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La verità, vi prego, sul lavoro



Dibattito con Abete, Argentieri, Curzi, Leon, Rinaldi, Rossanda, Salvi,
a cura di Paola Casella



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"Questo dibattito dovrebbe essere trasmesso in televisione", ha detto Sandro Curzi, seduto accanto a Giancarlo Abete, Simona Argentieri, Paolo Leon, Rosy Rinaldi, Rossana Rossanda e Cesare Salvi sul palcoscenico del Nuovo Sacher dove, mercoledì 4, si è tenuta la presentazione del nuovo saggio di Anna Maria Mori, Gli esclusi (vedi recensione). "E farebbe pure audience", suggerisce l'autrice.

Invece, di audience live, alle 11 del mattino di un giorno infrasettimanale, ce n'era pochissima: pochi i curiosi e i non addetti ai lavori a occhieggiare fra le poltrone del cinema di Nanni Moretti. "Ai miei tempi i giovani partecipavano a queste iniziative. Dove sono oggi i giovani?". Dalla platea, una fila di under-30 risponde in coro: "Lavorano!!".

E' questo botta-e-risposta il segno dei tempi che introduce un ampio discorso sui cambiamenti della società del lavoro: prendendo spunto da Gli esclusi, si parla di liberismo e nuove schiavitù, di disagio psicologico e di crisi della famiglia. Un dibattito che davvero meritava un ascolto nazionale, e l'attenzione dei mass media. Ne riportiamo qui alcuni passi salienti:


Sandro Curzi:

Che cos'è la vita per un cinquantenne in esubero? Ho ascoltato la storia di uno di loro, ex dirigente Fiat, che a 50 anni si sentiva un uomo finito e che è andato avanti a mentire alla moglie e ai figli, uscendo e rientrando a casa alla solita ora, come se avesse ancora il suo impiego. Eravamo un Paese con un forte tessuto sociale, dove il lavoro era centrale, adesso viviamo in una specie di limbo senza sapere cosa accadrà dopo, se esisteranno persone che vorranno interessarsi sul serio degli esclusi.

Simona Argentieri:

Il primo nesso associativo fra la mia professione (di psicanalista, nda) e questo libro riguarda il disagio della civiltà, il malessere delle persone qualunque. Freud ne individuava la causa nel sacrificio pulsionale. Oggi i sacrifici pulsionali non li fa nessuno e quasi nessuno li richiede. L'impulso aggressivo circola liberamente, la sessualità è diventata un'esigenza socioculturale. Ma il malessere rimane. Ci troviamo in una situazione di estremo disagio della quale Anna Maria Mori ha fatto l'analisi più acuta, individuandone la causa nella complessa relazione fra il dramma socio-economico-culturale e quello esistenziale.

In particolare, Anna Maria Mori ha sottolineato l'importanza del lavoro come referente dell'identità individuale di ciascuno, soprattutto in assenza di altri punti di riferimento importanti. Lo vedo nella mia pratica clinica: addirittura si preferisce poter dire: "Io sono anoressico" o "Io sono depresso" piuttosto che non poter dare una risposta alla domanda: "Chi sei?"

Per le donne della mia generazione il lavoro ha inoltre rappresentato il riscatto. Prima l'identità femminile era collegata alla biologia, oggi ci sentiamo valutate per ciò che facciamo, ma il rischio è quello di far diventare il lavoro un surrogato di tutto quello che ci manca.

Fra gli esclusi, c'è una distinzione di generazione e una di genere sessuale. Tra le persone mature, gli uomini reagiscono alla perdita del lavoro con reazioni depressive - compresa la più estrema, il suicidio - o di difesa maniacale ed euforica; le donne invece sono più capaci di riorganizzarsi, attraverso il volontariato, la cura dei nipotini, o magari l'università della terza età. Fra i giovani la situazione è invece tragicamente pari, nel senso che per entrambi i sessi esistono dipendenze abnormi dalla famiglia, e lo studio diventa un'eterna anticamera all'entrata nel mondo del lavoro.

Su tutti domina il sentimento della vergogna: colui che non ha lavoro si vergogna e si sente in colpa. E c'è una collusione fra le vittime e coloro che dovrebbero difenderle, nella forma di una mentalità condivisa: quella dello pseudo ottimismo nelle tecnologie avanzate.

Anthony Giddens dice cose che non mi piacciono più: il suo concetto di flessicurezza, ad esempio. Se diventa precario anche il lavoro, è veramente troppo. Del resto i più recenti dati dell'Istat segnalano che la paura più forte del cittadino italiano medio è oggi quella di perdere il lavoro.

Davanti a questa situazione, la classe politica ha adottato una serie di difese psicologiche, che vanno dalla negazione all'euforia. E il tasso di aggressività all'interno della società continua a crescere. Ma è un'aggressività che non diventa mai trasformatrice rispetto alla realtà.


