La gestione di un patrimonio
culturale complesso: le città d’arte
Paola Morelli
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La gestione delle città d’arte
Quello che segue è il testo dell'intervento di Paola Morelli,
docente presso l'Università di Roma “La Sapienza”, al convegno
"Beni culturali e Territorio. La valorizzazione dei beni
culturali nella esperienza italiana" che si è svolto a Roma il
18 gennaio presso la sede della Società Geografica Italiana.
In questa sede appare utile presentare alcune riflessioni che sono
scaturite da un triennio di attività di studio che sono state
svolte dalla Società Geografica Italiana, per il Progetto
Finalizzato Beni Culturali del CNR, nell’Unità di ricerca
intitolata “Città d’arte, gestione del tempo libero,
ricreazione e turismo per uno sviluppo sostenibile”.
Le considerazioni attengono a due aspetti fondamentali: la
valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni culturali come
risorsa strategica per lo sviluppo locale e la gestione delle città
d’arte nell’ottica della valorizzazione turistica.
a)Valorizzazione del Patrimonio culturale e dei Beni Culturali
Nonostante lo spessore e la varietà dei nostri beni culturali, che
tanto hanno contribuito e continuano a contribuire al processo di
sviluppo di consistenti flussi turistici internazionali, è a tutti
noto, come, nei primi decenni del nostro sviluppo economico, il
patrimonio culturale nazionale sia stato considerato un settore
residuale, almeno a giudicare dalla modesta attribuzione di risorse
pubbliche destinate alla sua conservazione e valorizzazione, tanto
da essere stato annoverato come un patrimonio in miseria (Cederna,
1989).
Soltanto, con le più recenti trasformazioni degli assetti
produttivi, ed in particolare con l’avvento dei nuovi processi di
produzione di beni immateriali, di riallocazione produttiva, di
spinta competizione tra ambiti regionali e globali, si è registrata
una riconsiderazione del ruolo strategico dei beni culturali nei
processi di promozione dello sviluppo locale e una rinnovata
attenzione politica sia nazionale che regionale, in linea, peraltro,
con gli orientamenti che già emergevano a livello internazionale.
Un momento significativo che testimonia appieno della focalizzazione
sul segmento culturale si deve proprio al Consiglio Nazionale delle
Ricerche, che nel 1996 con il “Progetto Finalizzato Beni Culturali”,
propone all’attenzione della comunità scientifica di riflettere
sui processi di salvaguardia, valorizzazione e fruizione del nostro
patrimonio culturale. I tre obiettivi esplicitati dal CNR, tutela,
valorizzazione e fruizione, non possono essere raggiunti se non
attraverso il coinvolgimento di tutte le componenti culturali del
Paese ed in particolare utilizzando le capacità interpretative
delle varie discipline, chiamate ciascuna ad approfondire alcuni
problemi e temi di specifica competenza.
Gli intenti ben esplicitati del Progetto non possono che per
raccogliere un ampio consenso, anche in considerazione della portata
del patrimonio culturale del nostro Paese, dal quale delimitare il
bene culturale, oggetto d’indagine.
Per il CNR la definizione di bene culturale viene fatta derivare
dall’apparato legislativo nazionale: sono le leggi che si occupano
di beni culturali ad individuarli. Tuttavia, l’apparato giuridico,
per definizione, segue un percorso riduttivo e semplificativo
rispetto all’insieme che dovrebbe essere normato.
Infatti, se la cultura costituisce il “complesso delle
manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un
popolo, in relazione alle varie fasi di processo evolutivo o ai
diversi periodi storici o alle condizioni ambientali”(Devoto e
Oli, 1967, vol. I, p. 722), ossia il “complesso delle istituzioni
sociali, culturali, politiche ed economiche, delle attività
artistiche, delle manifestazioni spirituali e religiose, che
caratterizzano la vita di una determinata società in un dato
momento storico” (Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1986,
vol. I, p.1027) ed ancora, specificatamente per le scienze
etnologiche, sociologiche e antropologiche, “l’insieme dei
valori, dei simboli, delle concezioni, dei modelli di comportamento
ed anche delle attività materiali, che caratterizzano il modo di
vita di un gruppo sociale”, appare evidente che ci troviamo di
fronte ad un insieme articolato e complesso di beni materiali e
immateriali, frutto della stratificazione storica della presenza
umana in un territorio.
