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Premessa dell'autore: Chi
vuole aggiunge un capitolo!!
‘Aghenor’
- Il clone e la Rete
Alessandro Ovi
“La clonazione era stata liberalizzata nel 2005
ed erano nati in ogni paese centri specializzati che provvedevano
a tutto. Nel 2020 era
stato realizzato il primo clonatore domestico, il ‘clone-kit’.
Da allora qualunque donna era stata in grado di far crescere dentro di
se, e di portarlo alla nascita, l’essere umano che desiderava
riprodurre. Non faceva nessuna differenza fosse maschio o femmina..
Bastava fargli, o farle, un
piccolissimo prelievo di cellule, assolutamente innocuo ed indolore ed
il ‘clone kit’ pensava a tutto il resto, automaticamente.
Finalmente anche la riproduzione di se stesse era alla portata di tutte;
gradualmente diventavano possibili anche interventi genetici per
correggere, nel clone, propri difetti, attuare modifiche desiderate.
La grande maggioranza clonava soprattutto femmine.
Senza che nessuno lo avesse
previsto era come fosse nata, nelle donne, la repulsione, la paura di
far crescere nel proprio corpo un maschio.
Per la prima volta i maschi non avevano potuto imporre nulla. Loro non
potevano ‘clonare’.
Così era successo che, dopo la quella
di Aghenor, circa un secolo più tardi, la rete non aveva più
registrato la nascita di nessun maschio.
La nosra storia parte due
secoli dopo, dal dialogo tra Diana, ultracentenaria, ancora lucidissima
e piena di memorie, e una
bimba, la sua bis-bis nipote Katia, all’interno della
bolla d’aria purissima nel deserto del Nevada in cui vivevano
sotto il controllo di NET, la grande rete che si prendeva cura di tutto.
1. Il mondo di Katia.
“Katia perche’ sei cosi’ imbronciata?”
La bimba di cinque anni, lineamenti minuti, alzo’ il capo, fissando i grandi occhi verdi sulla bisnonna Diana; strinse un po’ le ricche labbra e
allargando le braccia brontolo’:
“Net, la rete, dice che
non puo’ portarmi dove
voglio io.”
La nonna , alta, diritta, il volto ancora liscio, malgrado gli oltre
cento anni di eta’, si
chino’ per accarezzare la nipote, con dolcezza su una guancia; si
tiro’ vicino una piccola, leggerissima
poltrona. Si
sedette piegandosi in avanti fino ad rrivare quasi all’altezza del
volto di Katia e
sussurro’ :
“Perché Katia,?”
“La mia mano..., dice che dalla mia mano si vede che ho cinque
anni e chiedo cose
che a cinque anni
non posso sapere.”
“Hai riprovato ad entrare nell’albero della vita, vero ?”
“Si’, voglio sapere chi c’era prima di noi; ma perché non me lo
vuol far vedere?”
“Perché ora non puoi sapere, devi ancora imparare....”
“Imparare cosa?”
“Ma te l’ho già detto, che le femmine
da sole non bastano....”
“Non bastano a che?”
“Non bastano.. non bastano a far
andare avanti il mondo, ecco a che cosa non
bastano!”
“E i maschi bastano?”
“Ma no...lo hai già imparato che per fare un nuovo uomo oggi ci
vogliono un maschio e una femmina assieme.”
Katia piegò la testa di capelli neri corti all’indietro e fisso’
dritta negli occhi la bisnonna:
“Ho imparato, ho imparato. Adesso dimmelo tu, perché non posso sapere
.
Perché Net non vuole parlarmi di chi c’era prima?”
Diana si alzo’ dalla piccola poltrona con aria
imbarazzata. Il
cristallo che portava incastonato nel collare inizio’ ad emettere una
leggera vibrazione ed un tenue alone pulsante viola.
“Sei troppo curiosa, e
poi insisti, insisti......lo sai benissimo che non mi piace rompere una
regola della rete.”
“Ma che c’è di male?”
“C’è di male che secondo le regole di NET, non sei pronta.”
Era l’anno 2303 ed era oramai un secolo che la rete lo aveva imposto:
prima di conoscere la storia i giovani dovevano farsi condizionare
contro il ripetersi del secolo delle femmine.
“Io voglio vedere nonna, dai!”
“Sei un bel tipo, sai; smettila!”
