Lestetica del brutto
Remo Bodei con
Silvia Calandrelli
Questa intervista fa parte dellEnciclopedia
multimediale delle scienze filosofiche, unopera realizzata da Rai-educational in
collaborazione con lIstituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio
dellUnesco, del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del
Consiglio dEuropa.
L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme despressione
e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel
suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea.
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Professor Bodei, può ripercorrere la storia del concetto di brutto partendo dalla
filosofia greca, che ha trattato il brutto come il male in quanto semplice non-essere e
cercare così di darne una definizione?
Il brutto è sempre stato considerato come lombra del bello, come il suo fratello
gemello cattivo; quindi sostanzialmente, allinizio della nostra civiltà, il brutto
ha la caratteristica analoga a quella del falso o a quella del male morale, cioè se ne
vuole negare lesistenza positiva. Nella filosofia greca, soprattutto da Platone a
Plotino, che più hanno teorizzato questi concetti, il brutto si presenta appunto sotto la
forma del "non-essere". Ad esempio, quando una statua manca della proporzione
giusta - secondo il canone di Policleto, per esempio, una testa maschile deve essere dal
mento allattaccatura dei capelli un decimo dellaltezza del corpo - la statua
è brutta; si dice che è colpita da questa maledizione del non-essere, nel senso che
cè qualche cosa che non dovrebbe essere così.
Questa è la forma più semplice di esprimere le cose. Quando poi invece, nella tradizione
che parte da Plotino e arriva al Rinascimento italiano, si considera il brutto, esso è
sempre legato allidea di una minaccia, di qualche cosa che il bello riesce a domare,
ma non completamente. Il brutto è lo spuntare, per così dire, del caos nellordine.
Quindi lunica strategia per capire che cosa è il brutto, è di strapparlo nella sua
storia da questa assenza di vero, di buono, e vedere come acquista progressivamente
caratteri ben determinati e, anche questo progressivamente, diritto di cittadinanza nella
patria dellarte. Noi siamo abituati a pensare che lestetica sia soltanto
estetica del bello, mentre invece la teoria, dallOttocento in poi, e la pratica
sempre, non hanno fatto distinzione tra il bello in senso classico, cioè come modello, e
il bello che contiene degli ingredienti di brutto.
Esaminiamo allora la lettura che del concetto di "brutto" ha dato invece
il Cristianesimo. È stato infatti il Cristianesimo, per motivi dottrinali, a rivendicare,
in qualche modo, la positività del brutto. In quali termini è avvenuta questa sorta di
riabilitazione?
Basta guardare un Cristo crocifisso per capire che questo Dio sofferente, che si immola
per tutti gli uomini, non ha a che vedere con le tradizionali divinità olimpiche, se mai
con Dioniso o con Orfeo, come sarà notato, o con Eracle. Il Dio cristiano contiene in sé
questa smorfia di dolore e di sofferenza, manca di quella serenità che, tradizionalmente,
da Winckelmann in poi, siamo abituati ad attribuire allarte classica e alla
religione classica, anche se linterpretazione di Winckelmann è discutibile.
Ma vi sono delle ragioni dottrinali. Il Messia viene rappresentato dalla Bibbia,
soprattutto in Isaia, come un uomo non soltanto insignificante ma brutto, perché verrà e
nessuno se ne accorgerà. Questa intuizione di Isaia viene ripresa dagli autori cristiani
soprattutto del III secolo e fino al V, cioè dai Padri della Chiesa dAfrica,
Cipriano e altri, fino ad Agostino, attraverso una analogia: "deformitas", cioè
"bruttezza" - "dei formitas", "forma di Dio" - viene intesa
nel senso che Cristo è brutto. Diversamente quindi dalle prime pitture catacombali, che
si trovano a Roma, dove cè un bel giovane, vestito da pastore - senza barba,
perché il Cristo barbuto è un Cristo siriaco, successivo - si passa a quelle
rappresentazioni raccapriccianti di Cristo che noi possiamo vedere poi nella forma più
potente ed espressiva nei crocefissi medievali del Cristo piagato o nei quadri fiamminghi,
in cui ci sono quei brutti ceffi, che con le lance trafiggono Cristo o lo fustigano.
Quindi Cristo stesso assume questa bruttezza, che però - dice Agostino - è la nostra
salvezza.
