Domande filosofiche
Fernando
Savater con Antonio Guarino
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Chi è Fernando Savater
Questa intervista fa parte dellEnciclopedia multimediale delle
scienze filosofiche, unopera realizzata da Rai-educational in collaborazione con
lIstituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dellUnesco,
del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio
dEuropa.
L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme despressione
e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel
suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea.
Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it
Professor Savater, quali sono le funzioni attuali della filosofia?
Nel corso dei secoli - a partire dai suoi inizi un po' mitici fini ad oggi - la filosofia
ha svolto ruoli diversi. Essa è andata evolvendosi nella misura in cui sono andate
evolvendosi le scienze e le società dove il pensiero filosofico ha albergato. Attualmente
ritengo che la filosofia possa avere due funzioni principali. La prima funzione è di tipo
costruttivo o affermativo, e consiste nel dare una visione laica, razionalista, autonoma,
d'insieme. In altre parole essa deve far scoprire quale sia il senso che ha, per un
individuo non condizionato dalla tradizione, dalla credenza, dal dogma, l'essere inserito
in un mondo storico concreto con certi particolari problemi. Che cosa significhi, cioè,
il fatto di vivere, di lottare e di confrontarsi con il mondo per un individuo
determinato, in un momento determinato, in un'epoca determinata. Questa visione d'insieme,
che non viene fornita dalle scienze - che sono frammentarie - e neppure dalla semplice
cornice della vita quotidiana, è quanto la filosofia deve cercare di recuperare.
La seconda funzione, altrettanto importante, è invece di tipo terapeutico, o critico. In
altre parole la filosofia serve per sbarazzarsi delle superstizioni in senso stretto,
ovvero della superstitio, di "ciò che sta sopra di noi" e che ci impedisce di
crescere, che impedisce alla nostra vita, alle nostre conoscenze, di svilupparsi. La
filosofia ha sempre avuto una dimensione anti-superstiziosa. La filosofia non nacque,
infatti, come a volte si dice, soltanto dalla meraviglia, dall'ammirazione suscitata dagli
eventi naturali, dal movimento del sole, o dai terremoti. La filosofia nacque in un mondo
in cui già esistevano molte spiegazioni di questi fenomeni. Essa, cioè, non fu mai,
neppure alle sue origini, la prima risposta che cercasse di spiegare le cose meravigliose
che si verificavano nel mondo.
La filosofia, dunque, si è sempre affacciata sulla scena in lotta contro altre
spiegazioni - dogmatiche, leggendarie, religiose, tradizionali - che si proponevano come
coercitive, assoggettanti. E di fronte a situazioni del genere, essa ha cercato di trovare
qualcosa di semplice, di comprensibile, di razionale, di interpersonale, qualcosa che
fosse suscettibile di discussione, una visione che potesse raccogliere l'accordo degli
altri uomini.
Che cosa caratterizza le domande e le risposte filosofiche?
Personalmente ritengo che la cosa importante della filosofia siano le sue domande. Si
tratta di domande assolute, domande che non si fermano davanti ai limiti strumentali, come
le altre. Se le domande abituali pongono il problema di come si fa una tal cosa, e quindi
hanno un fine utilitario immediato, le questioni filosofiche sono invece di senso assoluto
così che rispondendo loro in un senso o in un altro non si risolverà nulla. Si tratta,
infatti, di interrogativi che nascono con l'uomo, con la vita, e sono per certi versi
molto simili a quelle che a volte fanno gli ubriachi alle quattro del mattino nei bar, o a
quelle che fanno i bambini piccoli. Domande basilari, dunque, globali, come "a che
cosa serve tutto quello che c'è?", "Perché siamo qui?", "Perché
siamo in questo mondo?"
Ovviamente non ci si può aspettare di raggiungere delle risposte definite a simili
domande, sebbene anche le risposte filosofiche siano molto importanti. Esiste infatti
un'immensa tradizione, rilevantissima, di risposte filosofiche, molte delle quali sono
servite per formulare le domande ogni volta in modo più preciso. Ma il dato
caratteristico delle risposte filosofiche è che non bloccano completamente la domanda,
non la coprono, non la chiudono totalmente, ma lasciano sempre un qualcosa di aperto.
Tant'è vero che le stesse domande tornano a prodursi.
