Teniamo separati stato e chiesa
Nadia Urbinati
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Perché chi è minoranza e quindi deve ubbidire alle leggi della
maggioranza non può per questo dire di essere subordinato? Perché la
regola di maggioranza non produce dominio? Per i teorici della
democrazia questo è stato il problema più arduo da risolvere. Il
patto costituzionale ha consentito di risolverlo: la minoranza non è
soggetta a un potere arbitrario anche se deve accettare di ubbidire a
leggi che non condivide o approva, perché tutti -futura maggioranza e
futura minoranza-hanno accettato le regole secondo le quali è la
maggioranza che decide, e decide nel rispetto di quelle regole e
secondo i vincoli che quelle regole sanciscono. La speranza di
diventare maggioranza, e quindi la certezza che a elezioni libere si
succedano elezioni libere, è ciò che consente alla minoranza di
pensare che il gioco politico sia aperto e di non sentirsi ed essere
dominata.

Il giuramento del nuovo governo -che è governo di
una parte, non di tutti-- di fronte al Presidente della Repubblica
--che è il rappresentante della sovranità di tutti- di rispettare la
Costituzione della Repubblica è un atto formale di enorme rilevanza
perché sancisce il riconoscimento e il rispetto del patto
costituzionale fondativo. Non è un rito patriottico, né una
formalità: è una procedura democratica che garantisce la sicurezza
della libertà di tutti, e per questo è una procedura di valore
sostanziale.
Il Ministro Buttiglione non ha giurato di rispettare la volontà di
Santa Romana Chiesa. Certo, il suo programma, che è quello della
maggioranza che ha vinto le elezioni, prevede che i valori cattolici e
gli interessi dei gruppi cattolici siano premiati rispetto a quelli
laici e pubblici. Tuttavia c’è una Costituzione -quella alla quale
egli ha giurato fedeltà-che per esempio dice a chiare lettere che
chiunque in Italia può aprire una scuola, e che il titolo di studio
rilasciato dalle scuole private può avere il riconoscimento formale
dello stato; ma tutto ciò non deve comportare alcun onere per lo
stato.
La ragione della dicitura “senza oneri per lo stato” è assai
ragionevole e chiara: nello stato di diritto, le regole devono poter
valere per tutti, per credenti e non credenti. La separazione tra
stato e chiesa, tra pubblico e privato, è una garanzia di libertà
perché non tratta diversamente chi ha valori diversi. Se la logica di
Buttiglione dovesse prevalere, chi non è credente, o non è
cattolico, ha il diritto sacrosanto di contestare il fatto che le
proprie tasse vengono usate per finanziare gli istituti scolatici
gestiti da cattolici. Chi è mussulmano o buddista ha diritto di
contestare che lo stato al quale paga le tasse finanzi scuole
cattoliche ma non scuole mussulmane o buddiste.
Quindi “senza oneri per lo stato” è una regola di laicità, una
garanzia di pace sociale e tolleranza; ed è anche una regola di
eguaglianza, perché consente a tutti i cittadini di godere di un
diritto, quello educativo, in maniera eguale e con eguale valore. Un
liberale non può che sostenere questa politica e la regola
costituzionale, oltrettutto perché un istituto scolastico privato
deve sottostare al controllo dello stato se vuole godere dei
finanziamenti pubblici; ovvero deve rinunciare a parte della propria
libertà di insegnamento.
Ma, conoscendo la crisi cronica delle scuole private, e religiose
soprattutto,è molto probabile che il Ministro Buttiglione sia
disposto a monetarizzarne la libertà. Del resto, l’uso del denaro
pubblico sembra essere l’arma che egli predilige per soddisfare o
per scoraggiare cose che sono fuori del mercato: la libertà delle
scuole private come la libertà di scelta delle donne che vogliono
abortire. Filisteismo? Forse. Ma non è questo il problema: il
problema è che il Ministro Buttiglione se ne infischia grandemente
del giuramento che ha fatto, e pensa che la Costituzione non sia
legittima, e che vada cambiata. Se non si accorda con i valori e gli
interessi della Chiesa di Roma, allora va cambiata. Un fondamentalista
islamico la pensa più o meno nello stesso modo: l’autoritá
riconosciutaè solo una, quella religiosa, e l’ordine politico deve
adattarvisi.
Riuscirà questa maggioranza a trovare il consenso parlamentare per
cambiare la regola costituzionale? Nel caso dell’aborto, la
questione è purtroppo aperta alla volontà della maggioranza, perché
la legge 194 è stata approvata dal Parlamento e poi sancita da un
Referendum popolare; non è scritta nelle regole fondative. In questo
caso la battaglia politica sarà aperta e durissima: è sperabile che
sia durissima. Ed è sperabile che qualora un cambiamento peggiorativo
venga introdotto, la minoranza parlamentare e quella fuori del
Parlamento -cioé i cittadini che sono minoranza-sappiano usare
nuovamente lo strumento referendario.
Se il Parlamento prende decisioni su questioni che sono troppo
importanti per essere lasciate ai rappresentanti, e se queste
decisioni confliggono con quella che è la volontà dei cittadini
italiani, allora i cittadini italiani hanno il sacrosanto diritto di
prendere il potere decisionale nelle loro mani e cercare soluzioni
legislative fuori del Parlamento. I teorici liberali che si
preoccupavano della “tirannia della maggioranza” avevano buone
ragioni per preoccuparsene. Ma la Costituzione ci da il potere di
contrastare la volontà della maggioranza parlamentare, la qualeè
comunque sempre una minoranza proprio perché rappresentativa.
Se è la maggioranza che deve fare le regole, allora che sia la vera
maggioranza. Una revisione peggiorativa della legge 194, se verrà
approvata, dovrebbe essere oggetto di referendum popolare cosí da
essere davvero una legge della maggioranza. Lo stesso principio può
valere per una legge che depaupera le scuole pubbliche -e quindi
penalizza la maggioranza- per finanziare scuole private -frequentate
da una minoranza- qualora si arrivi al malaugurato caso di una
revisione della Costituzione per soddisfare i piani e gli interessi
della maggioranza parlamentare e di governo.
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