Vi è nella storia dellarte un recupero della bellezza di Cristo soltanto in un
periodo relativamente tardo, a partire dallimmagine di Gesù Bambino, cioè dal
presepe di San Francesco, fino a tutte le Madonne col Bambino della tradizione che va dal
Tardo Medioevo fino allEtà Moderna. Ma cè un motivo per cui la religione
cristiana in un certo modo riscatta il brutto, così come riscatta il peccato: mentre
nella tradizione greca, in quella neoplatonica, è luomo che deve innalzarsi,
attraverso lascesi, alla divinità - pensiamo a Plotino - nella tradizione
cristiana, se si guarda uno dei grandi testi di San Paolo, che contiene lInno a
Cristo, noi vediamo che è Dio che discende, si degrada, si umilia nel farsi uomo, che si
svuota della sua gloria e della sua divinità e diventa non solo uno come noi, ma il
peggiore di noi dal punto di vista esterno. Per questo il Cristianesimo pone per la prima
volta una separazione tra linterno e lesterno, cioè si può essere brutto
allesterno, ma bisogna riconoscere dietro questa bruttezza la gloria di Cristo in
ogni nostro simile. Anche nei precetti morali del Cristianesimo, se io non avrò dato da
bere al più piccolo dei miei fratelli che ha sete, non lavrò sfamato, non
lavrò aiutato quando era malato, non avrò riconosciuto in lui limmagine di
Dio.
Questa riabilitazione del concetto di brutto prosegue in tutta lEtà
Moderna. NellEtà Moderna, infatti, questo concetto ottiene addirittura legittimità
nellarte. Possiamo riassumere quali sono stati i momenti iniziali di questo processo
che noi abbiamo definito di riabilitazione?
Io farei una distinzione. Larte come pratica ha utilizzato il brutto da lungo tempo,
cioè non solo larte cristiana, ma larte ellenistica e quella precedente
addirittura larte greca classica, la cosiddetta arte arcaica. Noi abbiamo
unidea di bello che è appunto classica, cioè abbiamo assunto dei modelli e
consideriamo brutto ciò che non corrisponde a quei modelli, che ha degli scarti. Però,
con questo criterio, in fondo classicistico, winckelmanniano, dovremmo considerare gran
parte delle produzioni artistiche, artistico-religiose della nostra storia come non belle.
Dunque larte come prassi ha utilizzato il brutto. Pensiamo alle rappresentazioni
drammatiche medioevali, a Iacopone da Todi; anche la musica del Medioevo, non essendo
stata riportata al clavicembalo ben temperato bachiano, per noi ha qualcosa di stridente,
il nostro orecchio non è più abituato a quei tipi di suoni; il diesis e il bemolle della
stessa nota, cioè mezza nota in alto e in basso, per esempio do diesis e re be- molle,
per noi sono unificati nei tasti del pianoforte, mentre invece come suoni naturali, negli
strumenti antichi, sono diversi, per cui restiamo un po spaesati, quando sentiamo
questo tipo di musica.
Non solo, ma quando in età moderna si scopre che la bellezza non ha più a che vedere con
ciò che è misurabile, ma che in un universo infinito noi abbiamo lesperienza dello
smisurato, dellincommensurabile, quando Keplero si vergogna della sua matematica e
della sua astronomia perché non vuole ammettere che il movimento dei pianeti sia un
movimento ellittico e non un movimento circolare, pefetto per eccellenza, e resiste
ventanni prima di accettare la bruttura di un universo che non abbia delle
configurazioni geometriche accreditate, in questo periodo il brutto comincia a essere
recepito come qualcosa che esiste in natura. Nella natura cè qualcosa di informe,
di deforme. Le esplorazioni geografiche dimostrano inoltre lesistenza di una
quantità di animali strani, oppure bellissimi ma velenosi; nasce lidea che la
creazione è qualcosa di misterioso, che mette insieme il bene e il male.
Il mondo, guardato in se stesso - questa in fondo è la diagnosi a posteriori che noi
possiamo fare - non obbedisce più ai canoni rigidi, classici. Quindi cè una
sensibilizzazione per il brutto, cioè per il non-classico, che matura lentamente per
cicrca due secoli.