Le domande della filosofia, infatti, non sono mai bloccate del tutto, come possono essere
quelle che pone la scienza. Se, per esempio, si domanda ad uno scienziato a che
temperatura l'acqua vada in ebollizione, questi darà una risposta esaustiva, risolutiva,
che bloccherà la domanda, e dunque non ci sarà bisogno di riformularla. Viceversa, le
domande filosofiche possono riproporsi in continuazione, possono essere ripetute, poiché
sono sempre aperte. Le risposte filosofiche, infatti, sinnestano nel corpo stesso
della domanda, la mantengono e la conservano aperta. Questa apertura assoluta della
domanda filosofica è il dato caratteristico, l'elemento importante dell'impostazione
della filosofia rispetto alla scienza e rispetto a qualunque altro tipo di pensiero
strumentale.
Di quali attributi deve essere dotata l'indagine filosofica?
L'indagine filosofica, a mio avviso, deve partire prima di tutto dal presupposto che essa
è un'indagine razionale, ovvero che utilizza la ragione come strumento, come utensile,
come sua stessa sostanza attiva. Ora, è evidente che la ragione ha dei limiti, ma resta
comunque tutto quello di cui l'essere umano dispone. La ragione è per gli uomini come la
vita: è possibile desiderarne una più lunga, o più bella, ma ciò non la muta. Sicché
la filosofia è una scommessa decisa dalla ragione. Tutto quello che non è strettamente
agganciato alla ragione, che è non affine la ragione - anche se si tratta di una ragione
che è consapevole dei suoi limiti e dell'importanza dell'inconscio - non è filosofico.
Partendo da questo punto di vista, ritengo che siano due gli attributi importanti della
ragione filosofica. Il primo è senza dubbio lo scetticismo: chi crede a tutto quello che
è stabilito, a tutto quello che le ideologie imposte gli comunicano, non può essere
filosofo, non può sviluppare in sé l'"inquietudine" filosofica. Il ricercare,
il mettere in questione, tuttavia non va confuso con l'affermare sistematicamente il
contrario di quanto è stabilito o di quanto viene detto: la persona che a tutto ciò che
le viene comunicato risponde di non crederci si comporta in una maniera altrettanto
automatica di quella che crede a tutto. Lo scettico, infatti, sospende la sua credenza,
mette fra parentesi la sua fede, dubita delle cose, cerca di girarle in modo da percepire
un'alternativa ragionevole, di vedere se da un'altra prospettiva le questioni gli appaiano
più solide o più interessanti. Io credo, dunque, che lo scetticismo sia il punto
fondamentale a partire dal quale si comincia a filosofare. A tal proposito si racconta che
le ultime parole di Diderot moribondo furono che lo scetticismo è l'inizio di ogni
filosofia; personalmente ritengo che queste parole possono servire da motto per qualsiasi
riflessione filosofica.
Il secondo attributo della ragione filosofica è l'immaginazione. Senza immaginazione
infatti non può esserci filosofia. Ma l'immaginazione non va confusa con la fantasia, col
capriccio, con quella sorta di costante ricerca di qualcos'altro che non sia la realtà,
con quelle mentalità infantili sempre avide di soprannaturale o di tutto quello che è
opposto o diverso dalla realtà che si conosce. Le persone che hanno un atteggiamento del
genere, al contrario, sono prive di immaginazione, in quanto questa non consiste nel
cercare una realtà alternativa, bensì nell'esplorare le possibilità della realtà data.
La persona che ha immaginazione non vuole qualcosa di alternativo al reale, ma vuole
conoscere, approfondire tutte le possibilità della realtà, senza trasgredirle,
esplorandone le qualità senza cercare ciò che sta al di là.
La filosofia, dunque, ha bisogno di scetticismo per rompere con quello che si dà per
scontato, e di immaginazione per esplorare tutte le possibilità della realtà, fino a
quelle che sembrano le più sconcertanti o le più contrarie al senso comune.
Qual è la differenza tra scienza e filosofia?
La scienza ha uno scopo diverso rispetto alla filosofia. La scienza studia il
funzionamento dell'oggetto universo che gira attorno all'uomo e di cui l'uomo fa parte.
Essa rende conto di come funzionano le cose e di come funziona l'uomo in quanto
"cosa" in un mondo di oggetti, in un mondo di materia sedimentaria.
Al contrario, quello su cui la filosofia sinterroga è il significato dell'oggetto,
il significato del vivere in questo determinato mondo di oggetti. La filosofia, cioè, è
la riflessione del soggetto su che cosa significhi l'oggetto per lui. Essa infatti non si
chiede in che cosa consista l'oggetto, come funzioni, quali siano le sue caratteristiche,
ma che cosa significhi per un soggetto il vivere, riconoscendo, confrontandosi con
determinati oggetti; che cosa significhi per il soggetto l'avere anche una dimensione di
oggetto, di corpo, di linguaggio.
