La leggerezza nelle mutazioni
Cristina Donà con Antonia Anania
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Cristina Donà? Cristina Donà!
E’ il 23 Marzo, Cristina Donà canta all’Alpheus di Roma. Sono le
19:00 e sono puntuale. Entro nel locale dove abbiamo appuntamento e i
musicisti si preparano per il sound-check.
Cristina ha i capelli più lunghi rispetto alle foto di Nido, l’ultimo
suo disco, che risale a un anno fa vedi biografia collegata). All’inizio
non la riconosco - conosco benissimo la sua voce, poco il suo volto -,
c’è qualcosa comunque che mi porta verso quella ragazza con vestita
di jeans: lei mi accoglie con disponibilità, ci sediamo su due
tavolini di fronte a una grande finestra che dà sulla strada e
giochiamo con un piccolo registratore che servirà a ripercorrere
questo incontro.
Cinque parole per descrivere Cristina Donà come donna e come
cantautrice.
La prima che mi viene in mente è "disordinata", anche
se dovrei evitarla per non autocondizionarmi. La seconda è
"innamorata" - della musica, naturalmente. La terza è
"smemorata". La quarta "indecisa" e la quinta
"volenterosa" perché, soprattutto in quest'ultimo periodo,
mi sto applicando per far fruttare la confusione che si crea nella mia
testa. Ecco, due parole buone e tre malate. Adesso non le ricordo
neanche tutte, anzi se potessi aggiungerne un’altra è smemorata, o
l’ho già detta?
In che modo sono vicini Nido, il suo ultimo album e Appena
sotto nuvole, il libro di pensieri, foto e disegni che ha
pubblicato l'anno scorso per Oscar Mondadori?
Alcune delle cose che sono finite nel libro sono state scritte
contemporaneamente alla gestazione di Nido. Le mie canzoni
nascono distillando tutto il materiale, i pensieri, le note, le
immagini che vedo, percepisco e metto per iscritto. Quando mi hanno
proposto di pubblicare i miei scritti ho dato un’occhiata a tutti i
testi che non erano stati distillati in canzoni e ai quali ero
comunque affezionata. All’inizio non ero molto convinta di farli
pubblicare, poi ho pensato che avrei potuto far conoscere agli altri
alcuni miei punti di vista, privilegio che non tutti hanno.

Infatti nelle parole del suo libro e delle sue canzoni, si avverte
il desiderio di manifestarsi agli altri, di spiegare sentimenti e
sensazioni. Spesso invece i cantanti si ispirano alla propria vita ma
durante le interviste non vogliono dare ulteriori spiegazioni e
affermano che le canzoni, una volta pubblicate, diventano del
pubblico.
Le cose che io ritengo davvero private non stanno né nel libro,
né nelle canzoni, perché sono quelle che comunque non racconto
volentieri a nessuno, che mi fanno male o che voglio tenere per me.
Trattandosi di eventi e segreti, non andrei a venderli - credo,
perché poi ‘mai dire mai’.. - a Sorrisi e Canzoni o
qualsiasi altro giornale. Contemporaneamente ho sempre amato i
cantautori profondi e originali. Parlare e scrivere su diari e
taccuini di quello che si prova è naturale, ma chi mi ascolta e mi
legge deve avvertire la mia forza, la mia peculiarità, il modo tutto
mio di espormi e condividere sentimenti.
Durante la stesura di una canzone, inizia dalla musica o dal testo?
Per Tregua, il primo album, ho cominciato sempre con i
testi. Per il nuovo album, che vedrà la luce l’anno prossimo, mi
piace variare e sperimentare, partendo ora da un testo ora da una
musica, così com’è successo con Nido.
E invece come nascono i titoli?
Nascono alla fine, quando ho capito il contenuto dell’album e
delle canzoni. Nido, Goccia… mi piace sempre usare una
sola parola, al massimo due o tre, perché agisco e cerco di pensare
per semplificazione; la scrittura è un esercizio di pulizia nel mio
disordine. Ma potrei anche sorprendervi e dare al prossimo lavoro un
titolo lunghissimo.
Quali sono le canzoni più sensuali di Nido?
Volo in deltaplano, malgrado sia di difficile ascolto e all’apparenza
poco morbida, e Goccia.
Anche l’immagine che regala sulle foto di copertina del disco è
molto femminile e sensuale. La parrucca e il vestito rosa sembrano un
voler giocare e allo stesso tempo un provare a fare la donna
iperfemminile.