La prima teoria che accetta il brutto in quanto parte del bello la dobbiamo al filosofo
tedesco e scrittore Lessing, il quale nel Laocoonte, del 1766, descrivendo appunto il
gruppo statuario di Laocoonte - il sacerdote di Troia che assieme ai figli e nipoti è
avvolto da un serpente nelle sue spire - che in un certo modo mostra non il volto
pacificato dellApollo del Belvedere, che tanto piaceva al Winckelmann, ma questa
sorta di pathos contenuto, di dolore e di grido bloccato, Lessing si pone appunto nella
condizione di affermare che in fondo non tutta larte è riducibile a dei canoni
predeterminati e rompe soprattutto un criterio di traducibilità che era stato espresso
dal poeta latino Orazio, "Ut pictura poiësis", ossia la traducibilità delle
immagini pittoriche in poesia.
Lessing dimostra invece che il brutto può essere introdotto nella poesia. La poesia è
unarte temporale: le parti di brutto introdotte vengono, per così dire, dissolte,
ingerite, metabolizzate nel tempo. Invece il brutto non è possibile e non è accettabile
in pittura, perché la pittura, essendo unarte della simultaneità, in quanto con un
colpo docchio colgo le parti di un quadro che non scompaiono una dopo laltra
come le parole, la compresenza del bello e del brutto creerebbe stridore. Ecco dunque che
la prima breccia si apre allinterno delle teorie estetiche. Il brutto comincia ad
entrare, in un certo modo, dapprima in forma limitata, con un tasso di presenza ridotto,
per poi crescere continuamente.
Il Romanticismo invece con Schlegel sembra fare del brutto lelemento
distintivo tra larte antica, che mira spontaneamente al bello, e larte
moderna, che unisce invece il brutto con il bello. Che cosa intende propriamente Schlegel
con questa distinzione?
Il Saggio sulla poesia greca del 1796, che è la prima grande opera di Friedrich Schlegel
- fondatore, non dimentichiamolo, del Romanticismo in senso proprio due anni dopo con i
Frammenti di Athenaeum - presenta questa distinzione: larte antica cresce come fiori
di campo, tende spontaneamente al bello; larte moderna, essendo noi diventati degli
individui insaziabili di novità, perché ormai la cultura ha esaurito tutte le sue
possibili forme ingenue - cioè credere spontaneamente a quello che sentiamo e vediamo -
ha bisogno dell"interessante", come lo chiama Schlegel, cioè di qualche
cosa che ci metta continuamente in stato di eccitazione. Per questo il brutto è
quellelemento di interesse che fa sì che noi siamo avvinti in maniera artificiale
alle nostre produzioni artistiche. Quello che Schlegel fa, nel periodo del Romanticismo
dispiegato, e che fa sì che il brutto diventi protagonista della concezione più intima
del Romanticismo, è di introdurre, come egli stesso dice, il caos nellordine,
oppure di non poter fare a meno del sistema di idee e nello stesso tempo di respingerlo.
Larte romantica si presenta quindi come una grande sperimentazione, in cui tutto
viene mescolato, in cui il brutto tradizionale serve come lievito per scoprire nuove forme
di bello. Addirittura Schlegel chiede che si scriva un codice criminale del brutto e cioè
che si stabiliscano delle regole per dare la caccia al brutto e individuarlo. Però,
mentre si dà la caccia al brutto, si produce il bello; mentre invece un bello pacificato,
pago dei vecchi ordini, delle vecchie strutture, dei vecchi clichés, ormai è
completamente vuoto.
Questa concezione del brutto, però, nellOttocento matura ulteriormente,
tanto da assumere, soprattutto nel campo dellarte, addirittura la mostruosità.
Perché la mostruosità, le patologie individuali e sociali contribuiscono in questo
secolo a definire addirittura larte?
Soprattutto Victor Hugo e la letteratura francese dellOttocento, come il
Sue dei Misteri di Parigi, oppure il Baudelaire di quella poesia terribile, A una carogna,
vedono larte e la bellezza discendere dal loro piedistallo e confondersi tra le cose
del mondo. In un periodo in cui la società va a scoprire le sue fondamenta, le sue fogne,
come nei Misteri di Parigi, i suoi aspetti più terribili, più impresentabili,
larte si presenta come un abbandono della dimensione delleterno e come una
caduta nel quotidiano, o come dirà appunto Baudelaire, una "caduta di aureola".
Bello e brutto ormai non si distinguono più, abbiamo oltrepassato i confini stabiliti da
Schlegel.
