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Mobbing: riflessioni di un imprenditore
Intervento di Sergio Rodda
Sergio Rodda è il presidente dell'Associazione piccola e media
impresa di Torino. Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo suo contributo a seguito del
dossier pubblicato sul numero
79 di Caffè Europa
Oggi si parla molto di mobbing, a proposito e a sproposito, e
laffermarsi di questa "moda" è seguito con molta attenzione dal mondo
imprenditoriale. Cè il rischio che si finisca con limputare alle imprese
nuove colpe per fenomeni insiti in tutti i gruppi sociali; che ci si illuda di risolvere
il problema per via legislativa, magari introducendo nuovi obblighi e nuovi costi; che si
inneschi, nellanalisi di ogni possibile conflitto in azienda, un processo alle
intenzioni; che si finisca per questa via col deresponsabilizzare le persone, spingendole
ad attribuire la colpa di tensioni e insuccessi ai superiori o ai colleghi.
Lenfasi mediatica non aiuta: si parla di oltre un milione di italiani mobbizzati
e si critica il fatto che le persone coinvolte tendano in prima battuta ad attribuire a se
stessi la colpa dei propri problemi. Il messaggio trasmesso è chiaro: se sul lavoro hai
problemi o conflitti, è in atto una congiura contro di te. Una equazione di questo tipo
produce una semplificazione dei problemi dannosa per lo stesso clima interno aziendale,
oltre che per la produttività aziendale.
Richiamo un banale dato di esperienza: qualcuno di noi può essere a conoscenza di casi di
vero e proprio mobbing, ma quanti hanno visto, in un ambiente di lavoro come in un
gruppo di amici, laria diventare irrespirabile per i problemi di inserimento e di
rapporti di una singola persona? E quanti si sentono di attribuirne con certezza la colpa
alla persona o, viceversa, al gruppo?
Con questo non voglio negare lesistenza del problema: esiste, ha conseguenze
negative per le persone, le aziende, la collettività. Bisogna però evitare che si
identifichi come mobbing ogni episodio di difficoltà o di asprezza, fisiologici in
qualsiasi rapporto organizzativo. Quindi è essenziale identificare mobbing e bossing
in termini precisi e restrittivi.
E bene che se ne parli per creare sensibilità sul problema, che va affrontato sul
piano organizzativo e culturale. Le aziende sono le prime ad essere interessate a rapporti
interni positivi. Fra le possibili iniziative si pensi, oltre ai codici di comportamento,
alla Qualità Totale o al marketing interno: il principio per cui ciascuno deve
farsi carico delle esigenze del cliente, compreso il cliente "interno"
allazienda, è un ottimo antidoto culturale al mobbing ed affronta il
problema dalla parte giusta, non identificando vittime da proteggere ma promuovendo la
responsabilizzazione di tutti nel creare un ambiente di lavoro vivibile.
Un'altra risposta consiste semplicemente nel favorire il cambiamento del posto di lavoro.
Credo che si debba mettere laccento sullimpiegabilità: la politica deve
promuoverla, ma ciascuno deve sentirsi responsabile della propria "vendibilità"
sul mercato del lavoro. Non riesco a immaginare un migliore antidoto alle conseguenze
negative di un ambiente di lavoro ostile della certezza di avere possibilità alternative.
In un mondo che cambia con grande velocità è illusorio promettere protezione e garanzie:
lunica risposta è nelloffrire opportunità.
Temo invece che si scelga la via dellintervento legislativo. A fine 99 è
stato presentato un progetto di legge al Senato, che è stato ripreso, qui in Piemonte,
anche da un disegno di legge regionale. Ho qualche dubbio sulla competenza della Regione a
legiferare in materia e comunque lascerei volentieri ad altri territori lonore della
sperimentazione.
Si prevede, fra laltro, che il lavoratore che denunci di essere vittima di mobbing
ottenga, per un anno dalla denuncia, che ogni provvedimento peggiorativo nei suoi
confronti venga ritenuto discriminatorio, fino a prova contraria. Si mette così a
disposizione del dipendente uno strumento di autotutela preventiva che rischia di
vanificare il potere disciplinare del datore di lavoro, soprattutto a fronte di
recidività nei comportamenti scorretti.
Se una legge di questo tipo venisse approvata, le PMI la giudicherebbero come
lennesima aggressione, accanto a quelle attuate (si pensi solo alla recente
estensione del collocamento obbligatorio alle piccole imprese) e a quelle minacciate (35
ore, estensione della rappresentanza sindacale, smobilizzo coattivo del TFR). Viene
spontanea una domanda: non sarà che in questo paese il vero mobbizzato è proprio
limprenditore, che oltre alle quotidiane difficoltà di rapporti con il mercato, con
le banche, con la burocrazia, deve subire anche le "attenzioni" del legislatore?
Sergio Rodda
Presidente di API Torino
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