Ora, domande di questo tipo la scienza non se le pone, in quanto essa non aspira a niente
di più che a una buona descrizione del funzionamento del mondo, laddove la filosofia -
che pure non respinge, ma anzi si appoggia, si basa in buona misura sulle acquisizioni
della scienza - aspira piuttosto a indagare quale sia il significato di questo mondo, che
cosa significhi questo contesto di funzioni del mondo per un soggetto immerso in esse,
obbligato a permanere in esse e a confrontarsi con lo sconcerto della vita e della morte
in alcune coordinate definite.
Quali sono le parentele e quali le differenze esistenti fra la politica
e la filosofia?
Tra politica e filosofia vi è una parentela che personalmente ritengo essenziale per
comprendere la funzione di quest'ultima. La filosofia, infatti, nasce con la democrazia.
Non ci sarebbe pensiero filosofico se non fosse esistita la democrazia, né c'è pensiero
filosofico là dove non c'è o dove non c'è stata democrazia, come a esempio nel mondo
orientale, dove vi sono vitali forme di sapienza, ma dove non c'è mai stata filosofia nel
senso che noi diamo a questo termine. In altre parole, in tale mondo, l'individuo autonomo
non è mai stato portatore del "senso": l'elemento caratteristico della
filosofia è invece la presenza di un individuo autonomo che, al di là delle tradizioni e
della sua fusione con una comunità, sia portatore del senso.
Sotto questo aspetto la filosofia è il necessario rovescio della medaglia della
democrazia, ossia: quello che la democrazia rappresenta sul terreno politico, la filosofia
lo rappresenta sul terreno intellettuale; la filosofia è la democrazia dell'intelligenza,
e la democrazia è, per così dire, la realizzazione del progetto filosofico nella città.
Su questo, dunque, c'è unione: la democrazia sposta il senso dalla comunità
all'individuo, alla sua volontà, alla sua capacità di partecipare e di unirsi con gli
altri, così come la filosofia sposta il senso della domanda e della comprensione dal
mondo all'individuo nella sua capacità di dialogare e di scambiare ragioni con gli altri.
La filosofia, poi, riflette costantemente sulla democrazia intesa in un senso ampio.
Personalmente ritengo che la democrazia, una volta inventata, valga per sempre, anche se
poi viene coperta da regimi totalitari e da monarchie assolute, in quanto la base di fondo
di ciò che è la democrazia è stata inventata una volta per tutte. Grazie a ciò, la
filosofia pure è stata inventata una volta per tutte. Infatti il filosofo che pensa nel
contesto di una monarchia assoluta, o di uno Stato totalitario, in quanto filosofo, si
trova comunque in una democrazia, pensa comunque all'interno di una democrazia - anche se
non ce l'ha tutto a sé -, poiché altrimenti non potrebbe neppure filosofare.
Una dimensione importante della filosofia è rappresentata dal fatto che essa è una
riflessione sui valori della città, sui valori condivisi, sull'orientamento comune che è
possibile dare alla vita e alle istituzioni pubbliche. Ma, naturalmente, non è la
filosofia a guidare la città: il progetto platonico - come ben si vide nelle vicende che
accompagnarono i tentativi di portarlo a capo di Siracusa - non ha possibilità di
realizzazione. Infatti, in una certa misura, è un progetto che, tendendo a cancellare le
frontiere tra la filosofia e la politica, perturba o perverte entrambe. Personalmente sono
convinto che la filosofia debba contemplare la politica, ma che non debba porsi alla testa
di questa. E ciò perché nella politica non tutto è razionale, non tutto è
esclusivamente ragione. La politica è fatta di interessi, di appetiti, di moti del
sentimento, di movimenti dell'"indifferenziato" e del non razionalizzabile. La
ragione, dunque, è uno degli elementi che sono in gioco nella politica; ma in
quest'ultima c'è anche un elemento di volontà, per cui risulterebbe sbagliato cercare di
convertire la politica esclusivamente in un gioco intellettuale.
La filosofia, pertanto, riflette sulla situazione della politica, riflette sulle
contraddizioni, sugli aspetti più razionali o meno razionali della politica, ma non può
essere leader, non può dare soluzioni. La filosofia infatti dà soluzioni a problemi
filosofici, non a problemi politici. I problemi politici si risolvono per vie politiche,
attraverso le discussioni politiche.
