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From: "Massimo Zanetti" ma.zanetti@libero.it
To: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Subject: Etica della comunicazione di Apel
Date: Sat, 29 Jan 2000 01:28:34 +0100

Vi invio alcune osservazioni sull'intervista di Apel sicuramente ingenue, non conclusive ed estemporanee, ma che esprimono in qualche modo le mie perplessità sull'etica della comunicazione, così come la comprendo da questo intervento del Filosofo. Con l'auspicio di avviare un discorso, sicuramente non "pratico", ma che può arricchire comunque i partecipanti.

Alla base dell'interazione tra gli scienziati in quanto tali c'è soprattutto il metodo, che non è un'etica in nuce perché ha una dimensione soprattutto teoretica, cioé è un'insieme di regole per stabilire la validità di ciò che viene affermato che non è frutto del consenso raggiunto nell'ambito della comunità (anche se di esso necessita per essere in atto, per essere applicato concretamente) ma - almeno nella mente degli scienziati - si fonda su basi più solide del puro consenso che che rimandano ad una razionalità di tipo epistemologico e quindi non sono del tutto riducibili al livello di regole di pragmatica della comunicazione ma lo sono solo in parte - magari una parte sottovalutata in passato come ha fatto notare Kuhn.  

Una fondazione pragmatica dell'etica, che rimanda ai "discorsi pratici" la definizione delle soluzioni etiche evitando di vincolarle ad un principio etico sostantivo dal quale possono essere derivate. Questo ha il pregio di tenere aperta l'etica ad ogni evoluzione evita cioé irrigidimenti dogmatici, ma la lascia anche indeterminata. Il principio della partecipazione alla discussione di tutti i soggetti coinvolti e le regole della pragmatica della comunicazione che escludono violenza e sopraffazione sono importanti ma non sono una garanzia di per sè che dai discorsi pratici emerga una soluzione eticamente "giusta", cioé una condotta d'azione "giusta", anche perché questa non è fondata nell'etica della comunicazione.

Questo passaggio dell'intervista esprime a mio parere le potenzialità e i limiti di tale impostazione filosofica: Già il principio morale secondo cui tutte le difficoltà, tutti i conflitti, ad esempio le divergenze di opinione, devono essere risolti per mezzo dei discorsi tra gli interessati o tra i loro rappresentanti, attraverso autentici discorsi argomentativi, e non mediante la violenza o le contrattazioni, è una norma fondamentale che la filosofia può ancora anticipare. Come poi però, sulla base di tale norma, vengano ricavate nei discorsi pratici le norme riferite a situazioni particolari, concrete, questo è un problema che deve essere risolto sul piano di quegli stessi discorsi pratici che devono ancora essere istituiti.

L'agire umano non è solo comunicazione ma anche scelta e azione conseguente, quali regole per l'azione giusta? Una discussione regolata eticamente a partecipazione equa e universalistica sui problemi di interesse collettivo evita certo esclusioni, violenza e coercizione nel processo di formulazione delle opinioni ma siamo sicuri che produca di per sé opinioni giuste o azioni giuste? Universalità non coincide con razionalità anche se ne è uno dei presupposti e soprattutto non coincide con la ragionevolezza (le assemblee trockiste tanto ligie alle regole di partecipazione,  comunicazione e consenso universale erano poi in realtà delle bolgie dove il buonsenso era scarso e trionfava la retorica di pochi individui particolarmente abili nel comunicare).  

Comunque condivido l'obiettivo di una fondazione razionale di un'etica universalistica e penso che essa sia raggiungibile solo con un'impostazione abbastanza flessibile da poter sussumere un insieme sufficientemente ampio di soluzioni sostantive dovute agli innumerevoli di stili di vita e di pensiero differenti, siano essi tradizionali, religiosi o etnici, o prodotti dalla stratificazione socio-culturale sempre più spinta determinata dal processo di modernizzazione.

Una buona soluzione per coniugare universalità e differenziazione passa per la partecipazione e il confronto attraverso la comunicazione, ma rimane la sensazione di insufficienza sul piano sostantivo, cioè manca un'istanza teoretica che delimiti con una certa chiarezza gli esiti accettabili e attuabili (in termi di ethos, cioè di comportamento socialmente accettabile, di azione dalle finalità e dalle conseguenze sugli altri) della discussione, pur eticamente realizzata. Come nel caso del metodo per gli scienziati. Altrimenti il relativismo etico trionferà comunque di principio e soprattutto di fatto in una babele della comunicazione tra persone che parlano lingue diverse. Si rischia cioè di fare un bel contenitore per il relativismo etico.     

Massimo Zanetti

 

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