Nascono così quei personaggi inquietanti, ma in fondo positivi, come il Gobbo di
Notre-Dame, Quasimodo, oppure Triboulet, che è più noto da noi per lopera di Verdi
col nome di Rigoletto. Nascono tutte queste indagini in cui larte, soprattutto il
romanzo, il feuilleton - il romanzo di appendice -, ci mettono a contatto con
lesperienza della vita quotidiana. Non dimentichiamoci che siamo in un periodo in
cui larte passa, attraverso la stampa, ad essere non più di élite ma di massa, in
cui la scolarizzazione produce già un numero elevato di lettori, in cui i musei sono
visitati da decine di migliaia di persone e quindi larte va socializzandosi. Questa
socializzazione dellarte lega molto larte alla politica e quindi alla critica
sociale; è appunto questo rapporto tra larte e la critica alla società che fa
venire a galla tutti questi aspetti di patologia di cui larte si occupa, soprattutto
in quelle tendenze del socialismo francese a cui Hugo apparteneva.
Noi siamo abituati a pensare che lestetica riguardi esclusivamente il bello.
Ma, professor Bodei, non possiamo dimenticare che un discepolo di Hegel, Karl Rosenkranz,
pubblicò proprio nel 1853 un libro intitolato Estetica del brutto. Che cosa voleva
sostenere Rosenkranz con questo volume?
Intanto cera una polemica contro il suo maestro Hegel, su questo punto dopo vari
tentennamenti non seguìto; perché Hegel sosteneva che il brutto è irrappresentabile,
come Kant in precedenza aveva sostenuto che il disgustoso non può essere oggetto
dellarte ed era stato smentito da Baudelaire. Per Rosenkranz vi è anche
unarte brutta, in cui il brutto non solo è qualcosa che larte non deve
escludere, ma è qualcosa di cui larte e la bellezza hanno bisogno; cioè
unopera darte è tanto più bella quanto più grande è la quantità di
negativo, di brutto, che ha dovuto vincere.
Quindi larte è in sostanza concepita da Rosenkranz come un combattimento tra
lArcangelo Gabriele e il diavolo. La grande arte - quella di un Sofocle, un Calderon
o uno Shakespeare - è tale perché dentro di sé mantiene tutto il fermento, tutti i
germi sconfitti: è riuscita a vaccinarsi, a mitridatizzarsi contro il veleno del brutto
che ha ingerito. Il brutto diventa il presupposto necessario per innalzare il tasso di
bellezza. Soltanto al limite del soccombere larte può avere un ultimo guizzo e una
vittoria. Se larte resta pacificata, se non si scontra coi grandi problemi che sono
inafferrabili, ma che rappresentano il male del mondo - le patologie della realtà -
questarte non avrà nessuna possibilità di grandezza.
Tutta larte moderna, da Picasso a Bacon, da Schönberg a Cage, da Beckett a
Jonesco, rovesciando i canoni tradizionali del bello, produce però opere darte in
cui domina, potremmo dire, lo stridore dei colori, la deformazione delle figure, le
dissonanze, le frasi assurde. Allora cosa significa tutto questo, che il brutto è
diventato nellarte moderna la vera bellezza, lautentica bellezza?
Significa proprio questo, perché, siccome il bello non problematico, cellofanato, si è
trasformato in kitsch, cioè in qualche cosa che non produce più nessuna emozione
estetica, perché semplicemente asseconda tutti i pregiudizi e tutte le forme percettive
ormai consunte - complice fra laltro, indirettamente, anche la fotografia, ritenuta
per esempio, rispetto alla pittura, riproduzione pura e semplice della realtà; noi
sappiamo che questo non è vero - larte reagisce sperimentando qualche cosa che va
al di là delle forme "fruste", come si chiamano, delle forme consumate, e
quindi introduce, ad esempio in musica, in forma massiccia quelle dissonanze che già
Mozart o lultimo Beethoven, per esempio, avevano sperimentato.
Sono introdotte per far sentire il dolore del mondo, una specie di pianto, che invece
larte ufficiale, in genere sotto la grande ala dello Stato, cerca di eliminare in
forma trionfalistica. Tutta larte veristica, larte dei trattori o delle
colonne, del realismo più o meno socialista, per esempio quella sostenuta da Lukács,
viene combattuta sia dalle avanguardie letterarie sia in teoria da posizioni come quelle
dei filosofi della Scuola di Francoforte.