In tal senso, credo sia molto appropriata la nozione, proposta da Roberto Esposito, di
"funzione impolitica" della filosofia. Per lui infatti la filosofia non è
apolitica, non si disinteressa del politico, in quanto evidentemente la politica è una
preoccupazione per il filosofo che si interroga su ciò che accade, su quello che è il
senso della vita. Per lui, tuttavia, la filosofia non è nemmeno anti-politica. Tutte le
voci di disprezzo per il politico o per i politici, che parlano del mondo della politica
come di qualcosa di basso, di sporco e vile, di fronte al quale stanno le grandi idee, non
sono le voci della filosofia, ma quelle della cattiva filosofia, o, al fondo, della
ciarlataneria. La filosofia, dunque, non è né antipolitica né apolitica, ma - dice
Esposito - impolitica, cioè, sta fuori della politica e allo stesso tempo la contempla,
cerca di vederla come di traverso, riflette in ogni modo su di essa, rendendo conto e
rendendosi conto di quello che significa la comunità politica.
La filosofia deve occuparsi del presente o della storia?
Nella nostra attualità fatta di mezzi di comunicazione, di televisioni, di radio, c'è
una sorta di enfasi che appiattisce tutto sul nuovo, sul "mai visto". Tutte le
nozze sono le nozze del secolo, tutti gli avvenimenti sono storici, tutti gli sconti dei
grandi magazzini sono "mai visti". Alle volte, poi, la moda o la novità
contagia anche il pensiero filosofico, dunque un anno si parla di neobarocco, un altro di
postmoderno, un giorno il soggetto scompare, poi se ne torna a parlare. In altri casi,
invece, la filosofia è un puro "ruminare", un puro continuare a ripercorrere la
memoria del passato. Dunque il filosofare si risolve nel commentare Aristotele,
nell'aggiungere una nota a piè pagina a Kanto o un'altra sottigliezza ai commentari su
Leibniz.
Personalmente ritengo che la filosofia non sia né pura moda, né pura
"rimasticatura" della tradizione. La filosofia è riflessione sul presente, e il
presente è non quello che accade, ma propriamente quello che non accade, quello che dura,
quello che sempre si è vissuto in un presente in cui gli uomini hanno conosciuto alcuni
dati fondamentali di loro stessi. Se un contemporaneo di Saffo o di Anacreonte comparisse
ora qui fra noi, probabilmente rimarrebbe sconcertato davanti all'ambiente, davanti al
fax, al telefono e all'aereo, ma non rimarrebbe affatto sconcertato davanti alle passioni
umane, comprenderebbe perfettamente l'argomento dei romanzi attuali e la voce dei poeti
attuali. C'è allora qualcosa che rimane nella storia, e questo qualcosa è ciò di cui
tratta la filosofia. La filosofia, dunque, tratta non di ciò che passa, ma di ciò che
non passa, che dura, di ciò che - al di sotto delle modificazioni - rimane per sempre e
che noi consideriamo essere l'umano.
C'è un'antica storia cinese che racconta che l'Imperatore Giallo - una sorta di
personaggio mitico a cui si attribuiscono tante gesta - nel momento in cui cominciò a
regnare, convocò tutti i saggi della sua comunità e disse loro di volere una storia, uno
studio completo di quello che era l'uomo, dei suoi obiettivi, delle sue possibilità, in
modo da poter governare nella maniera più scientifica e informata possibile. I saggi
tornarono dopo dieci anni con un'enorme enciclopedia di sessanta volumi nei quali veniva
dato conto di tutti gli aspetti più minuti della vita umana. L'imperatore tuttavia disse
di non avere tempo per leggere tutti quei volumi, e che ci voleva qualcosa di più
sintetico. I saggi tornarono dopo dodici anni con un'opera decisamente più ridotta, in
nove volumi. L'imperatore era al momento impegnato a fare guerre, a domare rivolte, a
difendere le sue frontiere e a governare, quindi disse che non aveva tempo di prendere
conoscenza di questi nove volumi, e che serviva qualcosa di molto più sintetico. Un po'
di malavoglia e brontolando, i saggi se ne andarono ancora una volta; passarono altri
dieci anni, e alla fine ritornarono con un solo volume, in cui avevano concentrato tutto
quello che si sapeva degli esseri umani, e trovarono l'imperatore ormai nel suo letto di
morte. Allora il capo dei saggi si avvicinò al letto dell'imperatore e gli disse
all'orecchio: "Gli uomini nascono, amano, lottano, e muoiono".