Conseguentemente, poiché le traiettorie dello
sviluppo italiano, così come di altri paesi, hanno consentito una
forte mobilità spaziale e una elevatissima e imprescindibile
interdipendenza tra i popoli e le loro organizzazioni sociali ed
economiche, la cultura non può che essere un patrimonio umano
collettivo, che si presenta pertanto non soltanto immenso, ma
soprattutto molto variegato e, conseguentemente, assai difficile da
riconoscere, conservare, valorizzare e fruire.
Peraltro, non possiamo sottovalutare la duplice valenza del
patrimonio culturale:
- in quanto bene immateriale è originato in un territorio da un
gruppo sociale e può essere diffuso verso altri territori, ove
altri gruppi sociali possono apprezzare, assorbire, elaborare e
riavviare il ciclo di diffusione oppure semplicemente rifiutare;
- in quanto bene materiale viene prodotto in un luogo, e in
relazione alle sue peculiari caratteristiche può non essere affatto
trasportabile.
Due facce d’una stessa medaglia, due aspetti così complessi che
richiedono una maggiore attenzione, soprattutto attualmente che
viviamo in un sistema aperto (il globale e la sua rete), ove
condividiamo quotidianamente sempre più intensi fenomeni sociali ed
economici e flussi variegati e insistenti di informazioni. A ben
vedere, dal lento, costante e non mai concluso processo di
internazionalizzazione del patrimonio culturale emergono dei
problemi che devono essere affrontati in via preliminare.
Il primo problema attiene proprio alla difficile individuazione
della consistenza dei beni immateriali impliciti nel concetto di
cultura, che non rientra direttamente nella presente analisi, e il
secondo, relativamente più semplice, si riferisce alla definizione
e alla quantificazione e alla successiva valorizzazione e fruizione
dei beni materiali prodotti dal sistema culturale, i cosiddetti beni
culturali, obiettivo specifico della ricerca.
Nella stessa fase di definizione di bene materiale è implicita la
capacità di intendere e di riconoscere il carattere culturale di un
manufatto e quindi di distinguere il valore del bene culturale dal
valore delle materie di cui è costituito e dai processi di
produzione, ovviamente diversi, sia nella componente storica che in
quella territoriale. Pochi esempi geografici permettono di chiarire
al meglio il pensiero: il valore del paesaggio dei Trulli di
Alberobello non è riconducibile al valore del patrimonio fondiario
e della pietra e della calce, ecc. ed altrettanto, il valore della
cupola del Brunelleschi non è riconducibile al valore del suolo
urbano occupato, delle travature in ferro, dei laterizi e dei marmi
impiegati, così come il valore del David di Donatello non poggia
sulla quantità di bronzo utilizzato.
E’ in realtà un valore aggiunto molto più complesso di quello
stimabile con un’analisi economica, anche raffinata; si tratta di
un valore estremamente variabile nel tempo e nello spazio, in quanto
non si è in presenza di una mera sommatoria attualizzata dei
fattori naturali presenti nell’opera e di quelli aggiunti con l’intervento
umano, ma è necessario il riconoscimento collettivo di una valenza
culturale originale, irriproducibile, indefinita e inesauribile.
In altri termini, il bene culturale afferisce alle risorse della
collettività e, come ogni altra risorsa, deve innanzitutto essere
riconosciuta, ossia la società deve avere raggiunto un elevato
livello culturale, e conseguentemente avviato i processi di tutela
(attraverso la cultura giuridica), di conservazione (destinando
quote di spesa pubblica alla difesa del patrimonio culturale) e di
gestione (favorendone una fruizione che impedisca ogni forma di
degrado).
