi e relazionali, una domanda di danza catartica fruibile oltre i suoi connotati storici legati alla sofferenza e alla vergogna. Il bisogno, rilevabile in ogni epoca, di liberazione dagli affanni quotidiani e dalle oppressioni di varia natura espresso ancora e grazie alla musica e alla danza. Ed ecco folte masse che affollano piazze, centri sociali, pub, teatri e qualsiasi altra struttura che proponga concerti di musica popolare, tra cui la pizzica che innesca momenti di danza collettiva.

Sempre più frequentemente riscontreremo patologie quali l’isteria, gli attacchi di panico, gli stati d’ansia e conseguente abuso di psicofarmaci, l’alcolismo, la tossicodipendenza e così via. Ma riuscendo ad andare oltre la definizione medica di suddette patologie non sarà difficile scorgere cause che hanno ben salde radici in un tessuto sociale ormai logoro da eccessive richieste di de/identificazione, di s/personalilzzazione, di omologazione.

Al giro di boa del terzo millennio, ove i media autocelebrano sempre più il loro incontrastabile potere, l’uomo occidentale si riscopre in una profonda crisi, privo della cerchia di affetti, relazioni e scambi che lo hanno caratterizzato ed accompagnato per millenni; depauperato dei riti più significativi che avevano come finalità primaria l’alta celebrazione di momenti volti a collettivizzare sentimenti, emozioni, esperienze; catapultato lontano dai ritmi della natura, incasellato in continue scadenze cronologiche funzionali ad un processo produttivo sempre più alienante in quanto sempre meno si vedrà il risultato del proprio produrre.

Le patologie sociali più gravi, dirette conseguenze di quanto sinora esposto, sono quindi la sconfinata dimensione di solitudine, di isolamento relazionale, di comunicazione scarsa e/o ridotta e spesso distorta, che ci riconducono alle patologie mediche su citate.

Dall’indagine su citata risultava che le strutture predilette della musica, del ritmo, della danza, erano quelle della pizzica, storico ballo dei tarantati che perpetravano un rito per sconfiggere, per liberarsi del “male oscuro”, che ha sempre accompagnato l’essere umano. Un rito liberatorio che trovava nel tamburo il primo elemento di catarsi, un rito morto agli inizi degli anni ’60, ma che oggi si ripropone (quantomeno nella musica) nella sua esplosiva carica ritmica su forte richiesta delle migliaia di fruitori che nell’indagine parlavano, per l’appunto, di liberazione.

Possiamo ritenere sicuramente questo un fenomeno, un movimento di riconquista di identità e valori da più parti battezzato “neotarantismo”, e possiamo sicuramente ribadire il bisogno concreto ed inalienabile dell’uomo di rivendicare il proprio essere “sociale”. Un affollato convegno tenutosi lo scorso febbraio 2001 a Roma segnava il battesimo del Neotarantismo. A distanza di un anno nuovi incontri sono finalizzati a fare il punto della situazione.

Rivalutare, quindi, usi e costumi della tradizione, della sua parte più dinamica e costruttiva, per restituire il giusto ruolo alla cultura delle origini dei popoli, perché fruire liberamente delle "diverse culture" e tradizioni, anche di uso quotidiano, può servire a ritrovare un giusto equilibrio fra le società diverse.


Il link:

www.tarantularubra.it 

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