I lettori scrivono
From: "Luigi Belmonte" <luigibelm@tiscalinet.it>
To: <caffeeuropa@caffeeuropa.it>
Subject: Fiat: globalizzazione, cui prodest?
Date: Mon, 13 Mar 2000 20:21:38 +0100
Fiat 600.
Non
potrei paragonare l'amarezza che ora rallenta ogni mio movimento con
il dolore del Foscolo alla notizia del trattato di Campoformio: ma a
ridurla miniatura di quel sentimento insistentemente la mia coscienza
ci prova.
Oggi 13 marzo si è conclusa sul piano industriale la più importante
di quelle contrattazioni di una nuova dipendenza che Franco De Felice
anni or sono aveva già acutamente delineato. Terminata la fase
politica col nostro ingresso nella comunità europea è dunque in
pieno svolgimento, e con il pezzo più importante, l'assorbimento del
nostro scacchiere industriale in un torneo di cui i partecipanti di
italiano ben poco conoscono se non il nome di qualche sopravvissuto
pedone.
Quel che più appesantisce la greve condizione a cui si và
assogettando il paese Italia è la cognizione degli avvenimenti
percepita dai suoi abitanti. I mass media, che quasi mai o per fattori
culturali o per fattori politici da noi sono riusciti ad aderire
efficacemente alla realtà dei fatti, alimentano in un tripudio
comunicativo i fuochi fatui di un linguaggio politico economico
certamente moderno ma che non è stato forgiato da noi e che tanto
meno rischiara il nostro cammino.
Un linguaggio che contempla paroli enormi quali globalizzazione,
integrazione, new economy e tutto l'almanacco dei termini stampato da
quel generatore che è il linguaggio anglosassone. Con l'utilizzo di
questi termini in una patina retorica l'italiano sembra scongiurare la
capitolazione del suo sistema: una difesa retorica, che la nostra
cultura sperimentò e rinvigorì fin dall'epoca barocca. Una rinuncia
alla competizione che la maschera colorata della nostra creatività può
smorzare nel disegno di un amaro smorfia.
L'incapacità gestionale nei confronti dell'immigrazione e la perdita
di controllo del territorio assume, alla luce di questo linguaggio, la
forma di un'occasione irrinunciabile per l'integrazione di culture ed
etnie differenti. Ma l'integrazione etnica non riuscì nemmeno
all'impero romano, e tantomeno nessun confronto culturale è mai stato
pacifico se non retrospettivamente dalla parte del vincitore.
L'irrefrenabile globalizzazione, portato di un'espansione economico
finaziaria delle nazioni da sempre protagoniste, che tende ad
unificare in unico mercato capace di assorbire indistintamente
identici prodotti, assume l'aspetto di un ineludibile occasione per
partecipare ai vantaggi di un mercato globale: dunque più nessuna
fatica creativa o produttiva poiché essa peserà sulle spalle di
soggetti ben più adatti.
Si parla di grandi occasioni, di circuitazione in una dimensione
globale senza voler comprendere che la dimensione globale viene
raggiunta da chi acquista e non chi è acquistato. L'espansione
progressiva di modelli e sistemi industriali avviene per
marginalizzazione di altri, ed il loro assorbimento non coincide con
un ispessimento dei propri tratti ma con un loro assottigliamento se
non cancellazione. Mentre dunque si applaude alla futura occasione di
appartenere ad un contesto globale non si osserva che quel contesto è
opera di altri, al quale noi non possiamo che fornire
"servizi" e non sostanziali contributi. In fondo anche
Venezia entrò con Napoleone in un contesto internazionale e non più
locale dopo la sua annessione forzata ad un impero che si estendeva
orizzontalmente per l'Europa.
Noi non siamo che condannati ad una progressiva marginalizzazione la
quale se potrà recare giovamenti lo sarà attraverso la parallela
perdita della nostra identità. Perdita bilanciabile dal
rinvigorimento e dall'esasperazione di un individualismo ed egoismo
sociale che probabilmente aiuterà l'italiano a farsi spazio nella
nuova dimensione globale.
Uno spazio dalle maglie strette dove il nostro genio riuscirà, tassi
di nascita permettendo, a perpetuarsi con le sue doti decorative ed
artigianali. Moda, design, servizi manageriali, ricerca scientifica
per gruppi od entità straniere.
Un processo dunque oramai ineludibile ed inevitabile che ci renderà
ancora una volta stranieri a noi stessi. Come il sistema
rinascimentale dell'autonomia regionale con uno sbuffo collassò al
fuoco delle bombarde francesi di Carlo VIII chiudendoci nel fosco
splendore della maschera barocca, col suo accentuato individualismo,
così saremo condannati a volgere interessi e sopravvivenza verso
altri palazzi, castelli. A chi o per impossibilità o per caparbietà
toccherà di muoversi all'ombra dei nostri piccoli fortilizi non
resterà che difendersi sempre più da un territorio fuori controllo
contemplando dall'alto un abbandono costruttivo che oramai si trascina
e peggiora da decenni. La nuova generazione è dunque nana per nascita
nonostante la titanica volontà di edificare qualcosa che ancora
rischiari con luce propria.
Di progressivo avremo solo, si spera, il carattere di quei pochi
individui che chiameranno sinceramente se stessi figli del mondo e non
dell'Italia. Fiat 600.
Luigi Belmonte,
luigibelm@tiscalinet.it
Vi e' piaciuto questo articolo?
Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita'
|