Paesaggi di autori in
movimento
Elio Manzi
Articoli collegati:
Paesaggi di autori in
movimento
La gestione delle città d’arte
Quello che segue è il testo dell'intervento di Elio Manzi,
ordinario di Geografia all'Università di Pavia, al convegno
"Beni culturali e Territorio. La valorizzazione dei beni
culturali nella esperienza italiana" che si è svolto a Roma il
18 gennaio presso la sede della Società
Geografica Italiana .
Ancor oggi il paesaggio viene considerato, da una parte della
cosiddetta opinione pubblica, come frutto della natura. Una natura
con qualche accidente inserito qua e là: casette rurali, colture,
stradine campestri, fauni e ninfe nascoste tra boschetti di mirto...
insomma, l'ideale dei naturalisti i quali riscoprono da qualche anno
una "antropizzazione" che i geografi da sempre chiamano
"paesaggio umano". Ciò deriva dall'influenza esercitata
da una consistente parte della cultura italiana in cui è radicata
una rigida divisione tra natura e uomo, tra "scienze della
Terra" e "scienze umanistiche", cioè fenomeni
sostanzialmente naturali e fatti umano-sociali, come se la Terra non
fosse il pianeta degli uomini. Nella Genesi biblica si dice, con
saggezza simbolica che richiama profondità di pensiero ancor più
remote, che la Terra fu creata come casa degli umani, anche se sin
da allora è intrinseco il rispetto intelligente per la natura come
sistema, come costruzione di Dio, quindi non bruta e stupida, ma
accorta mente organizzata seppur modificabile.
Questo paesaggio naturale mascherato e rimpianto (se tutto fosse
umanizzato il mestiere di naturalista sarebbe finito) mi pare il
contraltare delle tradizioni popolari tenacemente ricercate dagli
antropologi (o almeno da alcuni di essi più specializzati in questo
ramo) come fossero vive e vegete oggi...altrimenti quegli studiosi
finirebbero per curare soltanto musei. Il paesaggio italiano è
quasi tutto umanizzato, con una gamma vasta di sfumature
percentuali. E' un fatto più che noto, nonostante i radicati e
semi-mascherati luoghi comuni appena ricordati: generazioni di
geografi, e pure parecchi storici, architetti ed economisti, l'hanno
ripetuto a iosa. Eppure...

Dunque, si tratta di paesaggi in cerca di autori,
e non solo sei, come i proverbiali personaggi pirandelliani, ma
tanti. Da un canto i paesaggi italiani possono dirsi "paesaggi
d'autore" perché, come celebri dipinti (magari di paesaggio),
sono celebrati nel mondo, fonte di sterotipi, di milioni di
immagini, da celebri dipinti a fotografie, ambientazioni
cinematografiche, pubblicitarie; dall'altro perché, in parte
disastrati e stupidamente sconvolti in alcuni casi pure nelle linee
essenziali, ci si è da tempo chiesto chi fossero gli autori
responsabili delle manomissioni, ovviamente senza risposta certa.
Se si attribuisce alla morfologia o alla "natura" il
merito di averli creati e nei millenni modificati (inclusa l'azione
umana che, come abbiamo visto, è concepita anche nella Genesi,
allora l'autore è un Dio sapiente, che tuttavia pur nella sua
onnisciennza non aveva previsto la profondità della cretineria
umana; oppure, avendo dotato l'uomo di libero arbitrio, ne ha di
fatto anche creato e tollerato la possibilità di immensa idiozia.
Qualche modesto esempio paesaggistico conforta queste affermazioni
peraltro abbastanza ovvie. Da anni va avanti I'affaire Bagnoli:
dopo la chiusura di un grande stabilimento siderurgico obsoleto, che
per motivi sindacali e di sostegno all'occupazione si volle far
vivere ancora quando era già quasi morto, si è posto il problema
del recupero di una vasta area dismessa, in un contesto urbano fra i
più congestionati d'Europa. Una scelta di buon governo vorrebbe
dire non solo 1o smantellamento finale delle strutture residue e il
disinquinamento, ma pure un uso a bassa densità edilizia, con ampi
spazi verdi, e alcune strutture ricettive per un turismo in ripresa
e cose del genere. La polemica infuria: il paesaggio di Bagnoli è
di destra o di sinistra?
Tempo fa ho fatto una proposta talmente ovvia da poter apparire
follemente insulsa, proprio perche chiaramente sensata: tener
presente i dipinti dell'Ottocento precedenti all'industrializzazione
del sito, e, per quanto possibile, ricostruire quel paesaggio; per
esempio, un po' come lo videro Antonio Sminck Pitloo o, più vicini
a noi e per i rami delle scuole di Posillipo e Resina, Giacinto
Gigante e Attlio Pratella. Saremmo così in presenza di un paesaggio
di autori meritevoli (i politici che decidessero) che
riprodurrebbero un antico bene geoculturale come è racchiuso nella
memoria artistica di altri beni culturali. Difficile? Assurdo? E
perche, gli stravolgi menti selvaggi anche in zone teoricamente
protette non sono stati folli, assurdi, deliranti? E non si sono
fatti lo stesso?