Tuttavia, i caratteri peculiari del bene culturale che si
contrappongono a quelli tipici di un bene economico rappresentano,
di fatto, il limite stesso dei processi di tutela e di
conservazione, con evidenti risvolti nell’ambito gestionale.
Infatti, poiché il bene culturale non è riproducibile, proprio per
la qualità già richiamata delle sue componenti, non si può
aumentarne l’offerta, ma soltanto la domanda, e pertanto non si è
in grado di determinare il suo valore reale. Di conseguenza, la
valenza economica del bene culturale ruota intorno alle oscillazioni
della domanda dei beni culturali, a sua volta condizionata da una
molteplicità di fattori, e tra questi ultimi, un ruolo non certo
marginale assume proprio la modalità di fruizione del bene.
Peraltro, anche la constatazione che il bene culturale è
inesauribile, poiché discende dalle peculiari modalità di
produzione, ha effetti diretti sia sull’espansione del patrimonio
culturale per la realizzazione di nuovi beni culturali, sia sui
processi che afferiscono alla loro tutela, valorizzazione e
fruizione: siamo di fronte ad una risorsa atipica, che non conosce i
meccanismi della scarsità e della concorrenza, e che impone un
adeguamento di tutti gli strumenti d’intervento.
La vera e propria valenza economica che viene assunta dai beni
culturali, soprattutto nello scenario contemporaneo, deriva dalla
loro capacità di promuovere sia la crescita dell’occupazione sia
lo sviluppo locale ed un primo misuratore poggia sulla loro
attrattività turistica. E pertanto i geografi, che da sempre si
occupano del patrimonio culturale, come processo di stratificazione
della presenza umana sul territorio, sono chiamati a riflettere sui
più recenti orientamenti di ricerca, sulle metodologie di
valorizzazione, sulle numerose ed interessanti esperienze locali di
promozione dei beni culturali.
b)Le città d’arte: l’esperienza romana
Nell’ambito del Progetto finalizzato, la Società Geografica
Italiana, nel primo anno con la Presidenza del prof. Gaetano Ferro e
successivamente con la Presidenza del prof. Franco Salvatori, ha
offerto il suo contributo sul tema delle città d’arte,
privilegiando un orientamento di fruizione sostenibile del bene
culturale e conseguentemente orientando le analisi sulle
caratteristiche strutturali e spaziali del turismo nelle città d’arte.
Ovviamente, per la numerosità delle città d’arte italiane e per
il rilievo del turismo culturale rispetto a tutti gli altri segmenti
turistici, si doveva procedere ad una selezione, che tenesse conto
soprattutto della complessità della gestione di intensi flussi
turistici e conseguentemente l’attenzione veniva focalizzata sulla
città di Roma, che, peraltro, si stava preparando e si sarebbe
presto misurata nella gestione di un mega-evento, il Giubileo del
2000.
Il patrimonio culturale presente nella città romana si caratterizza
non soltanto per spessore quali-quantitativo, ma anche per una
distribuzione areale molto diffusa e talvolta indistinta rispetto al
coacervo di attività e funzioni presenti nella più grande città
italiana (un confine amministrativo comunale che sfiora i 1300 kmq,
in grado di contenere le superfici amministrative di altre grandi
città italiane: Milano, Torino, Bologna, Firenze, Napoli, Bari,
Palermo, Catania).
Una grande città d’arte, che incrementa costantemente nuove
funzioni e nuove attività, rendendo ancora più complessa la
gestione dei movimenti turistici ed anche difficile la distinzione
del contributo che il sistema turistico-culturale è in grado di
offrire all’economia locale.
Sotto il profilo metodologico, pare utile ancora richiamare come il
patrimonio culturale rientri a pieno titolo negli input originali
del processo di aggregazione sociale e produttiva della città e ne
determini quindi i relativi meccanismi di territorializzazione e
conseguentemente, proprio per la sua specificità, l’offerta
culturale in ambiente urbano si caratterizza per elevati contenuti
di complessità, anche in relazione agli ostacoli che la vitalità
socio-economica della città, ed in particolare della grande città,
pone alla piena fruizione dei beni culturali presenti.
