130 milioni di vittime
Ada Pagliarulo
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Sono 130 milioni, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, le
donne che hanno subito mutilazioni genitali. E aumentano di due
milioni ogni anno. Le forme in cui viene praticata variano da Paese a
Paese: circoncisione del clitoride, escissione del clitoride
accompagnata dal taglio delle piccole labbra e - la più cruenta -
infibulazione o circoncisione faraonica, che comporta, oltre
all'asportazione del clitoride, delle piccole labbra e di una parte
delle grandi labbra, la ricucitura della vulva. Dopo questa
operazione, quel che rimane è un piccolo foro, non più grande della
testa di un fiammifero, per permettere la fuoriuscita del sangue
mestruale e dell'urina.
Daniela Colombo, presidente dell'Aidos ( Associazione donne per lo
sviluppo) intervenendo alla conferenza internazionale sulle MGF
tenutasi a Roma il 6 marzo scorso, ha dato conto anche della
registrazione da parte dell'Oms di un quarto tipo di mutilazione
genitale che ne comprende vari tipi: la cauterizzazione per ustione
del clitoride e dei tessuti circostanti, la raschiatura dell'orifizio
vaginale, e il "dry sex", ovvero l'introduzione di sostanze
corrosive nella vagina o l'introduzione di erbe all'interno di essa
per "asciugarla". Quest'ultima pratica è diffusa in
Sudafrica e Paesi limitrofi.
Il primato delle mutilazioni genitali femminili appartiene a Somalia e
Gibuti, dove l'hanno subita il 98 per cento delle donne. Seguono, con
il 90 per cento, l'Etiopia, l'Eritrea e la Sierra Leone. Sudan: 89 per
cento. Mali: 75 per cento. Gambia e Costa d'Avorio: 60 per cento.

Le origini delle MGF - si legge in un rapporto della Commissione
diritti umani delle Nazioni Unite - non sono chiare, ma si possono far
risalire ad epoche pre-cristiane e pre-islamiche: "nell'antica
Roma, anelli di metallo venivano applicati alle piccole labbra presso
le schiave per prevenire le gravidanze". Alla cerimonia della
mutilazione assiste tutta la comunità presso alcune tribù di
aborigeni in Australia e tra i Conibos del Perù. La pratica è
diffusa in ventisei paesi africani, ma anche in Indonesia, e in
Malaysia. Presso i Bambara, nel Mali - si legge ancora nel rapporto
Onu - è opinione comune che se il clitoride tocca la testa di un
bambino al momento della nascita, il neonato morirà: "il
clitoride è visto come una caratteristica maschile in una donna"
e pertanto va rimosso.
Gli strumenti del mestiere di mammane e praticoni africani sono un
coltello da cucina, una lama di rasoio, un pezzo di vetro. Vengono
riutilizzati più volte, senza alcuna sterilizzazione, diventando
così uno straordinario mezzo di diffusione dell'Aids. L'età delle
donne a cui viene praticata varia da zona a zona: la si può subire a
qualche giorno dalla nascita o tra i 7 e i 10 anni, da adolescente o
poco prima del matrimonio. Infezioni alle vie urinarie, setticemie,
tetano, emorragia, epatiti, fistole alla vagina e rettali, sterilità,
sono le conseguenze più comuni di questi interventi che portano alla
morte una donna su dieci.
Olayinka Koso-Thomas è medico in Sierra Leone ed è presidentessa del
Comitato Interafricano sulle pratiche che attentano alla salute delle
donne. Intervenendo al convegno internazionale del 6 marzo scorso, ha
raccontato come sia difficile rendere comprensibili le più elementari
norme di educazione sanitaria a donne che nulla sanno del proprio
corpo: difficile spiegare ad una ragazza di diciotto anni che esiste
un collegamento tra i disturbi che accusa o la malattia dalla quale è
stata colpita e l'operazione subita durante l'infanzia.
Tra gli ostacoli in cui si imbattono coloro che si oppongono alla
pratica delle mutilazioni genitali, vi è l'oggettiva difficoltà di
"riconversione lavorativa" dei circoncisori. Fatou Waggeh,
direttrice della Fondazione per la ricerca sulla salute della donna,
è impegnata in Gambia in un progetto di formazione sanitaria e
paramedica destinato proprio ai circoncisori: non è facile - ha
spiegato - convincerli che potrebbero fare un altro mestiere, visto
che di questo vivono. "Sono temuti, sono potenti: in Gambia
vengono paragonati ai coccodrilli e non se ne può vedere il volto.
Neanche la madre della bambina che sta per essere infibulata può
vederli".

Sono, per la maggior parte, donne che hanno ereditato il mestiere
dalle loro madri. E' stato difficile avvicinarle ma, una volta
riusciti in questa impresa, si è cercato di convincerle che le parti
oggetto della mutilazione sono essenziali per la salute della donna e
che essere in possesso delle basilari nozioni di anatomia avrebbe dato
loro un ruolo altrettanto importante per la collettività in cui
vivono. Sono nate così alcune associazioni di ex-circoncisori. A
volte, con piccoli prestiti, hanno avviato un'altra attività.
Parallelamente, la fondazione di cui è direttrice Fatou Waggeh tenta
di instaurare un dialogo culturale con le comunità e i loro capi
religiosi: se la resistenza ad abbandonare questa pratica è legata
alla paura di perdere la propria identità culturale, che nella
cerimonia della mutilazione genitale vede il passaggio all'età
adulta, ci si sforza di spiegare alle donne che essa non è mai stata
davvero prescritta dai precetti della religione musulmana. "Ci
rispondono spesso che è un obbligo religioso: ma le donne africane
conoscono sì e no due versetti dei testi sacri. Ecco perché nei
nostri incontri noi insegniamo loro ciò che dice veramente il
Corano".
A Daar Es Salaam, in Tanzania, agli inizi di marzo, la conferenza
internazionale dedicata alle MGF si è posta l'obiettivo di sradicare
queste pratiche entro il 2010. Finora soltanto l'Egitto, il Burkina
Faso, il Sudan, la Tanzania e il Ghana si sono dotate di una legge che
le proibisce. Peraltro, a ben leggere, in alcuni casi non si specifica
a quale sanzione si vada incontro (Burkina Faso) o si proibisce solo
l'infibulazione totale (come è il caso del Sudan) o si vieta la
pratica al di sotto dei 18 anni di età (Tanzania): soltanto la
legislazione del Ghana qualifica le mutilazioni come "atto
criminale" e prevede il carcere per chi le pratica.
L'obiettivo è dunque ambizioso, ma l'inventiva non manca alle donne
africane impegnate nelle associazioni contro le MGF: "Abbiamo
parlato con la comunità - raccontava Fatou Waddeh - ed abbiamo creato
insieme a loro un nuovo rito di passaggio: ora i genitori piantano un
piccolo albero per ogni adolescente che sta per diventare adulta e gli
ex-circoncisori hanno trovato un nuovo ruolo, essendo parte attiva
nella preparazione dei riti di iniziazione. Così è nato un piccolo
frutteto".
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