Nei due secoli
di storia della Repubblica americana, sono stati sottoposti alla ratifica del Senato ben
1.544 trattati, di cui solo 21 sono stati respinti. Fra questi vi è il trattato per la
messa al bando degli esperimenti nucleari bocciato qualche giorno fa. Di fronte a questa
sconfitta umiliante - non era mai successo da ottantíanni a questa parte che il Senato
rifiutasse di ratificare un accordo di tale importanza ñ il presidente Clinton, adirato,
ha agitato lo spettro della Fortress America, additando il pericolo che gli Stati Uniti
cedano a una nuova ondata di isolazionismo fomentata irresponsabilmente dai repubblicani.
Sarebbe un grave errore, specie da parte degli altri paesi, prendere
per buone le parole di Clinton. All'orizzonte non c'è nulla di simile all'isolazionismo
che seguì il rifiuto, da parte del Senato americano, di ratificare il trattato di
Versailles e l'adesione alla Lega delle Nazioni. Nè risulta dai sondaggi di opinione che
gli americani siano pronti a rinnegare quell'interdipendenza globale, tuttora in
espansione, che essi stessi hanno incoraggiato per tanto tempo.

Tuttavia, Clinton aveva ragione a dire che la decisione presa la
settimana scorsa dal Senato è motivata da considerazioni di politica interna. Però ha
dimenticato di aggiungere è che lui stesso ha contribuito in larga misura a creare questa
situazione. I repubblicani del Congresso, molti dei quali sono ancora indignati per il
fatto che il presidente continui a occupare la Casa Bianca dopo l'impeachment, sono pronti
a gesti estremi per castigarlo ogni volta che possono. E dopo che Clinton, con arroganza,
ha posto il veto alla loro recente proposta di sgravi fiscali, hanno colto al volo
l'occasione di infliggergli una sconfitta bruciante sul trattato che vieta gli esperimenti
nucleari.
Ma quest'occasione, Clinton e i democratici gliela hanno offerta, come
si dice, su un piatto d'argento, dimostrandosi dei veri sprovveduti: non soltanto hanno
sbagliato tutti i conti, sopravvalutando il numero dei senatori favorevoli alla ratifica
del trattato, ma hanno minacciato (cosa inaudita) di paralizzare i lavori della Camera
alta, e lo hanno fatto in modo talmente sconsiderato che i repubblicani sono stati più
che lieti di smascherare il loro bluff. Detto questo, è piuttosto chiaro che i rischi
díisolazionismo hanno poco o nulla a che fare con queste manovre.
Per giunta, a differenza dei democratici, i repubblicani sono convinti
che l'aver respinto il trattato non gli costerà caro in occasione delle elezioni del
prossimo anno. Il declino politico, economico e morale della Russia e la sua palese
dipendenza dagli Stati Uniti e dall'Occidente tutto hanno indotto gli americani a ritenere
(e si tratta forse di una conclusione pericolosa) che essa non rappresenti più una
minaccia nucleare seria. Quanto alle altre potenze nucleari, effettive o potenziali, in
sede di campagna elettorale i candidati repubblicani sosterranno che il trattato respinto,
nella sua formulazione attuale, rischia di legare troppo le mani agli Stati Uniti e di far
loro perdere lo schiacciante vantaggio nucleare di cui attualmente godono. Quest'argomento
farà presa sui tanti americani cui l'amministrazione Clinton ha insegnato a credere che
la garanzia più certa della loro sicurezza futura risiede nella superiorità a livello di
guerra tecnologica.

A questo proposito, c'è da osservare che i costosi spot televisivi che
Al Gore si è affrettato a produrre -- in cui condanna i repubblicani, agli occhi degli
elettori, per aver silurato il trattato -- sono un chiaro segno del fatto che sente la
vittoria sfuggirgli di mano. George W. Bush, dal canto suo, ha tenuto un atteggiamento
più blando: pur affermando che anche lui si sarebbe opposto alla ratifica del trattato
nella sua formulazione attuale, ha infatti dichiarato che se eletto proseguirà la
politica americana di astensione volontaria dagli esperimenti nucleari. Ebbene, fra i due
candidati alla presidenza degli Stati Uniti ce n'è uno che non ha il polso della
situazione e non comprende a fondo gli umori dell'elettorato.
Adesso, nonostante la retorica roboante di Clinton, la questione della
messa al bando degli esperimenti nucleari resterà congelata fino a dopo che il nuovo
inquilino avrà preso possesso della Casa Bianca. Quando il Congresso tornerà ad
occuparsene (come certamente dovrà fare) saremo in grado di valutare meglio se e in che
misura l'America sia pronta a recedere dai suoi impegni e dalle sue responsabilità
internazionali e a richiudersi in se stessa. Per intanto, resta un semplice fatto: il voto
del Senato è una dura batosta per Clinton, e molti americani (compresi non pochi
democratici) sono convinti che se la sia ampiamente meritata.
(Traduzione di Marina Astrologo)