Flussi di turisti, visitatori e visitatori-residenti si
distribuiscono e si sovrappongono nella città d’arte, che tende
nel tempo a mutare molte delle destinazioni d’uso dello spazio
urbano, sovrapponendo ai beni culturali, nuove o rinnovate
specializzazioni funzionali, che, a loro volta, richiedono anche
continui adeguamenti soprattutto in termini di accessibilità, e
quindi di viabilità: uno tra i più rilevanti temi per l’organizzazione
quotidiana della città romana.
La complessità di gestione del bene culturale nella grande città d’arte
è quindi ben espressa dai due principali nodi: il primo poggia
sulla coesistenza di luoghi della cultura stratificata (ossia l’emergenza
storico-artistica), con i luoghi delle attività basiche e non
basiche della città e sulla conseguente e necessaria circolazione
di persone e di beni materiali.
Il secondo nodo poggia sulla necessità di disporre di ingenti
risorse finanziarie e umane da destinare alla conservazione e tutela
del patrimonio storico-artistico, sottoposto non soltanto ad una
crescente fruizione ma anche alle ricadute derivanti da un processo
ancora inarrestabile di compromissione dell’ambiente circostante.
Paradossalmente una conservazione integrale potrebbe, qualora
potesse essere realmente perseguita, limitare non soltanto la piena
fruizione del bene culturale, ma anche lo sviluppo delle altre
attività sociali e produttive.
Queste concise considerazioni consentono di sottolineare come sia
oggettivamente difficile definire una pianificazione strategica di
interventi per la valorizzazione del patrimonio culturale romano,
che si contraddistingue per quella serie di vincoli, che affondano
le loro radici proprio nei tre principali caratteri dei beni
culturali presenti a Roma: consistenza, diffusione e accessibilità.
Viceversa, la valutazione a posteriori sulle forme
perseguite di valorizzazione consente alcune riflessioni, che si
sostanziano in due aspetti. Il primo attiene alla maggiore
diffusione di valutazioni sovente critiche delle politiche
perseguite: e, a mio personale giudizio, tali affermazioni
evidenziano una modesta capacità interpretativa della complessità
degli interventi, che, per la peculiarità del bene culturale e per
la sua collocazione spaziale, non possono essere mai pienamente
soddisfacenti. Il secondo aspetto riguarda, invece, la proposizione
di modelli di valorizzazione, da reiterare in ambito urbano: anche
in questo caso le proposte appaiono strettamente connesse all’intento
operativo, più o meno esplicito, delle politiche di organizzazione
perseguite dalle autorità locali. In altri termini, il bene
culturale è inserito in un contesto locale fortemente dipendente
dallo sviluppo socio-economico perseguito dalla collettività e
tende, nonostante la rinnovata attenzione, a subire molte delle
limitazioni che la competitività di una città, anche d’arte,
impone.
Nell’ambito delle attività di ricerca condotte, il concetto di
fruizione del beni culturali presenti nella città d’arte romana
è stato coniugato al paradigma della sostenibilità ed in
particolare è stato riferito alle tre principali aree omogenee
della regione turistica (centro storico, urban core e urban ring) e
all’area metropolitanea nel suo complesso. Per quest’ultima sono
state svolte alcune valutazioni sui livelli di stress ambientale,
soprattutto di inquinamento atmosferico, determinato prevalentemente
da una circolazione veicolare strutturalmente incompatibile con una
rete infrastrutturale progettata per sostenere una circolazione d’altri
tempi (Donata Castagnoli).