“Ma, quando eri piccola come me, che facevi?”
Nonna Diana sorrise con un velo di tristezza.
“Sai che in fondo mi ricordi come ero io più di cento anni fa?”
“Perché?”
“Perché anche io ero curiosa come te.”
“E a te lo hanno permesso di
vedere l’albero della vita?”
“Certo che no, né mia madre né mia nonna ruppero le regole. Forse lo
avrebbe fatto la mia bisnonna, che si chiamava
Diana anche lei. Vedi, lei era l’unica della nostra famiglia ad
aver vissuto nel secolo delle femmine, e non aveva paura di nulla.”
“Eri amica sua , come io
con te?”
“Si ma non mi lasciavano mai sola con lei.”
“Noi siamo sole nonna! Fammi
vedere l’albero, ti prego.”
“Non si puo’ Katia, credo proprio di non potere.”
Katia cominciò a piangere,
sommessamente. Un pianto maturo, non
di capriccio.
Diana allora si guardò attorno, quasi ad accertarsi che nessuno la
vedesse, nella luce fredda
dell’aria purissima della loro bolla nel deserto del Nevada; poi con un moto deciso, quasi
d’istinto, appoggio’
il suo cristallo sul cubo
nero di accesso alla rete e mise la vecchia mano al posto di quella di
Katia sul rilevatore di impronte che stava li’ di fianco; una
vibrazione dolce, un alone di luce pulsante, e la rete accettò di
mostrare l’albero della vita.
Katia, ancora con le lacrime, scoppiò in una risata; i pugni chiusi, le
braccia piegate in avanti.
Un volto senza espressione comparve sul cubo nero e chiese:
“Quante generazioni vuoi Diana?”
“Quattro, fino ad Aghenor, Net, linea
femmine.”
Dissolvendosi il volto di NET lasciò il posto all’ologramma, quasi
una piccola statua vivente, di una donna diritta, composta, le
mani in grembo.
“Sono Siria, figlia di Godifer unita ad Artom; racconto o passo?”
“Passa mamma , passa..”
Un nuovo ologramma di donna, anche lei molto composta, ma piccola di
statura, si sovrappose al lento svanire di Siria...
“Godifer, figlia di
Selene unita ad Adamo; racconto o passo?”
“Passa Godifer, passa ad Adamo.”
L’ologramma sul cubo nero mutò in quella di un uomo alto e robusto.
“Adamo, clone di Aghenor, da Diana ; racconto o passo?”
“Clone, che vuol dire clone?”
La voce sottile di Katia era perplessa, e il suo volto da stupito che
era alla vista degli ologrammi della sua famiglia, divenne attento,
quasi sospettoso.
“Clone è un essere riprodotto in modo identico ad un altro.”
“Come si fa a fare un clone?”
“Non è una cosa complicata da fare, ma dopo bisogna stare molto
attenti.”
“Attenti a che?”
“Lo imparerai bene tra cinque anni, quando farai il tuo periodo di
condizionamento...,è difficile spiegarlo così con due parole...”
“Dai, dimmelo, dimmelo!”
“Ecco, lo vedi, mi fai pentire di averti aperto l’albero della vita;
sei ancora troppo piccola.”
“OK, non chiedo più niente, ma dì a Net di andare avanti.”
“Prometti di non dire niente
a tuo padre.”
“Prometto, prometto, tanto con mio padre non ci parlo.”
“Adamo, passa ad Aghenor, riproduzione ambientale, ultimi sette
giorni.”
Man mano che l’ologramma spariva, sul cubo nero cominciò a formarsi
una sfera, quasi una bolla di sapone, sempre più grande, sempre più
grande, tanto grande che Diana e Katia, tenendosi per mano, con un
piccolo passo avanti , vi entrarono senza rumore.
La bolla d’aria, in cui si trovavano,
racchiusa da una ampia cupola trasparente attraverso la quale
entravano i colori tenui
del deserto, parve perdere trasparenza. La luce si affievoli’
lentamente; i pochi oggetti
che stavano attorno, mobilio leggerissimo ed essenziale di fili di
titanio e di sottili fogli di ‘perpex’, lentamente svanirono.
Dopo un attimo di buio nonna a nipote si ritrovarono in un ambiente
completamente nuovo.
