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Date: Mon, 3 Apr 2000 16:00:05 +0200
Subject: Putnam e l'enigma della filosofia.

Navigando in Internet ho avuto modo di leggere un breve quanto interessante articolo del noto filosofo americano Hilary Putnam,che è possibile leggere in rete all'indirizzo http://www.emsf.it/,nel quale si parla della controversa quanto articolata problematica della 'fine attuale della filosofia'. Putnam fa acutamente notare che questa 'moda'di decretare la 'fine della filosofia' non è del tutto originale, in quanto tale tesi sostenuta ora da Derrida e Rorty (mi ricordo anche una posizione analoga in Italia da parte di Lucio Colletti a metà degli anni novanta) e già esistita con Nietzsche e Heidegger (personalmente aggiungerei anche il positivismo logico il quale credeva di risolvere i problemi metafisici in questioni linguistiche).

Con lo sguardo sintetico del neopragmatista, Putnam mette in guardia da questi radicalismi teoretici che porterebbero a prospettive aporetiche o peggio ancora autocelebrative; infatti Putnam dice:'Quando (i filosofi) dicono che la filosofia è giunta alla sua tappa finale, essi intendono dire che ognuno dovrebbe accettare il loro modo di pensare e che non ci sia spazio per un'ulteriore prospettiva attorno ai grandi problemi filosofici'.In fondo si può notare un'analogia tra questa argomentazione di Putnam e la lettura heideggeriana di Nietzsche che lo intende come 'l'ultimo metafisico', mentre il filosofo dello 'Zarathustra' si sentiva come il pensatore che aveva liberato il pensiero dall'inganno della metafisica tradizionale.

Al di là di questi parallelismi argomentativi, ciò che colpisce in Putnam è l'aver osservato il 'rovescio della medaglia' del 'decostruzionismo' filosofico quanto del pragmatismo antimetafisico di Rorty; cioè che il loro essere teorie di rottura, di frammentazione della tradizione, rischia di diventare una sorta di ideologia contro tradizionale; Putnam poi fa osservare come questa posizione che rimette in discussione le ricerche filosofiche (dicendo che crea 'castelli per aria' per utilizzare un lessico pratico e leggibile da tutti), non regge in quanto anche la scienza contemporanea (in particolare la Fisica) oggi continuamente ipotizza modelli teorici contraddittori tra di loro,che si inglobano e si sovrappongono a vicenda (chi può stabilire con certezza ora che sia più giusto l'universo di Einstein rispetto alle attuali concezioni di Hawking).

Il problema è molto interessante quanto ampio e articolato; a mio avviso,si possono tracciare alcune linee prospettiche in cui poter inquadrare epistemicamente questa teoria della 'fine della filosofia'. L'idea tradizionale di filosofia come 'teoresi' pura,oggi sembra vacillare non già perché è assurda in sé stessa ma perché l'interazione esistente tra orizzonte ermeneutico e quello epistemico è mutato, in virtù di una svolta (avvenuta in questo secolo); che si potrebbe definire 'Pensiero di terzo livello' ovvero il pensiero di una civiltà che dalle rappresentazioni simboliche (primo livello), va alle rappresentazioni teoriche (scienze,metafisica etc), definite di secondo livello,(passaggio che secondo Elkana, nel testo 'Antropologia della conoscenza', sarebbe avvenuto intorno al VI secolo avanti Cristo), per poi giungere ad un pensiero che decostruisce (consciamente o inconsciamente) le sue teorie per scambiarle con la loro funzionalità non più umana ma umano-cibernetica (il pensiero di terzo livello, quello attuale).

Questo livello è diverso dal pensiero teoretico che indaga le condizioni di possibilità trascendentale o scientifico-teoretiche (come invece fu il criticismo kantiano o la scienza galileiana); è un pensiero trasversale, multidisciplinare, è il pensiero che si trova a calcolare nel calcolo delle macchine,non è più pura rappresentazione, è il pensiero di un'ulteriore frattura (che già acutamente Foucault aveva notato nelle pagine di 'Les Motes et le Choises'(le Parole e le Cose),tra mondo tecnologico (Popper direbbe Mondo3) e le tradizioni culturali,storiche e quindi anche filosofiche. Non è la filosofia ad essere alla sua fine ma è l'idea di Tradizione Culturale a venire rimessa in discussione da questo pensiero calcolante (come Heidegger lo definiva in 'Satz vom Grund'),è l'idea una di teoria tautologicamente definite a vacillare, a ragione Putnam fa notare che questa 'conflittualità' è una condizione epistemica di tutte le scienze sia di quelle naturali che di quelle filosofiche.

