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"Isolazionismo" repubblicano e gaffe di Clinton

Joseph La Palombara


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Nei due secoli di storia della Repubblica americana, sono stati sottoposti alla ratifica del Senato ben 1.544 trattati, di cui solo 21 sono stati respinti. Fra questi vi è il trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari bocciato qualche giorno fa. Di fronte a questa sconfitta umiliante - non era mai successo da ottantíanni a questa parte che il Senato rifiutasse di ratificare un accordo di tale importanza ñ il presidente Clinton, adirato, ha agitato lo spettro della Fortress America, additando il pericolo che gli Stati Uniti cedano a una nuova ondata di isolazionismo fomentata irresponsabilmente dai repubblicani.

Sarebbe un grave errore, specie da parte degli altri paesi, prendere per buone le parole di Clinton. All'orizzonte non c'è nulla di simile all'isolazionismo che seguì il rifiuto, da parte del Senato americano, di ratificare il trattato di Versailles e l'adesione alla Lega delle Nazioni. Nè risulta dai sondaggi di opinione che gli americani siano pronti a rinnegare quell'interdipendenza globale, tuttora in espansione, che essi stessi hanno incoraggiato per tanto tempo.

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Tuttavia, Clinton aveva ragione a dire che la decisione presa la settimana scorsa dal Senato è motivata da considerazioni di politica interna. Però ha dimenticato di aggiungere è che lui stesso ha contribuito in larga misura a creare questa situazione. I repubblicani del Congresso, molti dei quali sono ancora indignati per il fatto che il presidente continui a occupare la Casa Bianca dopo l'impeachment, sono pronti a gesti estremi per castigarlo ogni volta che possono. E dopo che Clinton, con arroganza, ha posto il veto alla loro recente proposta di sgravi fiscali, hanno colto al volo l'occasione di infliggergli una sconfitta bruciante sul trattato che vieta gli esperimenti nucleari.

Ma quest'occasione, Clinton e i democratici gliela hanno offerta, come si dice, su un piatto d'argento, dimostrandosi dei veri sprovveduti: non soltanto hanno sbagliato tutti i conti, sopravvalutando il numero dei senatori favorevoli alla ratifica del trattato, ma hanno minacciato (cosa inaudita) di paralizzare i lavori della Camera alta, e lo hanno fatto in modo talmente sconsiderato che i repubblicani sono stati più che lieti di smascherare il loro bluff. Detto questo, è piuttosto chiaro che i rischi díisolazionismo hanno poco o nulla a che fare con queste manovre.

Per giunta, a differenza dei democratici, i repubblicani sono convinti che l'aver respinto il trattato non gli costerà caro in occasione delle elezioni del prossimo anno. Il declino politico, economico e morale della Russia e la sua palese dipendenza dagli Stati Uniti e dall'Occidente tutto hanno indotto gli americani a ritenere (e si tratta forse di una conclusione pericolosa) che essa non rappresenti più una minaccia nucleare seria. Quanto alle altre potenze nucleari, effettive o potenziali, in sede di campagna elettorale i candidati repubblicani sosterranno che il trattato respinto, nella sua formulazione attuale, rischia di legare troppo le mani agli Stati Uniti e di far loro perdere lo schiacciante vantaggio nucleare di cui attualmente godono. Quest'argomento farà presa sui tanti americani cui l'amministrazione Clinton ha insegnato a credere che la garanzia più certa della loro sicurezza futura risiede nella superiorità a livello di guerra tecnologica.

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A questo proposito, c'è da osservare che i costosi spot televisivi che Al Gore si è affrettato a produrre -- in cui condanna i repubblicani, agli occhi degli elettori, per aver silurato il trattato -- sono un chiaro segno del fatto che sente la vittoria sfuggirgli di mano. George W. Bush, dal canto suo, ha tenuto un atteggiamento più blando: pur affermando che anche lui si sarebbe opposto alla ratifica del trattato nella sua formulazione attuale, ha infatti dichiarato che se eletto proseguirà la politica americana di astensione volontaria dagli esperimenti nucleari. Ebbene, fra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti ce n'è uno che non ha il polso della situazione e non comprende a fondo gli umori dell'elettorato.

Adesso, nonostante la retorica roboante di Clinton, la questione della messa al bando degli esperimenti nucleari resterà congelata fino a dopo che il nuovo inquilino avrà preso possesso della Casa Bianca. Quando il Congresso tornerà ad occuparsene (come certamente dovrà fare) saremo in grado di valutare meglio se e in che misura l'America sia pronta a recedere dai suoi impegni e dalle sue responsabilità internazionali e a richiudersi in se stessa. Per intanto, resta un semplice fatto: il voto del Senato è una dura batosta per Clinton, e molti americani (compresi non pochi democratici) sono convinti che se la sia ampiamente meritata.

(Traduzione di Marina Astrologo)

 

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