2. Il mondo di Aghenor
“Siamo nella registrazione del mondo di Aghenor”, sussurrò Diana.
Katia seria fece di sì col capo.
Così videro Aghenor, un vecchio alto, magro, una corona di capelli
bianchi appena lunghi sul collo; il volto scavato ancora bello, lo
sguardo sereno ed allo stesso tempo arguto.
Le mani , scarne e pallide, sbucavano da larghe maniche di una tunica
azzurra .
Stava in piedi nella sua
grande veranda piena di oggetti di altri tempi.
Il lungo tavolo di legno, le tre poltrone di pelle e tutto attorno
schermi piatti per sole immagini bidimensionali appartenevano tutte a
qualche decennio passato; quasi intrusi
nella linea essenziale delle grandi pareti finestra di ‘Lumen’
coperte di sottili tende rosse, gialle ed indaco.
Il pavimento di assi di legno lunghe e larghe era stato
verniciato di bianco e contrastava con la calda luminosità dell’aria.
La voce bassa, diffusa, di Net parve quasi scusarsi nel mostrare
quell’ambiente:
“Ad
Aghenor piaceva
stare in mezzo alle sue vecchie cose;
non era mai riuscito a buttare nulla.”
Era il tramonto ed Aghenor sembrava assorto a guardare
le antenne satellitari che riflettevano la luce rossa del sole,
tra le foreste dell’Oregon, sul costone a oriente.
Alle sue spalle, in lontananza, si poteva intravedere la linea del
Pacifico di cui, a tratti, il vento da ovest portava il respiro.
Tutto attorno non una casa, non una strada, non un filo di fumo;
un piccolo sentiero che partiva dal lato della casa, verso
l’oceano, si perdeva subito nel bosco.
Per il resto, nulla, solo
alberi ed alberi .
“Qui gli era stato
concesso di vivere per tutta la sua vita....”
spiegò ancora
NET, “..Aghenor
sapeva che non vi erano tanti posti, come quello,
al mondo. Tutto era ancora frutto
della natura; nessun intervento genetico di massa era stato effettuato
su quelle piante, e i boschi erano gli stessi di un secolo prima.”
Katia guardava stupita.
“Tutto è così diverso da dove stiamo
noi”
“Si’ Katia, nella nostra bolla
d’aria non vi è quasi niente di materiale.”
“Però non ci manca nulla, no?”
“La rete crea tutto ciò che serve
man mano che se ne manifesta la necessità; poi lo smaterializza
di nuovo. Così tu sei abituata a
vivere nella leggerezza più completa, e forse non ti piace
vedere tante cose davanti a te, vero?”“Non so, però è
strano... buffo, ..anche bello.
Ma chi è Aghenor?”
“Aghenor è il mio bisnonno, ha
quasi cento anni anni e vive qui solo; ha passato
in questi monti, vicino a
queste antenne, tutta la sua vita. Ora vive qui solo.”
“E con chi stava prima?”
“Per la maggior parte della sua vita, con nessuno. La sua mamma era
morta quando lui era ancora molto piccolo;
per un po’ di anni aveva vissuto
con suo padre Atrius
che, in questa sala piena
di monitor, era guardiano
ed operatore del centro di ascolto satellitare.”
“Non c’era nessun altro? Faceva tutto da solo?”
“Non era un gran problema sai, in
realtà Atrius non aveva mai avuto nulla da fare; il centro
era completamente automatizzato. Qualche computer, chissà da
dove, sulla rete, si prendeva cura di tutto.”
“E lui che faceva allora?”
‘Aghenor ed Atrius potevano passare assieme tanto tempo;
erano amici e anzi, un po’ complici.’
‘Complici? Perché?’
‘Erano molto curiosi di tutto ciò che sapeva di nuovo e un po’ di
proibito; a volte si spingevano ai limiti dell’ignoto e
questo li eccitava molto.’
‘Che è successo ad Atrius?’
‘Atrius un brutto giorno
è morto di una cosa strana che si chiama
‘shock anafilattico’, una specie di reazione violenta del
nostro corpo a qualche sostanza strana .
Lo aveva punto una
zanzara neozelandese clonata da Aghenor con il nuovo ‘Piccolo-clonatore’.
Il regalo di compleanno per i suoi sedici
anni. Aghenor così era rimasto solo.’