Cesare Salvi:

Anna Maria Mori parla di cose delle quali non è bon ton parlare. E toglie il velo all'ideologia dell'ottimismo. Le cose non stanno come ci vengono presentate dai teorici del neoliberismo. In tutti i paesi industriali avanzati esiste un grande e nuovo malessere sociale che non ha voce. Da ministro del Lavoro, mi confronto ogni giorno con l'Italia delle vertenze, degli esuberi, delle casse integrazione. Sono solo soluzioni per ridurre il danno.

Fino a qualche tempo fa l'alternativa era occupazione o non occupazione, e se eri occupato, si trattava di posto fisso. Adesso esistono fasce grigie, soprattutto per chi entra nel mondo del lavoro: contratti a termine, di formazione, occupazione interinale. Poi c'è la fascia degli obsoleti, parola che non si dovrebbe usare parlando di esseri umani: sono i cinquantenni vittime delle trasformazioni della realtà produttiva, che vengono prepensionati anche se poi fra il prepensionamento e l'età in cui si percepisce la pensione intercorrono 15 anni.

Il quadro che dà Anna Maria Mori è troppo nero? Non lo so, sicuramente è una realtà per la quale non c'è ascolto sufficiente, a causa di una difficoltà di rappresentanza politica e in parte anche sindacale. Non è vero che il posto fisso sia morto, perché l'impresa che progetta il proprio futuro preferisce ancora oggi il contratto standard. Ma si è invertita la proporzione fra lavoro fisso e flessibile.

Il lavoro fisso è ancora oggi il lavoro "buono" che l'impresa dovrebbe offrire. Non è vero che chi ha un lavoro precario è più contento perché può andare dove vuole. Nella grande maggioranza dei casi, quella dei lavoratori "atipici" è una realtà drammatica: non possono mai consolidare le proprie aspettative. Questo è un punto debole della sinistra, anche di quella italiana. Non c'è stata capacità di ascolto, non si è mostrato di voler capire che esiste questo malessere sociale profondo, di voler affrontare il problema degli esclusi. O forse si comincia a capirlo ora, ma con un ritardo inescusabile.

Mostrare di aver capito e di voler farsi carico della situazione degli esclusi è decisivo. Bisogna recepire il problema e poi impegnarsi a risolverlo. Solo così si affronta anche il nodo dell'assenteismo alle urne.

Nella Costituzione italiana è scritto che il lavoratore ha diritto a un trattamento economico sufficiente ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa a sé e alla sua famiglia. E' un vero e proprio principio espresso nella prima parte della Costituzione, proprio quella che la destra definisce "sovietica", e quindi "da cambiare".

E' inaccettabile, quando si citano questi passi della Costituzione, sentirsi apostrofare come conservatori e passatisti, come se il nuovo fosse di per se stesso espressione di un giudizio di valore. Il futuro che ci viene indicato dal modello America non dà risposte, anzi, aggrava i problemi.

Oggi il tema aperto è quello dell'insicurezza, che è ampio, diffuso e presente a tutti i livelli. Dobbiamo stare attenti a che il tema "sicurezza" non venga ridotto al tema "ordine pubblico", che poi si traduce nella preclusione contro il diverso.

Il tema della sicurezza invece attiene a una realtà di rapporti sociali in cui gli esclusi sono molti e gli "inclusi" temono di diventare esclusi da un momento all'altro. E' questo il grande problema da affrontare. E' questa la vera posta in gioco. E il ritardo della sinistra a questo proposito deve essere colmato.

Rosy Rinaldi:

Il saggio di Anna Maria Mori traccia un profilo sul lavoro, sull'economia e sulle nuove tecnologie che fa davvero impressione. Dal mio osservatorio, posso dire che la precarietà del lavoro cancella i legami forti, mette i giovani contro gli anziani, riduce l'autostima, sostituisce all'orgoglio del lavoro ben fatto quello dell'affare messo a segno.

Certe parole, poi, nascondono realtà inconfessabili. Pensiamo al termine "flessibilità", che un tempo aveva una valenza positiva perché veniva inteso come scelta, e che ora è una condizione subita. E' come se la parola stessa ci si fosse rivoltata contro.

La maggior parte delle testimonianze contenute nel libro sono vissute a livello individuale, come se non si potesse costruire un discorso generale sulla base di esperienze del tutto simili. Predomina un senso di vergogna che non riesce a trasformarsi in rabbia, e un senso di colpa dato dalla constatazione di non essere stati in grado di adattarsi, il che significa non aver saputo stare alla leva di comando, da altri determinata. E gli strumenti per estromettere un lavoratore dal mondo del lavoro adesso ci sono, sono il frutto di politiche che volevano investire in favore dell'occupazione.