Questo fondo costante della vita, che sta al di sotto delle novità, che sta al di sotto
delle trasformazioni, è la sostanza fondamentale di cui è costituita la filosofia. La
filosofia naturalmente rimane anche legata alla storia, dal momento che anche la storia è
una costante. Ma la cosa importante della filosofia è questo elemento fondamentale della
vita umana fatta di nascita, amore, sforzo e coscienza della morte. E la filosofia non
deve temere di essere banale; quello che deve temere è di essere pedante, di essere
preoccupata esclusivamente di dire qualcosa di altisonante, o di citare qualche opera
ignota. Al contrario, il ritornare alle cose elementari, il ripetere la voce di quel che
è semplice, il ripetere i timori o le paure basilari dell'essere umano non è un problema
filosofico, ma, addirittura, una virtù filosofica.
Qual è il posto della filosofia nell'insegnamento di base dei Paesi
democratici?
Nella nostra epoca c'è la tendenza a sopprimere gli studi che non hanno una relazione
immediata con l'esercizio delle funzioni lavorative. In tale prospettiva, la filosofia
viene considerata come qualcosa di troppo astratto, di troppo vago, e, negli studi di
base, si tende ad accantonarla e a ridurla semplicemente a una possibilità di carriera
per alcune persone.
Personalmente ritengo che rappresenti una grande perdita il fatto che, in una società in
cui la religione ormai non svolge più la funzione organizzatrice che ebbe in epoche del
passato, e in cui non esiste alcun'altra visione d'insieme, restano soltanto, da un lato,
la scienza e, dall'altro, la banalità della televisione. Ritengo inoltre che sia grave il
fatto che si privano gli studenti di una responsabile visione dell'insieme degli assunti
umani, dell'insieme di quello che significa per l'uomo lo stesso vivere, degli strumenti
critici che consentono di difendersi dalle superstizioni ideologiche. Inoltre il fatto che
si riduce la filosofia negli studi di base per lasciare spazio alle materie scientifiche,
tecniche e positive rappresenta un grave, pericoloso attentato a quella che dovrebbe
essere la formazione di individui veramente liberi, che non vivono esclusivamente per il
lavoro e per la produzione.
Sempre di più ci si sta accorgendo che il problema del nostro mondo non è la produzione
a oltranza, ma è forse la distribuzione e anche l'impiego del tempo libero, l'impiego del
tempo non destinato esclusivamente alla produzione. Oggi, infatti, il tempo libero è
nelle mani delle grandi industrie del divertimento, che lo vendono per realizzare un
rendimento economico. Ma quanto più una persona è colta, quanta più sostanza intima ha,
tanto meno ha bisogno di denaro per occupare il proprio tempo libero.
La persona che non ha sostanza personale, che si presenta come vuota, ha bisogno di
riempire la propria esistenza con oggetti esteriori, di avere sempre più denaro per
trascorrere il suo sabato sera, le vacanze, e per riempire tutti i vuoti della sua vita.
Nel momento in cui non è impegnata a produrre, tale persona dovrà essere impegnata ad
acquistare, a comprare, ad "ammobiliare" continuamente con cose esteriori il suo
vuoto interiore. Al contrario, se una persona ha un contenuto, una energia interiore, se
vede la sua vita come un'avventura spirituale, come un'avventura intellettuale, come
un'incertezza che ha tratti "gioiosi"; se è una persona che domanda, che si
interroga sul mondo e sulle cose, e che si apre anche all'osservazione e alla gioia del
presente, del reale, potrà occupare in maniera molto meno dispendiosa e scialacquatrice,
e molto più creativa, il proprio tempo libero.
L'insegnamento della filosofia, dunque, oltre a mantenere viva la relazione con una
tradizione importantissima, alla quale non si può rinunciare, e oltre a mantenere anche
alcune possibilità di critica dell'ideologia vigente e di visione d'insieme di quello che
significa vivere nel nostro mondo, può aiutarci a rafforzare noi stessi, a dare energia
al nostro tempo libero, alla nostra capacità creativa, ai nostri interessi, dall'amore,
all'arte, al nostro desiderio di stabilirci più a fondo in questo permanente presente in
cui si inventano le nostre lotte e le nostre domande.
(Traduzione: Michele Sampaolo)
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