‘Poverino, e come ha fatto?’
‘La rete, lo ha aiutato la rete; ha provveduto ad istruirlo, ad
intrattenerlo a fargli vedere il mondo e farlo parlare col mondo.’
‘ E non si muoveva mai?’
‘ Aghenor amava conoscere le cose, ma anche
sognare; non gli
piaceva muoversi; la città non
era mai stata una grande attrazione per lui.
La trovava troppo fredda e ordinata e il supermercato, dove
andava una volta al mese per rifornirsi, non aveva né odori né
rumori.’
La nonna smise di parlare , per non coprire la voce di una figura di
vecchio che, da uno degli schermi piatti a fianco di Aghenor, si rivolse a lui.
3. Dall’Oregon a Capri
Aveva un volto molto meno scavato di quello di Aghenor, il naso
sporgente e grosso, un marcato doppio mento e due occhi profondi, neri e
vivaci.
Alle sue spalle attraverso
una finestra quadrata su un muro bianco calce, si intravedevano le linee
di una costa molto frastagliata, di scogli alti in un mare luminoso ed
azzurro. Nell’aria i colori dell’alba.
‘Ciao Aghenor, non riesco più a dormire; anche oggi mi sono svegliato
prima dell’alba’.
‘E’ normale, Giovanni, cosa ti aspetti a più di cento anni?’
‘Non mi sveglio perché sono vecchio, mi sveglio perché sono
agitato..’
‘Agitato tu? A Capri?’
‘Ma si, perché questo è un gran
brutto anno, Aghenor, se ne sono andati quasi tutti..’
‘Si, hai ragione, siamo rimasti proprio in pochi!’
‘Pochi? Altro che pochi! Credo che siamo rimasti solo noi due; mi fa
una grande tristezza sai...’
‘Già forse hai ragione, però è già un po’ di anni che è come se
di maschi non ce ne fosse più nessuno, la rete è tutta di donne; e
pensare che quando è nata avevano fatto tutto gli uomini.’
‘Si, si , ricordi che si diceva: la rete ha tanti padri ma nessuna
madre, e nessuno sapeva spiegare bene perché.’
‘Nessuno, però era proprio vero; ma oggi che importanza ha? A
pensarci viene un gran nodo in gola, e costa una gran fatica anche
ricordare.’
‘Non sarebbe meglio far finta di nulla? Dimenticare tutto?’
‘No, no, dobbiamo
ricordare e se possibile lasciare una traccia di noi e a far questo tu
sei molto piu’ bravo di me , sulla rete riesci a infilarti
dappertutto!’
Giovanni sorrise con un’aria soddisfatta, scuotendo leggermente la
testa.
“Eh..Si’,.. la rete non ha segreti per me..”
“Guarda guarda com’e’ contento..! Sembri un gatto con ancora in
bocca un topo.”
“Adesso non stare a prendermi
in giro; lo sai che a
questo ci tengo..”
E cosi’ dicendo affondo’ la testa tra le spalle, gli occhi ben
aperti pieni di furbizia.
Le labbra strette
accentuavano le rughe ai lati della bocca.
“Dai, scherzavo; lo so bene che non esiste codice che tu non possa
decifrare, non c’e’ chiave che tu non conosca. Sei un genio
tecnologico. Secondo me, nella tua famiglia dovevi avere qualche gran
matematico.”
“Non solo, ho avuto anche un bisnonno falsario!”
“Ci avrei scommesso; e
per il resto come va?”
“ Una gran noia! Oggi è
tornata quella ricercatrice del centro di genetica storica che
vuole registrare tutto ciò che siamo stati; voleva fare altre domande
ed un altro prelievo cellulare. L’ho mandata via.
E’ una gran piaga, e io sono stanco di farmi studiare.’
‘Quella che viene da me non mi stanca affatto!’
‘Bella forza, la tua, Diana, non ha neppure diciotto anni e poi ha una
bella storia alle spalle...’
‘Una bella storia davvero; l’ha clonata una californiana che in lei
ha combinato grandi occhi
chiari, capelli neri e un gran bel carattere.
Lo sai che non ha nessun timore a parlare con me?’
‘Si, me l’hai detto; la mia, invece, è tutta distaccata e
sospettosa, continua a ripetermi che, loro, debbono stare molto attente
ai maschi; è piena di diffidenze e complessi.’