Ho ripercorso di recente alcuni itinerari nei Campi Flegrei (oggi
parco naturale regionale: ma dov'è la natura? Boh!) sia per
osservare le variazioni negli ultimi anni, sia perche volevo
rivedere l'Arco Felice o Acquedotto di Claudio, un bellissimo
manufatto di età classica che ancora sovrasta una vecchia strada
flegrea, poco lontano dal quartiere occidentale del comune di
Pozzuoli che prende da quella meraviglia archelogica il nome: Arco
Felice. Ma gli edifici, per quanto paia impossibile, sono cresciuti
ancora qua e là, alcune nuove strutture viarie si sono sovrapposte
a ciò che restava del vecchio tessuto stradale, la pratica della
privatizzazione di passaggi, di spazi verdi residui e quant'altro
hanno reso difficile ritornare il quel luogo, anche per carenza di
tempo.
Mi accontenterò di guardare il bel dipinto medio-ottocentesco di
Gonsalvo Carelli, anzi, una suia riproduzione, perche l'originale
non è facilemente visibile all'Accademia di Belle Arti in Napoli:
un altro paesaggio di autori (grandi autori, il padreterno e i
costruttori romani) in movimento, nel senso che si nasconde nel
tempo e nello spazio; e quasi si nasconde anche la sua riproduzione
forse più bella, quella del maggiore dei Carelli. Ma anche un'opera
di Smargiassi (Veduta del golfo di Bagnoli), commissionata
all'artista dallo zar di Russia a metà Ottocento può aiutare.
Cercando l'Arco Felice, nel labirintico mini-caos puteolano-flegreo,
ho sfiorato il lago d'Averno, ancora godibile per l'eccezionale
interesse estetico, geologico, geomorfologico del luoghi, a dispetto
degli scempi.

Ma, risalendo a fianco di uno dei costoni del
cratere, sono finito in un incubo cementizio-popolare, una specie di
serpentone di case a schiera studiate accuratamente per creare un
effetto-inferi, diverso da quello del mito classico il cui ingresso,
com'è a molti noto, era localizzato lì a fianco: Monte Ruscello,
il famigerato quartiere periferico costruito ai tempi del bradisisma
tangentizio che avrebbe interessato l'antico Rione Terra della
cittadina flegrea, per cui urgentemente gli abitanti vennero
evacuati e poi trasferiti nella cementificazione dell'ultima area
relativamente non edificata del territorio circostante, il Rione
Terra, fu tanto distrutto dal bradisima che fa bella mostra di sé,
nel luogo più panoramico di Pozzuoli, di fronte a Miseno, Procida e
Ischia, in gran parte costellato di ponteggi, tubi e altre strutture
tipiche dei lavori edili. Chissà i prezzi delle abitazioni una
volta ristrutturate! Un altro paesaggio, urbano, di autori in
movimento: un percorso dal dramma tangentizio del bradisima ai
futuri (o già presenti) cataloghi delle agenzie immobiliari. I
riferimenti pittorici sono discretamente numerosi, da Schedrin a
Gigante a una serie di incisioni sette-ottocentesche.
"Des tamaris, des prele, des salicornes, des arroches, des
soudes, amères prairies des plages marines, où errent les taureax
noires, et les chevaux blancs: joeux, ils peuvent là librement
suivre la brise de mer tout impregnee d'embrun". Frèderic
Mistral rende in questo scorcio da Mirèio (riportato in francese e
non nel provenzale in cui fu scritto, per una più rapida
intelligenza del lettore) che è quasi un'immagine da paesaggista
alla Buttura o da diversi celebri impressionisti; la Camargue è
quasi famosa come i dintorni di Napoli, anche se la sua notorietà
cresce in un periodo successivo a quello del Grand Tour classico;
ciò che ne resta, compresi i tori e i cavalli semi-bradi, è
protetto abbastanza rigidamente in un parco regionale; dei Campi
Flegeri abbiamo detto.
D'altra parte Mistral fu insignito del Nobel all'inizio del
Novecento per il valore letterario e per aver riportato in vita
l'antica lingua d'oc; più o meno nello stesso tempo Ferdinando
Russo, il maggiore poeta napoletano dopo il nume Di Giacomo, era
inquisito dall'autorità di polizia come "sovversivo" per
i suoi poemetti paesistico-nostalgici 'O luciano do' rre e 'o
surdato 'e Gaeta e allo stesso Salvatore Di Giacomo non venne
ratificata la nomina a senatore del regno (nonostante l'amicizia con
il proponente, Benedetto Croce), perché qualche esponente già
filofascista lo definì "autore di canzonette".
Gli autori di quella strocatura politica in realtà stroncarono se
stessi, perché confusero il metro poetico con le canzoni: anche
alcune poesie del nostro vennero davvero musicate, lui vivente, e
altre postume, ad opera di un altro poeta-musicista, E.A.Mario.
Forse le più significative non sono quelle riferite ai luoghi
famosi (come la celeberrima Marechiare, musicta dal Tosti)
per i quali i riscontri pittorici sono molti, ma quelle dedicate a
scorci urbani, i tetti e gli "asteci" della Napoli antica;
se l'insula ippodamea greco-romana di Napoli è stata elevata a World
Heritage Site per la mirabile stratificazione antica, e
medievale, forse sarebbe ora di pensare a pubblicizzare come
proposta per un altro luogo-patrimonio e rendere quindi teoricamente
intangibile (anche se a Napoli e in Italia tante altre cose preziose
furono distrutte con mille complicità sfuggenti, come i mezzi
d'informazione hanno più volte in passato denunziato) piccole aree
urbane dal tessuto preziosamente complesso anche se non auliche.
Articoli collegati:
Paesaggi di autori in
movimento
La gestione delle città d’arte
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |