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Recensione/Dalla parte de Gli esclusi



Paola Casella



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Gli esclusi, il nuovo saggio di Anna Maria Mori, è un libro importante, del quale c'era decisamente bisogno. Non è un'affermazione da poco, considerando quanto il panorama editoriale italiano sia intasato da tomi inutili e ridondanti. Gli esclusi è importante perché dà voce a una fetta della popolazione che sta diventando sempre più grande, quella dei disoccupati, o anche solo dei parzialmente occupati, vittime di pratiche sempre più diffuse nella cultura aziendale del nostro paese - l'esubero, il prepensionamento, il lavoro flessibile, che ha reso il lavoro a tempo indeterminato - cioè quello continuativo, più ancora che il "posto fisso" - una chimera.

Attraverso statistiche e storie personali, commenti di politici e notiziole di quotidiano (perché le notizie più scottanti vengono spesso confinate in qualche riga a fondo pagina), Gli esclusi mette insieme i pezzi del puzzle, cosicché l'immagine che ne risulta diventa finalmente chiara e comprensibile. Ed è un'immagine devastante, al di là dell'ottimismo dichiarato di chi, sicuramente non escluso, continua a descrivere le recenti evoluzioni dell'economia, il boom tecnologico e il cambiamento del panorama lavorativo come progresso tout court.


L'operazione è simile a quella che hanno fatto Miriam Mafai con Pane nero, o Chiara Valentini con Le donne fanno paura: immensi arazzi tessuti partendo da una guglia e un un frammento di filo. E il passato femminista di Anna Maria Mori, o anche semplicemente il fatto di essere donna, fa sì che l'autrice abbia un occhio particolarmente attento alle specificità femminili all'interno del quadro generale. Così scopriamo (si fa per dire) che le escluse, oltre ai problemi che condividono con le loro controparti maschili, affrontano in più il ricatto della discriminazione legata alla maternità e quello delle molestie sessuali.

Gli esclusi, come tutti i saggi che rivelano una verità scomoda, di quelle che sono sotto gli occhi di tutti ma che nessuno sembra vedere, è un libro "osceno": a leggerlo si prova alternativamente rabbia, sgomento, indignazione. Ma è scritto così bene e dice cose così importanti - mi ripeto, lo so, ma è un concetto essenziale - che dovrebbero leggerlo tutti, soprattutto gli esclusi, che scopriranno di non essere soli e forse usciranno da quel tunnel di diniego e di vergogna che è il più drammatico corollario di una situazione in cui ci si trova senza lavoro stabile, con tutte le incertezze e le paure che ne derivano, e allo stesso tempo ci si sente dire che si è fortunati, perché si è più liberi, più autonomi, più al passo coi tempi.

Anna Maria Mori, da giornalista consumata (anche se consumata è la parola sbagliata, per una donna alla quale le battaglie per cause anche perse non hanno tolto la voglia di combattere), lascia parlare i fatti, e le persone, inserendo pochi commenti e poche opinioni personali. Certo, c'è qualche scelta editoriale a monte: ma le statistiche citate dall'autrice, che non disdegna di affiancare anche dati contradditori, segnalano aberrazioni così macroscopiche che c'è ben poco da editorializzare. E le testimonianze degli esclusi sono toccanti proprio perché, più che grida di rabbia o lamenti di dolore, sono resoconti asciutti ed essenziali di esperienze avvilenti (di più: deumanizzanti) confessate con un pudore e un imbarazzo che sembrano implicare una corresponsabilità, o una vera e propria colpa, da parte delle vittime.

Panni sporchi da lavare in famiglia, anzi, nemmeno, perché l'escluso la famiglia spesso non ce l'ha ancora, o non ce l'ha più. I giovani che lavorano con contratti di formazione, interinali, a termine non possono mettere su casa perché l'affitto di un appartamento o le rate di un mutuo esigono busta paga, non possono fare figli perché se lavori con contratti di due mesi in due mesi, chi ti paga la "maternità"? e chi ti conserva il posto per quando potrai tornare in pista? I cinquantenni "in esubero" perdono la percezione di se stessi come capifamiglia (ricordate il dirigente "prepensionato" di Full Monty?), e la loro alienazione progressiva è spesso seguita da una disgregazione domestica che va dall'isolamento al divorzio.


Il lavoro, spiega Anna Maria Mori, è fondamentale nella costruzione della propria identità e nella pianificazione della propria esistenza. Destrutturarlo e frammentarlo può significare polverizzare vite intere. L'autrice ci racconta nel dettaglio i costi umani e psicologici, e alla lunga anche sociali, di una realtà lavorativa in cui la flessibilità è interpretata solo nell'ottica del datore di lavoro, e dove il "modello americano" è una scusa per togliere ai lavoratori quelle tutele minime che anche nella "deregulata" America fanno sì che molti lavoratori autonomi (non tutti, ahimé) possano contare su una copertura pensionistica e sanitaria e su una durata contrattuale minima. Se, per parlar chiaro, i contratti a termine americani durano in genere almeno un anno, e prevedono porzioni di contributi per pensione e sanità che possono essere allineati a formare una contribuzione continua nel tempo, i contratti italiani sono sempre più spesso di uno-due mesi, e senza alcun contributo.

Quel che è più grave, la realtà sociale italiana è ancora ancorata alla mentalità da posto fisso, per cui il lavoratore autonomo, il "libero professionista" -termine che un tempo indicava un potenziale evasore fiscale, e adesso indica un aspirante dipendente rassegnato alla precarietà- è ancora guardato con diffidenza e sospetto. Ma come, non è riuscito a rimediare nemmeno una raccomandazione per farsi assumere?

C’è il bla bla di economisti e intellettuali (e il mangia mangia di dirigenti e aziende), c'è il silenzio dei mass media (e persino di certi sindacati). E poi c'è il saggio di Anna Maria Mori, che rompe i tabù e fa capire che il dramma degli esclusi ci riguarda tutti, perché si traduce in aggressività incontrollata e disagio mentale (vedi le pagine della "nera"), nonché in un'incapacità cronica di programmare il futuro del Paese.


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