‘No, Diana non ha complessi. Pensa, ho scoperto che sua madre ha anche
sperimentato la soppressione, nel suo
carattere, del gene della paura;
poi è un fenomeno a rendere caldo l’ambiente. E’ stata lei a
suggerirmi di non usare il ‘Lumen control’. E’ bello avere attorno
questa bella luce filtrata dai suoi tessuti leggeri e colorati e non
quella che decide la rete sul ‘Lumen’ secondo i momenti.’
‘E sì,…..sei stato proprio fortunato a essere assegnato ad un
centro universitario dell’Oregon e non all’archivio pubblico
Mediterraneo...’.
‘Mi piace farmi studiare da lei, è curiosa , simpatica;
mi fido di lei. Le ho perfino fatto vedere il mio archivio
riservato; i clips del secondo millennio’
‘Ha visto anche la tua raccolta di film?’
‘Le sono piaciuti quelli di due Europei, Bergman, sai ,
‘Il posto delle fragole’, ‘Il settimo sigillo’ e Troisi,
‘Il postino’. E poi quello del giapponese Kurosawa, ‘Ran’
“Quelle battaglie, quegli uomini e quella donna tremendi..”
“Si’, un Machbeth orientale. A Diana e’ piaciuto moltissimo. Lei
adora i sentimenti forti!”
“Non e’ un po’ fuori rispetto al suo tempo?”
“ No, no; forse e’ piu’ completa del suo tempo. Le piacciono la
storia e anche l’attualita’. Passa anche molto tempo a guardare le
News-clips. Pensa che è
stata un pomeriggio intero a vedere e rivedere tutti i servizi
dell’anno della svolta, quello del congresso antiproibizionista di S.
Francisco..’
‘Il congresso antiproibizionista?
Non ricordo, ho una
gran confusione in testa..’
‘Ma si, quando è stato fondato il movimento per la libertà di
clonazione; chissà quante
volte te lo ha raccontato tuo nonno; lui era stato là come
giornalista..’
‘Credo di aver perso la memoria..; eppure non sono del tutto
rinscemito, a scacchi ti batto ancora.’
‘Si, ma la memoria…’
‘Ma che serve in fondo la
memoria? quando ho bisogno di qualche ricordo lo trovo sulla rete.’
‘A me invece piace ricordarmele da solo le cose. Senti Dante: “la
bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator
forbendola ai capelli del capo che avea di retro guasto....”
‘OK..OK.., ti ricordi Ugolino, me lo hai già recitato tante volte; lo
so che ti piaceva la nostra letteratura, ma non devi recitarmelo
tutto..; ma poi perché hai tanta diffidenza per la rete?’
‘Non è diffidenza, lo sai bene che la rete mi ha dato tanto; però
oramai sulla rete trovo solo confusione. Arrivare a quello che serve è
come sentire un piano che suona Chopin, dalla gradinate di uno stadio,
durante una partita.’
‘Però ci troviamo tutto’.
‘Ma sì tutte queste centinaia di canali televisivi, questi milioni di
siti pieni di notizie e pareri su tutto
e sul contrario di tutto; messaggi, messaggi su ogni argomento; il bello
è che sembrano
personalizzati per te e invece è la rete che finge di essere stata un
tuo amico da sempre...eppure dicevano che la rete avrebbe portato
conoscenza, pace,
armonia… . La
rete mi porta solo rumore. Così,
oramai, la uso solo per parlare con te.’
‘Eccolo lì il solito Aghenor, ti lamenti eppure non vuoi usare l’Interpreter.’
‘Io l’Interpreter non l’ho mai voluto, perché non sopporto che la
rete scelga per me quello che mi deve interessare..’
‘Ti sbagli sai, la rete è diventata una grande sorella, gli anni del
rumore sono finiti; sei tu che ti sei intestardito a non usarla come si
deve. E’ come se avessimo ritrovato i bibliotecari di una volta, che
ti aiutavano a scegliere i libri.’
‘A me la rete non sembra un gran che, come bibliotecario. Per
ricordare va bene, ma voglio
decidere io come mettere assieme le notizie del mondo,
i pareri delle persone che stimo; e poi voglio poter cambiare
quando mi pare, non mi va diventare un “profilo”’
‘Che male c’è ad avere un profilo?’