Delle analisi condotte voglio qui ricordare alcuni aspetti, sperando
di suscitare un interesse alla lettura del volume in stampa presso
Angeli, che attengono, ad esempio, ai cambiamenti socio-culturali
generati dalla fruizione turistica. Un esempio significativo viene
offerto dal rione di Trastevere, che da sempre ha svolto un
particolare ruolo nella rappresentazione turistica di Roma: quello
della plusvalenza del folklore della cultura popolare, oggi più
virtuale che reale, come dimostra l’analisi svolta sulla
demografia e morfologia sociale del rione, sottoposto ad una veloce
metamorfosi strutturale e sociale, ben espressa dall’invecchiamento
della comunità locale e dalla crescita dei ceti professionali medio
alti (Giorgio Spinelli).
Non sono mancati studi finalizzati all’analisi di alcuni processi
di valorizzazione realizzati nella città di Roma: non soltanto gli
interventi straordinari svolti nell’ambito dell’evento
giubiliare (Armando Montanari) che hanno consentito un rafforzamento
dell’immagine urbana, soprattutto nel centro storico, favorendo
una maggiore fruizione delle risorse storiche, architettoniche,
artistiche e paesaggistiche, ma anche i processi di pianificazione
(Annalisa Cicerchia) ed in particolare tesi al recupero e alla
valorizzazione di patrimoni artistici minori nel settore
sud-orientale dell’area metropolitana (i Castelli romani),
rivitalizzati dalla progettazione e graduale affermazione di un
parco scientifico-tecnologico, polarizzato dall’Università di Tor
Vergata, che viene di fatto a configurarsi quale vero e proprio
distretto culturale (Marina Faccioli).
Tra gli altri esempi di recupero dei vuoti industriali si deve
annoverare anche la più antica area industriale romana,
Ostiense-Marconi, caratterizzata da una consistente presenza di
edifici dismessi o in via di dismissione, allineati sulle due rive
del Tevere e anch’essi interessati ad una riconversione culturale
che trainata dalla Terza Università, dal Museo della Scienza e dal
Parco del Tevere, dovrebbe consentire la formazione di un altro
distretto culturale, in grado di favorire il processo avviato di
riqualificazione e valorizzazione dell’area (Marco Maggioli).
Infine, particolare attenzione è stata riservata alla definizione
dell’apporto economico diretto e indiretto del turismo culturale
romano. L’entità del fenomeno turistico, l’eterogeneità dei
flussi e la coesistenza di numerose tipologie turistiche impongono
un’analisi puntuale delle componenti strutturali e
socio-economiche della domanda turistica culturale e per spessore di
ricerca giustificano anche i risultati divergenti che vengono spesso
prodotti da importanti Istituti (ENIT, Agenzia per il Giubileo,
ISTAT, INEA). Conseguentemente, le ricerche sono state dirette alla
valutazione dell’offerta ricettiva alberghiera, tramite la
costruzione di un banca dati contenente le principali
caratteristiche quali-quantitative delle strutture alberghiere e la
geocodifica delle stesse strutture nell’area interna al grande
raccordo romano. L’analisi ha consentito così di verificare come
il potenziale ricettivo della città (686 alberghi per un totale di
60.530 letti, nettamente concentrato nelle categorie 5 e 4 stelle)
riesca a coprire soltanto il 63% dei posti disponibili (e la sotto
utilizzazione delle strutture è più elevata nelle categorie
inferiori di alberghi). E uno sfruttamento così limitato delle
capacità ricettive non testimonia soltanto di un servizio
alberghiero offerto ai turisti ad un prezzo certamente più elevato
rispetto alle altre città italiane (i rincari delle tariffe
oscillano nelle categorie medio alte dal 20 al 50%), ma anche di una
serie di fattori che frenano non soltanto il fatturato turistico, e
quindi l’effetto moltiplicativo della spesa turistica, ma anche e
soprattutto la piena fruizione del patrimonio culturale romano
(Marco Brogna).
In altri termini, anche una organizzazione ricettiva poco
competitiva rispetto agli standard di altre città europee può
indebolire gli sforzi diretti alla valorizzazione di una città d’arte
complessa come Roma.
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