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To: caffeeuropa@caffeeuropa.it
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Date: Wed, 16 Feb 2000 02:57:47 +0100
Subject: Intervento sul tema 'Apel e l'etica della comunicazione' come occasione di critica dell'ideologia della tecnica.

 

Recentemente è apparso un'interessante quanto stimolante articolo di Massimo Zanetti sul tema, assai ampio e articolato, dell'etica della comunicazione di K.O.Apel,nel quale si osservano i meriti e le eventuali aporie del discorso apeliano.Il dubbio di Zanetti sulla teoria della comunicazione di Apel è interessante poiché pone in evidenza una problematica di grande attualità quella del rapporto tra 'standard di comunicazione' e criteri adottati nella comunità scientifica. Non a caso,nel contesto neopragmatista americano contemporaneo c'è un'interessante dibattito tra Putnam e Rorty sulla teoria pragmatica della verità etica,in cui si riprende proprio il confronto con Apel ed Habermas.

Sebbene Zanetti colga nel vero a mio avviso quando parla di una priorità teoretica nel discorso scientifico su quella pragmatico-comunicativa; con troppa leggerezza afferma poi(con tono quasi positivistico)che il metodo scientifico 'si fonda su basi scientifiche più solide del semplice consenso',e che 'rimanda ad una razionalità scientifica non riducibile alle regole della pragmatica della comunicazione'.Innanzi tutto il dire che la ragione epistemologica non sia riducibile alla pragmatica della comunicazione è opinabile,non tanto perché (come è innegabile ed evidente) la Ragione epistemologica si regge sulla propria struttura logica metodicamente rigorosa,quanto per il fatto che il linguaggio della scienza epistemologica (sia esso quello della matematica o della logica formale) è strutturato su sistemi semiotici accettati convenzionalmente a'priori (assiomi,principio di non contraddizione etc...) ed è nella misura in cui questi 'standard di asseribilità garantita'(per dirla con Peirce e Putnam) sono accettati dalla pragmatica comunicativa della comunità scientifica che le teorie scientifiche sono ritenute valide,non a caso come Popper insegna le teorie scientifiche sono strutturalmente falsificabili.

Una delle regole fondamentali della pragmatica della comunicazione di Apel (e soprattutto di Habermas) è che se io comunico una mia riflessione ad un'interlocutore (o ad una comunità di interlocutori possibili) devo accettare la regola comunicativa che qualcun'altro possa obiettare ciò che io ho affermato.Questo vale anche e soprattutto per la ragione epistemologica, in quanto essa è tale (come notò acutamente Peirce e da noi in Italia, Vailati) solo quando si situa nella possibilità di essere rapportata ad una comunità di ricercatori.Zanetti dal mio punto di vista non tiene sufficentemente conto del fatto che la posizione di Apel è fondata su una base indelebile(che lo collega in modo ancor più stretto di Habermas ad Adorno e Horkeimer)quella della 'critica all'ideologia',intesa come mistificazione strutturale del discorso sociale,culturale e scientifico.

Il consenso per Apel non è il semplice consenso di quella che Heidegger chiamerebbe 'della quotidianità media della chiacchera',è invece un consenso che rimanda regolativamente ad un'etica della comunicazione la quale ha come fine (simile all'idea della ragione kantiana),quello di creare una 'comunità comunicativa ideale'.Da un punto di vista immediato è vero,come sottolinea Zanetti,che il principio della partecipazione e delle regole della comunicazione non sono di per sè garanti di 'scelte etiche' giuste,ma neanche la razionalità epistemologica della tecnica scientifica lo è,in quanto essa è interconnessa al dominio tecnologico del mondo.Il sapere epistemologico è fondato su strutture epocali,su sistemi di potere (culturale,sociale,logico,ideologico) come ha dimostrato con penetrante e acuta lucidità Michel Foucault.

I sistemi di potere sono interconnessi alla comunicazione(mai quanto ora,nella cosidetta 'età postmoderna').Apel dunque nota (in modo indiretto per lo più) che nella consapevolezza di un'etica della comunicazione di tipo critico,l'ideologia tecnologica, che sembra essere l'unico sapere autentico possa essere rimesso in discussione.Concordo pienamente con Zanetti nel notare che nella posizione di Apel rimane il rischio di identificare ciò che è universale con ciò che è razionale.Ma questo rischio non è tanto imputabile alla formulazione apeliana dell'etica della comunicazione quanto ad una crisi epocale dell'idea di relazione intersoggettiva ed ad un'eventuale interpretazione 'cartesiana' del discorso apeliano.Eticamente un principio non può essere dedotto da una formula logica,proprio perchè, nel pensiero contemporaneo, la logica stessa viene decostruita epistemicamente(pensiamo alla logica non aletica) ma può essere ricondotto alla sua prassi dialogica che è sempre intenzionale.

Croce aveva già notato con la sua teoria dei distinti che l'azione veramente etica non si deduce da una teoria universale ma dalla libertà stessa a cui lo spirito tende,è pur vero, però, che nella società attuale l'esigenza di un'etica comunicativa è fondamentale(come condivide anche Zanetti).Apel,comunque, non è così ingenuo da identificare tautologicamente l'universale con il giusto (è memore dell'affermazione adorniana:'l'intero è il falso 'rovesciamento del motto hegeliano;'il vero è l'intero'),egli invece è consapevole, come lo è stato in un modo assai profondo Aldo Capitini, che nella relazione spirituale-etico-comunicativa dell'IO-TU' c'è il riferirsi a tutta l'umanità.Il valore della non violenza è,ad asempio, costruito su una corretta pragmatica della comunicazione ma non è giustificato razionalisticamente da quest'ultima,proprio perché questo valore è vero universalmente.Ma la sua universalità non è quella apodittica del teorema matematico sempre evidente e chiaro, quanto a quella intenzionale che ci chiama a responsabilizzarci reciprocamente in una prassi comunicativa globale.

Alessandro Ialenti

 

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