‘Un conto è avere un profilo, e un altro è diventare un profilo. Non
mi piace che l’Interpreter
mi dia un codice, mi assegni ad una categoria, e poi decida lui che io
sono quello lì. E, quindi, che debbo aver bisogno di certe cose
e non di certe altre, e che è giusto che parli con qualcuno e
con qualcun altro invece
no.
Il problema non è la memoria, il problema è che voglio
essere padrone del
mio modo di pensare.’
‘A me sembra solo che tu perda del gran tempo’
‘Non si perde mai tempo a costruire il sapere. Solo così lo si può comunicare e
confrontare con altri.’
‘Di tempo, a pensare cose inutili ne abbiamo perso anche troppo..’
‘Il tempo passato a conoscere e a far conoscere non è mai perso! Mio
padre mi citava sempre un testo sacro:
“Senza frode imparai la sapienza,
senza invidia la donai, non nascondo le sue ricchezze”....sai dove lo
aveva letto....?’
‘Quel cinese .. Sun Tsu..?’
‘Ma no.... La Bibbia...il libro della Scienza’
‘Mai letta....’
Un lontano rumore di passi dall’esterno li interruppe.
Da una delle finestre si vide una ragazza molto bella , grandi occhi
verdi e capelli neri,
avvicinarsi all’ingresso a lunghi passi veloci dopo essere
scesa da un piccolo veicolo
affusolato senza ruote che sembrava sospeso in aria e non aveva volante
o manubrio ma solo un Joy-stick piccolo come un pugno.
Era vestita di blu scuro, stoffa morbida, quasi seta, lunghi
pantaloni e maniche larghe
allacciate ai polsi, portava una collana di rame con un ciondolo, un
cristallo grande come una noce leggermente iridescente. Aveva un modo di
muoversi sbrigativo, essenziale, e si capiva bene che era e voleva
sembrare molto efficiente.
Katia la indicò con un dito: ‘Chi è nonna?’
‘E’ Diana, la ricercatrice
di storia genetica di cui prima parlava Aghenor.
E’ una ragazza straordinaria, molto
intelligente. Sta facendo la sua tesi su Aghenor, come caso di studio.’
Rispose la nonna
indicandola con un leggero moto del volto.
‘ Perché Aghenor è un caso di studio?’
‘Perché era rimasto uno degli ultimi maschi, ed era un tipo molto
speciale.
Senti cosa diceva Diana in una parte del suo studio.’
Chiudendo gli occhi, le mani incrociate sotto il collo, come se stesse
pescando le parole da un testo che le scorreva davanti agli occhi,
cominciò a raccontare.
“Aghenor è un personaggio particolare;
tutti i maschi sono particolari, ma lui più degli altri.
E’ una miniera di ricordi e di pensieri .
Dopo la morte di Atrius suo padre aveva imparato a vivere solo, a far
grande tesoro del suo
passato. Aveva in testa ogni momento della sua vita; e non tanto come
ricordi precisi, ma proprio come modi di essere.
Era come se avesse dentro di se’, il vecchio e il bambino assieme.
La notte, sognava ancora come da piccolo
di volare a braccia aperte , come un uomo aliante.
Sentiva il brivido di infilarsi in valli strette e poi cabrare
verso la luce con il sole e l’aria in faccia e poi,
una volta atterrato, riviveva le emozioni di quando con una benda
sugli occhi correva sull’orlo di un ponte. “Così aumenti la capacità
di autocontrollo..” gli aveva sempre detto il padre Atrius.
Aghenor sapeva far venir fuori il bambino, che era dentro di lui, nei
momenti di grande gioia ed in quelli di grande tristezza; era un uomo
che forse non aveva un grande rispetto del suo aspetto esteriore, e delle cose di cui si circondava, ma ci teneva molto a
essere ed apparire bello dentro.
Diceva sempre, ...meglio essere un forziere incrostato e polveroso,
pieno di tesori, che non un sepolcro splendidamente imbiancato”
Katia interruppe la nonna tirandola per il braccio indicando
l’apertura della parete dalla quale la ragazza che avevano visto
all’esterno stava entrando.
La nonna riaprì gli occhi, come svegliata dolcemente dal sonno e, con
un leggero sorriso quasi di
compiacimento sulle labbra, accennò di si col capo.
continua
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