La convenienza nell'assumere, per il datore di lavoro, non è legata alle competenze professionali dei lavoratori, ma agli incentivi che vengono dati alle aziende da certi tipi di contratto, come ad esempio quello di formazione. E abbiamo concesso questi incentivi alle aziende chiedendo loro troppo poco in termini di vincoli.

Così oggi sia i 25enni che i 40enni sono alla perenne ricerca di un posto di lavoro. E le donne subiscono in modo ancora più forte questo sistema di precarizzazione: l'allungamento del periodo di prova, ad esempio, corrisponde ad un ritorno alle molestie sessuali. Il ricatto è forte: o cedi alle molestie, o non ti confermo il contratto.

Il problema oggi è che il lavoro flessibile si sostituisce a quello stabile. Berlusconi si è impegnato pubblicamente a sostituire una Costituzione fondata sul lavoro con una fondata sull'impresa. E la sinistra ha molte responsabilità: certi danni culturali non sono stati evitati.

Sandro Curzi:

O sono stati fatti.

Giancarlo Abete:

Il saggio di Anna Maria Mori contiene una forte riflessione sul lavoro come identità, come stabilità e possibilità di programmazione. E sottolinea il valore del lavoro come scudo protettivo nei confronti delle difficoltà. Inoltre ha il pregio di sovrapporre le facce delle persone alle statistiche. Bisogna però evitare due tipi di atteggiamento: quello dell'accettazione senza condizioni ma anche quello dell'opposizione aprioristica, senza ragionamento.

Il cambiamento della realtà lavorativa dev'essere integrato, spiegato e accompagnato da progetti. Anche per le aziende è venuta meno la possibilità di avere una programmazione, non più somma delle stesse variabili. Bisogna perciò attivare politiche generali che accompagnino il cambiamento e che aiutino il sistema a cambiare. E bisogna responsabilizzare il mondo del lavoro affinché non si comporti secondo logiche corporative.

Paolo Leon:

Le opposizioni che il saggio di Anna Maria Mori incontrerà sono essenzialmente tre: si dirà che i disoccupati sono volontari; si dirà che sono stati cicale che non hanno saputo formarsi in vista dei nuovi cambiamenti; e si dirà che è tutta colpa dello Stato. E Giddens e i suoi seguaci liquideranno le considerazioni contenute nel libro come "roba da Victor Hugo".

L'avvento della tecnologia, come ogni altro progresso tecnico, genera disoccupazione. Il problema dell'esclusione dal mondo del lavoro non è solo di politica economica, ma anche socioculturale, malgrado ognuno degli esclusi si senta un caso isolato. Le masse invece, che non avevano da perdere che le loro catene, si univano per spezzarle.

Quella dell'escludibilità non è una situazione nuova: il primo elemento forte del principio di esclusione, che è poi penetrato nelle coscienze dei singoli individui, è stato la generalizzazione della cassa integrazione, vent'anni fa. Il problema degli esclusi non è stato affrontato perché altri sono stati considerati prioritari: il risanamento finanziario, l'unione economica monetaria europea, secondo parametri che implicavano una disoccupazione elevata.

E' come se ci fosse una cattiva coscienza nel non voler agire conseguentemente alla lettura dei dati e delle storie elencate nel saggio della Mori. Nel non voler affrontare le conseguenze sociali della cosiddetta modernità.

Rossana Rossanda:

Gli esclusi è scritto da una non addetta ai lavori, la cui specialità è affrontare argomenti scomodi: l'ha fatto con il caso Moro, con il silenzio delle femministe, con le foibe. E ha contrastato l'assunto, così diffuso oggigiorno, che quella del lavoro sia solo una questione economica.

Non è vero: il lavoro è il mezzo di accesso più elementare ed immediato alla distribuzione di ricchezza sociale. L'avere accesso a un reddito significa poter programmare: farsi una famiglia, pianificare le vacanze.

Il lavoro è anche la nostra principale fonte di socializzazione. E invece oggi sono tramontati sia il diritto al lavoro che i diritti del lavoro, cioé le normative relative ad esempio all'orario, quei famosi "lacci e lacciuoli" che renderebbero impossibile la crescita del prodotto interno lordo, che rimane sempre basso.

Il lavoro oggi è flessibile - ma solo in riferimento ai bisogni dell'impresa -, intermittente e nomade. La collettività politica invece deve tenere fermo il diritto del cittadino a vivere, riprodursi e condurre un'esistenza decente. Credo che ciò che la sinistra ha perduto, da dieci anni a questa parte, sia la capacità di tenere a mente l'uomo rispetto alle magnifiche sorti e progressive dell'economia.

Non tocca all'impresa, che si dichiara responsabile solo di incrementare il suo capitale, tocca alla politica affrontare il problema degli esclusi.Il libro della Mori serve a dire: signori, la situazione è questa, il re è nudo.


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