Chi mi conosce nel quotidiano e poi mi vede cantare nota subito
una mia ambiguità: quando canto esce fuori, volontariamente o
involontariamente, tutta la femminilità e sensualità che da un lato
tengo chiuse e nascoste nel quotidiano per comodità mia, perché mi
piace essere casual, e dall’altro represse, perché non mi
sono mai sentita veramente a mio agio vestita da donna, se non in
determinate situazioni di “sicurezza”. Non so se è una questione
di italianità e di educazione cattolica, ma ho vissuto la mia
femminilità in modo strano, come se dovessi vergognarmi di essere
vestita in modo provocante.
Le persone che si sono occupate di seguire la grafica di Nido
hanno pensato di valorizzare questa sensualità canora anche come
immagine. In realtà la copertina ha suscitato molte perplessità e
stimolato domande: il fatto che in una foto non ci sia la testa, che
poi ritorna in un’altra foto ma ripresa da dietro e con la parrucca,
sono giochi e stranezze che incuriosiscono e hanno spiazzato tutti
quelli che si erano fatti un’idea di me tramite Tregua.
Inizialmente avevamo preparato tre tipi d’immagini diverse, io ho
scelto quello che dà l’impatto più forte, sicuramente femminile ma
strano. E’ un look kitch pop che esprime appieno sia la prima parte
dell’album, abbastanza romantica con Goccia, Qualcosa che
ti lasci il segno, Nido, che nonostante l’osticità
iniziale comunque è una canzone d’atmosfera, sia la seconda parte,
un po’ fuori di testa e bizzarra, tramite l’uso della parrucca e
del vestito tempestato di pietre.
Lei sta “esplodendo” da grande, rispetto ad altre sue colleghe
che hanno avuto un successo immediato. Ha fatto più gavetta, c’è
stata più fatica?
A ventitré anni facevo la scenografa a Milano, mi piaceva ma
sentivo che non era il lavoro giusto per me. Nel frattempo cantavo
già nei locali ma soltanto cover. A venticinque anni mi sono stufata
di interpretare pezzi di altri e ho cominciato a scrivere canzoni mie,
e solo dopo parecchio tempo ho partorito dei testi che piacevano a me
e ai miei amici musicisti che mi hanno incoraggiato a continuare, tra
cui Manuel Agnelli degli Afterhours.
Iniziare tardi mi ha dato comunque la capacità di vivere l’ambiente
musicale con più ‘saggezza’ e distacco rispetto al diciottenne
che comincia a fare questo lavoro subito con un contratto e magari
molte incazzature. Naturalmente se tornassi indietro cercherei di
cominciare prima anche se comunque quello dei miei inizi è stato un
periodo fortunato in cui c’era un gran fermento musicale e c’era
voglia di far uscire cose diverse; inoltre era nata la Mescal che ha
pubblicato il mio disco e che è un’etichetta indipendente italiana
impegnata concretamente a far conoscere la musica che produce.

In Italia solo da pochi anni nascono etichette indipendenti. Per l’esperienza
che lei ha avuto com’è il rapporto delle major con i cantanti?
Avevo proposto anche ad alcune major il mio lavoro ma non erano
interessate. In generale le major sono comunque legate a prodotti
stranieri per cui se un cantante italiano vende cento o duecento mila
copie va tutto bene, ma se ne vende diecimila non è nessuno, non può
fare un altro disco ed essendo sotto contratto con loro, non può
neppure provare da un’altra parte. Non succedono cose belle sotto le
ventimila copie, soprattutto se si appartiene a una grande etichetta!
Aimee Mann ha riacquistato i diritti del suo ultimo disco e ha
creato un’etichetta indipendente, così come ha fatto anche Ani di
Franco di cui lei è stata supporter nel suo ultimo tour italiano. Le
ragazze della musica italiana sono pronte a un passo come questo?
Io non mi sono mai posta il problema soprattutto perché mi trovo
molto bene con la Mescal ma è sicuro che fondare un’etichetta non
è semplice, è questione di mezzi e possibilità. L’America, per
quanti lati negativi abbia, è davvero il Paese delle opportunità,
perché mentre ti fa schiattare su una strada perché il sistema
sanitario non passa la medicina base, dà anche possibilità
lavorative inesistenti in Italia. Inoltre l’America ha una
tradizione cantautorale femminile ben radicata e forte e che motiva
nel perseguire obiettivi nuovi e ‘rivoluzionari’. Gira voce che
Carmen Consoli abbia l’idea di fondare un’etichetta sua, in ogni
caso lei ha già più mezzi di me.