Il fatto che oggi si tenda (come dimostrano molti corsi di filosofia nelle varie università europee e americane dagli anni ottanta in poi) ad approfondire la riflessione ermeneutica in modo molto articolato denota un bisogno di chiarificazione con un passato i cui codici, linguaggi, pensieri, tradizioni sembrano sfuggirci; Habermas ha fatto giustamente notare che la riflessione ermeneutica col suo bisogno di circolarità riflessiva, di dialogicità continua col passato, presuppone già una frattura con la tradizione stessa.L'importante è saper a mio avviso filosofare, mantenendo aperto il dialogo col passato filosofico senza manipolarlo ideologicamente (cercando di evitare quel radicalismo generalizzante proprio dei filosofi della 'differenza').

Ricostruendo il senso stesso del fare filosofia in ciò che non è filosofia in senso stretto; la grande e nobile missione platonica del filosofo (depurata dal senso aristocratico di tale figura che sarebbe ridicolo oggi come oggi) che si libera dall'illusione delle ombre (opinioni) per accedere alla vera conoscenza e portare il suo contributo alla crescita dell'umanità, può avvenire solo dove si rifugge dalla pretesa idealistica di panlogizzare tutto, e si tenta di riflettere, studiare, decostruendo e ricostruendo ermeneuticamente con quel dovere etico ed intellettuale di 'intendere','chiarire' il passato: Come disse Betti,quando noi leggiamo un libro classico, ascoltiamo un brano di musica, studiamo un monumento, etc...la nostra individualità spirituale (che è in relazione costante col contesto storico in cui siamo) entra in contatto con quella dell'autore di quel libro o di quella particolare sinfonia etc...

Ha ragione Putnam a mio avviso quando mette in guardia da questa 'moda' di decretare la fine della filosofia,vi si nasconde una mistificazione ideologica di fondo, un nihilismo strutturale a doppio taglio; il decretare come fa Derrida che non esiste il senso del testo, ma una serie di scritture sovrapposte, pur aprendo acutissime riflessioni sul rapporto tra pensiero e linguaggio, rischia di cadere (certo non nelle intenzioni dell'illustre filosofo francese, ma in quella di eventuali interpreti superficiali) in uno scetticismo relativistico, esattamente come, secondo Derrida,'L'essere heiddeggeriano' cade nel metafisico.

Il senso della filosofia a mio avviso può essere scoperto non solo nella prospettiva decostruzionista, ma anche nel 'Confilosofare' dialogico continuo e aperto di cui parla Luigi Pareyson.La forza ineludibile della filosofia è proprio nel sua incertezza dialogica,che arricchisce l'uomo; è l'attività che meglio di altre si confronta con la 'differance', con il continuo rovesciamento tra pensiero e comunicazione che oggi è continuamente presente, soprattutto nell'era della telematica.

Il decostruire teoricamente una ideologia, un pensiero, una concezione e il ricostruirla criticamente è e sarà (finché l'uomo non relegherà totalmente alle macchine il compito di riflettere e di vivere), una forza etica e intellettuale di prim'ordine; certo non basta conoscere alla perfezione la 'Metafisica' di Aristotele,o i dialoghi di Platone,o 'la Fenomenolgia dello Spirito'di Hegel, ma di sicuro confrontarsi con questi ed altri pensatori offre la possibilità di ampliare le proprie vedute e di poter riflettere criticamente, cosa che mai come oggi è messa a rischio dal dilagare dei linguaggi televisivi veloci, delle dinamiche già preordinate del vivere sociale, dalla logica dello scambio (come Adorno e Horkeimer la intendevano parlando di Odisseo in 'Dialektik der Aufklarung''Dialettica dell'illuminismo') tra immagine sociale di sè e la propria identità autentica.

Mi auguro che queste mie riflessioni possano essere un valido contributo a iniziare un dibattito interessante quanto costruttivo sul senso attuale della Filosofia stessa.

Alessandro Ialenti



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