In generale si pensa che nel cosiddetto mondo amministrato, regolamentato, tutto ciò che
è in un certo senso armonico sia falso e che quindi larte debba recuperare tutto
ciò che è stato condannato dalla società come brutto e messo da parte. In questo
recupero avviene una presa di coscienza perché, attraverso questi elementi che riusciamo
a strappare alla condanna sociale riusciamo a recepire quali sono i pericoli per questa
società, di modo che le figure di Picasso, tutte contorte, hanno un valore di denuncia
artistica, non soltanto sociale, che può essere espressa da un aneddoto che ha raccontato
Picasso stesso. Durante loccupazione di Parigi un ufficiale tedesco entrò nello
studio di Picasso e per prenderlo in giro, mostrando il quadro Guernica - che rappresenta,
come sappiamo, un bombardamento dei Tedeschi su questa città basca durante la guerra
civile spagnola - disse: "Chi è che ha fatto questo orrore, Voi?". E Picasso
rispose: "No, lavete fatto voi". Se invece di rappresentare fiorellini,
rondini, si rappresenta lorrore, questo orrore ha un valore di carattere catartico e
pedagogico, cioè ci fa capire come è fatto il mondo e nello stesso tempo ci addita una
dimensione utopica di come potrebbe essere il mondo diversamente.
Lei ritiene che la sensibilità dei nostri giorni sia ancora legata attualmente a
questo pathos per il brutto?
Mi pare che stia cambiando, però dobbiamo pensare a cosa ha significato questo pathos per
il brutto. Il pathos per il brutto aveva a che fare con una situazione di denuncia del
mondo così comè, con la presenza di qualche cosa che ci spaventava, di qualcosa di
arcaico.
Cè stato un periodo in cui larte si è posta come compito quello di svelare
la presenza del dolore e delle lacerazioni allinterno della società e di ritrovare
in questo rimosso il senso più autentico del bello, cioè soltanto puntando su questo
rimosso e quindi con forme di privazione sensoriale. Dice Adorno: "Larte è in
lutto". Cè una specie di divieto del piacere, io non devo godere durante la
rappresentazione delle opere darte, devo soffrire, devo sostanzialmente avere
dellarte una concezione ascetica. Adorno, che suonava il pianoforte e ha pensato
molto la musica, ha pagine molto belle proprio sul carattere della musica. La musica ha un
aspetto di sofferenza, ma un aspetto liberatorio che si manifesta soltanto col pianto.
Leggerei solo una sua frase: "Luomo che si lascia defluire in pianto e in una
musica che non gli assomiglia più in nulla lascia contemporaneamente rifluire in sé la
corrente di ciò che egli non è e che aveva ristagnato dietro lo sbarramento degli
oggetti concreti. Col suo pianto e il suo canto egli penetra nella realtà alienata".
Parole difficili, che significano: se noi, attraverso larte, e in questo caso la
musica, riusciamo a smaterializzare, a togliere questa barriera che ci separa dal mondo,
quindi dalla realtà alienata, se noi facciamo rifluire il mondo in noi e nello stesso
tempo, attraverso questo allentamento della tensione che si manifesta nel pianto, facciamo
in modo che la nostra soggettività si metta di nuovo in contatto col mondo, ecco che
larte a questo punto non mi dà soltanto dispiacere, ma anche piacere.
Io credo che attualmente noi siamo stanchi forse di questa overdose di arte che fa
soffrire e come tendenza generale - sociologicamente, non artisticamente parlando - si
cerca un bello senza dolore. Quello che Aristotele aveva definito appunto tale era la
commedia. Non che noi abbiamo più voglia di ridere che di piangere, però certamente
questo grande pathos per andare a sperimentare tutte le forme del brutto, appunto per
dipingere come faceva Bacon queste figure che si sciolgono quasi come un cadavere in
putrefazione, oppure per riprodurre, come Webern o come Schönberg, tutto un sistema di
musica tonale fatto di stridori, di dissonanze, non abbiamo più la pazienza.
Probabilmente questo dipende dal fatto che la sperimentazione si è avvitata su se stessa
e che molte volte non cè più creatività. Quello che è interessante è che il
brutto non viene più necessariamente considerato un lievito o un concime per il bello. Si
possono fare delle cose belle, senza pagare il pedaggio del brutto. Non so se questo sia
un fatto transitorio o permanente, ma certamente perdendo il contatto col rimosso o col
brutto probabilmente si sacrifica qualcosa e credo di poter ritenere che, dopo tutta
questa fase luttuosa dellarte del Novecento, il senso delle avanguardie potrà
essere ripreso; senza avere la pretesa di riaffondare nuovamente nel brutto e nel rimosso,
si dovrà pur fare i conti con ciò che unarte troppo pacificata nel presente ci
propone.
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