Come vede il panorama delle cantautrici italiane e quali
preferisce?
Le donne della musica italiana sono state quasi sempre interpreti.
Forse una delle prime a farsi notare come cantautrice è stata Paola
Turci, influenzata peraltro da americane come Suzanne Vega. Carmen
Consoli è un ottimo esempio di cantautrice femminile e nuova. Mi
piacciono molto Ginevra Di Marco, che canta con i C.S.I. e ha fatto un
album da solista, Lalla B., poco conosciuta ma che fa esperimenti di
scrittura e musica davvero interessanti. Conosco poco i testi di
Elisa, ma ha una voce straordinaria ed è uno dei pochi esempi di ‘cantautrice’
italiana che sfonda anche all’estero.
Quali sono i gruppi che ascolta più spesso in questo periodo?
I Cold play e l’ultimo De Gregori che ha qualcosa dentro che mi
intriga. Anja, la figlia di Jan Garbarek, con Baloon Mood, i
RadioHead con Kid A, il nuovo doppio album live degli
Afterhours e Marco Parente.
E i vecchi amori musicali che non si scordano mai?
Il più grande che ho avuto, quasi da strapparmi i capelli, è stato
Bruce Springsteen. L’ho conosciuto nell’84 in prossimità di Born
in the U.S.A. e poi sono andata a ritroso con Nebraska e Darkness
on the edge of town e lo stesso Born to run, che mi hanno
accompagnato per tanti anni e mi hanno dato moltissime emozioni. Poi
gli U2, Sinead O’Connor, Tom Waits, Lucio Battisti e Jeff Buckley
che nel '95 è uscito con Grace.
A proposito di Jeff Buckley, lei è una delle poche fortunate che
lo ha visto in uno dei suoi due unici concerti italiani.
Era la tappa di Milano. Ho raccontato la mia esperienza nella
biografia su Buckley che ha scritto Chiara Papaccio (Giunti,1999).
Quella sera ero seduta accanto a Silvio Orlando e ricordo ancora che
scambiai con lui due o tre parole sul fatto che eravamo rattristati,
perché il locale era inadeguato per un cantante come Jeff. Purtroppo
ho perso il concerto di Correggio che tutti hanno definito pazzesco.
Buckley era fascinoso, aveva una capacità interpretativa da far
tremare le viscere. Era un angelo per cui morendo è tornato a fare
quello che fanno gli angeli, qualunque cosa sia.
Nel suo libro racconta di avere una “visione appannata delle cose”.
Ogni volta che mi trovo di fronte a situazioni e cose nuove non ho ben
chiaro né quello che penso, né quello che vedo; ho bisogno di capire
e accertarmi della natura di queste cose in modo tale da trovare punti
di vista diversi. E all’inizio vivo e vedo tutto come in una visione
appannata forse perché ho paura delle cose nuove per cui faccio finta
di non averle viste bene. E' difficile definire e decidere.
Più cresco e più mi rendo conto della continua evoluzione delle cose
e degli stati d’animo. Questa consapevolezza potrebbe essere
snervante, ma il trucco è imparare a vivere questo sentimento di
mutazione con leggerezza… perché cercare di costruire, come diceva
Battiato, “un centro di gravità permanente” può essere dannoso,
cercare di non "cambiare idea sulle cose e sulla gente” può
far male a me e agli altri perché si attuano spesso prese di
posizioni a sproposito. Per cui sempre con Battiato possiamo cantare
di volere “un po’ di leggerezza e di stupidità”.
Adesso Cristina Donà, Cri per gli amici, è pronta per il concerto.
Salirà sul palco ‘vestita da donna’ con modi ironici e raffinati.
Una Donà Summer che, malgrado vari problemi tecnici, incanterà il
pubblico con tutte le sue “stelle buone”, per ricordare una delle
sue canzoni d’amore in Tregua.
Il link
http://wwwmembers.tripod.com/cristinadona/
L’unofficial Web site più vicino all’artista, la quale
risponde personalmente alle e-mail, che possono diventare anche
rubriche del sito, come il Franzis Channel. Contiene vignette,
foto, notizie, recensioni e interviste.
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