I
lettori scrivono
Da: ennio57@hotmail.com,
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it>
Data: Martedì, 13 febbraio 2001 7:13
Oggetto:
Recensione Domenica
Cara Paola Casella,
Seguo da tempo le tue recensioni, delle quali apprezzo il tono e lo
stile, ma secondo me Domenica è meglio di come si evince dalla
tue righe. Ognuno è libero naturalmente di pensarla come vuole, ma
purtroppo le cose che scriviamo hanno, specie a seconda del punto da
cui ci pronunciamo, un peso ed un rilievo diversi.
Domenica è un bel film, sensibile, attento, forse fin troppo
ben scritto e secondo me andava e andrebbe difeso più di quello che
la stampa italiana, e quindi il botteghino, e quindi l'esercizio
stanno facendo.
E' inutile che mi metta a ripercorrerne la trama, preferisco
constatare che purtroppo sia l'autrice che il protagonista pagano
colpe non proprie o non esclusivamente proprie. Chi sono quest'Amendola
che vuole fare finalmente un film adulto, un ruolo adulto, e
soprattutto questa Labate che si è permessa di andarci a parlare,
qualche anno fa, del terrorismo e degli anni di piombo? Erano
chiaramente attesi ad una seconda prova (specie l'autrice) e sono
stati giustamente ricompensati.
Basta leggere il tono paternalistico della recensione a firma di
Roberto Nepoti su Repubblica e verificare che in rete c'è veramente
pochissimo sul film, per percepire che fra silenzi e omissioni, questi
borderline dell'ambiente, questi non allineati sono stati
"giustamente" puniti.
Del film che dire? Tutto vero quello che tu scrivi, compresa la Napoli
di sfondo, d'accordo con la scrittura da tinello, stile Petraglia e
fiction televisiva direi (cito due casi in cui la scrittura filmica
ribadisce il già detto - Domenica nel giardino dell'asilo e dopo
primo piano di Domenica che gioca sola lungo i cornicioni del muretto;
il regalo degli occhiali feticcio e dopo il vucumprà che vende
proprio occhiali, ossia, se non lo capite ve lo sottolineo meglio!!),
meno d'accordo sui dialoghi, per me vanno bene così, sarebbe poi da
leggere il romanzo originale, avrei preferito uno Sciarra un po' più
anziano, magari senza malattia, bastava il mal di vivere (ancora un
eccesso di manuale di sceneggiatura, forse).
Poi un tema di riflessione: perché nell'immaginario collettivo gli
eroi - Leon, Ghost dog e Sciarra (chissà come si chiama di nome?
Lupo, forse - Sciarra non ha una gamba, ma una zampa) sono degli
animali feriti condannati a morte certa (in scena o entro tre mesi),
mentre la purezza (oltre ogni cosa, stupri, omicidi o Bronx) può
chiamarsi Mathilda, Pearline o Domenica e perché la vita vera è
così triste che sono perbene, dabbene e dignitosi solo gli
emarginati, killer o commissari che siano?
Tutto questo sproloquio è per dire che se non difendiamo film come
questo, finisce poi che dopo una settimana li potremo vedere solo in
una sala (ora al Quattro fontane, a Roma) e dopo due, dovremo solo
attenderne il passaggio televisivo o il vhs. Forse avremmo potuto e
dovuto difenderlo di più.
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