Elizabeth Dole
ha recentemente confessato di essere stata costretta a ritirarsi dalla corsa alla Casa
Bianca dall'impossibilità di competere con George Bush sul piano dei finanziamenti: i
fondi elettorali del figlio dell'ex presidente, infatti, hanno già raggiunto i 60 milioni
di dollari e sono destinati ad aumentare ancora molto. La decisione della Dole evidenzia
un dato: soltanto candidati immensamente ricchi, come il magnate dell'editoria Steve
Forbes o il gigante del ramo immobiliare e alberghiero Donald Trump, dispongono di fondi
tanto ingenti.
Il ritiro di Elizabeth Dole rischia di accelerare il processo di
commistione fra le campagne elettorali e il mondo dello spettacolo, con i suoi
protagonisti. E' un'altra novità preoccupante che si affaccia sulla scena politica
statunitense. Si tratta di una trasformazione generativa iniziata ormai da decenni con
l'avvento della televisione, e incoraggiata dalla proliferazione di specialisti di
"sondaggi" e altri esperti, abili nel "confezionare" i candidati alle
cariche elettive e commercializzarli come fossero prodotti di consumo.

Oggi come oggi, ci sono esperti che insegnano ai candidati che cosa
dire, quando e come dirlo, e come adattare le proprie dichiarazioni a questa o quella
categoria di elettori. Abbondano gli "uomini-immagine" che insegnano loro come
vestirsi, quale mimica o body language scegliere o evitare, come comportarsi nei confronti
dei concorrenti. L'opera di condizionamento raggiunge la massima intensità in
concomitanza con la preparazione degli spot elettorali o con le apparizioni televisive del
candidato. Si tratta di una vera e propria attività promozionale con abilità meticolosa,
rispetto alla quale idee e programmi politici passano in secondo piano.
Anziché all'appello aperto e onesto all'elettorato di una società
libera e democratica, vien fatto di pensare all'industria cinematografica, con i suoi
trucchi e le sue illusioni. Ormai è solo questione di tempo: prima o poi entreranno in
politica anche i professionisti dell'illusionismo, gli attori di Hollywood e gli
intrattenitori che si guadagnano da vivere sembrando ciò che non sono. E' facile
prevedere che il concetto stesso di politica e il comportamento dei suoi protagonisti
verranno radicalmente modificati.
Il precursore di questa forma maligna di darwinismo politico è stato
Ronald Reagan, uno dei presidenti meno dotati della storia americana quanto a capacità di
concentrarsi e di lavorare seriamente. Eppure, la sua leggendaria reputazione di
"grande comunicatore", acquisita alla radio e sugli schermi cinematografici
anziché in politica, ha in gran parte impedito alla gente di scorgere le sue lacune.
Attualmente, il governatore dello Stato del Minnesota è un lottatore
professionista, ben noto ai numerosi spettatori americani che amano seguire questo falso
sport alla televisione. Ebbene, il governatore Ventura è destinato ad avere molta voce in
capitolo nella designazione del candidato presidenziale del Reform Party, fondato come
ricorderete da Ross Perot, il miliardario che anni fa riuscì ad inserirsi nella
competizione presidenziale grazie a una campagna televisiva massiccia e fortemente
spettacolare.

Intanto, per la delizia dei democratici di stampo liberal, sembra che
l'attore Warren Beatty accarezzi l'idea di abbandonare Hollywood per partecipare alle
primarie. Il suo nome è sulla bocca di tutti e la sua grande fama come attore fanno di
questa aspirazione una prospettiva concreta, con cui gli altri candidati dovranno fare i
conti.
Ma non basta: sono in aumento le chance elettorali di Bill Bradley, il
cestista dei New York Knicks diventato famoso anche per le sue apparizioni televisive.
Anche in Italia molti lo conoscono: più perché ha giocato per la Simmenthal che per il
fatto di essere stato più volte rieletto senatore degli Stati Uniti. Ebbene, Bradley è
uno che ha capito fino in fondo il significato dell'espressione
"politica-spettacolo", tant'è vero che per fare audience e raccogliere voti, ha
già messo insieme una squadra agguerrita, formata da campioni di pallacanestro passati e
presenti, fra cui Michael Jordan.
Forse, con il ritiro di Elizabeth Dole - prima donna a candidarsi con
qualche probabilità alla presidenza degli Stati Uniti - stiamo per assistere all'entrata
in lizza di una Meryl Streep, di una Susan Sarandon o di una Kim Basinger. Chissà, magari
sarebbero disposte a cedere uno dei loro Oscar pur di venire elette, e magari rielette,
alla Casa Bianca!
(Traduzione di Marina Astrologo)