Se gli anni '80
hanno visto l'esplosione della video art e gli anni '90 l'emergere della così detta
computer art, il decennio che sta per iniziare e che, guarda caso, segna anche l'inizio
del nuovo millennio, vedrà probabilmente la consacrazione dell'arte virtuale. Il critico
d'arte contemporanea Giuliano Marziani nel saggio N.C.Q. Arte italiana e tecnologie: il
Nuovo Quadro Contemporaneo (Castelvecchi, 1998) ha individuato ben tredici espressioni
artistiche basate sull'elaborazione o la creazione al computer: dalla fotografia digitale
alla tecnoscultura. Ma è la presenza su Internet ad accumunare la maggior parte dei
techno-artisti o artisti multimediali.
Per alcuni Internet è solo una vetrina dove esporre opere
scannerrizzate e modificate digitalmente, per altri il mezzo è l'opera: il mouse
sostituisce il pennello, il software la tavolozza. E alcuni diventano dei veri e propri
casi. Come Giuseppe Tubi, che ha esposto in primavera alla galleria "Il
Mascherino" di Roma, ma che soprattutto è diventato un fenomeno della Rete. Su
Internet Tubi è nato e cresciuto artisticamente, fino al punto che alcuni suoi quadri, se
possiamo ancora definirli tali, sono diventati innoqui virus distribuiti tramite posta
elettronica.
In realtà la video art, ovvero l'arte che utilizza il video come mezzo
espressivo, esiste da ben prima degli anni '80, come esiste la computer art almeno dalla
fine dei '60. Nel 1968, infatti, la mostra Cibernetic Serendipity organizzata da Jasia
Reichardt all'ICA di Londra comprendeva già opere realizzate essenzialmente attraverso
l'uso di mezzi meccanici e del computer. Per la video art e la computer art però la
diffusione al vasto pubblico è avvenuta molto dopo la sperimentazione da parte degli
artisti. Questo "gap" temporale fra creazione e diffusione dell'opera dipende
non solo dalla capacità visionaria del genio artistico che è in grado di
"vedere" prima del pubblico quali saranno le tendenze artistiche, ma anche
dall'isolamento dei circoli d'arte e dei gruppi d'avanguardia rispetto al grande pubblico.

Discorso che non vale invece per l'arte virtuale, anche per questo
rivoluzionaria. La sua collocazione naturale non è infatti più l'atelier, la galleria, o
i luoghi frequentati da circoli chiusi di critici e artisti, ma quella cosa acessibile a
tutti che è Internet: la maggior parte delle opere virtuali, infatti, sono già da anni
sul Web, visibili non appena sono state create.
E' dal 1993 in Rete il sito bolognese di graffiti (www.graffiti.it/graffiti/JDSquad/welcome.html)
creato da un gruppo di writer metropolitani. Opere d'arte digitali si possono vedere sul
sito della Stanford University in Gran Bretagna (www.stanford.edu/dept/art/SUDAC/), vero
e proprio centro d'arte elettronica, che ospita le novità sulla più recente produzione
digitale inglese e statunitense. Come è già da anni sulla bocca degli appassionati
d'arte creata al computer il più importante network italiano per l'arte contemporanea e
digitale, www.undo.net, che oltre a essere un luogo virtuale d'incontro, un sito di
informazione per mostre e aste, un motore di ricerca per artisti e appassionati, è anche
un esempio di ciò che possiamo chiamare la smaterializzazione della galleria d'arte.
Ed era sin dai primi anni '90 in Rete con un suo sito l'astro di punta
della nuova arte digitale, il poco più che ventenne Matteo Basilè (www.srd.it/jungle2.5/). Un navigatore curioso
avrebbe trovato sul Web già anni fa i suoi primi graffiti fino alle creazioni digitali
degli ultimi anni. Basilè sarà anche prossimamente ospite della biennale d'arte
contemporanea di Alessandria d'Egitto con il primo ritratto interattivo. Ma oggi le sue
opere sono esposte anche alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, all'interno della
mostra EMM, Eventi Multimediali.

Ed è proprio questa la novità. E' giunto il momento per Basilè, come
per gli altri artisti digitali in Italia, di entrare ufficialmente nei musei. Non solo
alle biennali, quindi, manifestazioni per loro natura vicine all'avanguardia, ma in veri e
propri installazioni permanenti all'interno dei santuari della tradizione accademica,
della pittura "alta", riconosciuta. Prima o poi doveva succedere. Eppure
inizialmente l'arte digitale sembrava non aver bisogno di questa collocazione. Proprio per
la sua natura "virtuale", smaterializzata, onnipresente, sembrava snobbare il
tempio dell'accademia per quel mezzo più rivoluzionario e libero rappresentato da
Internet. Mezzo, oltretutto, con valenze più democratiche, come dimostrano i siti di
ASCII art, ovvero quella forma d'arte digitale povera che utilizza il linguaggio dei segni
della tastiera per creare figure e immagini, come si può vedere al sito ASCII Artwork(http://www.textfiles.com/) e all'ASCII Picture
Collection(http://www.afn.org/(afn39695/collect.htm).
Infine l'entrata al museo pareva ostacolata da funzionari e accademici
tradizionalisti, perplessi di fronte al video in continuo movimento, ancora scettici di
fronte alla formula novecentesca secondo cui l'idea è l'opera, nonostante quasi un
secolo di irriverenze d'ogni tipo, di orinatoi dadaisti(Marcel Duchamp, 1917), di colore
versato a caso sulla tela(Jackson Pollock, '40), di fumetti sgranati(Roy Lichtenstein,
'60), di foto di Marilyn a colori (Andy Warhol, 1967) e di escrementi d'autore(Pietro
Manzoni, 1960). Vinte anche queste resistenze, forti dell'entusiasmo generale che soffia
su Internet come su un veliero a vele spiegate, anche i sovrintendenti più diffidenti
hanno aperto le porte agli artisti del mouse.
Due gli eventi determinanti a livello europeo e tutti e due in
Germania: il Documenta Festival di Kassel nel 1997 e ora la mostra allo ZKM di Karlsruhe,
fortemente voluta e sostenuta dal suo curatore Weibel. Ma anche in Italia la tendenza è
in atto. Anche qui due mostre, entrambe a Roma: l'esposizione Ambienti Sensibili al
Palazzo delle Esposizioni la scorsa primavera, che ospitava le opere del gruppo milanese
Studio Azzurro, e ora, fino al 14 novembre alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, EMM,
Eventi MultiMediali, che ha il merito di portare alla luce un gruppo di artisti romani,
fra i quali Rafael Pareja(Love me, 1999, Photoshop 5.2), Giuseppe Tubi(Fashion 2 e 3,
1999, computer print digitale), Alessandro Gianvenuti(The Magic Pink, 1999, pittura
digitale su pvc) e Daniela Perego(Roberto '99, 1999, stampa su pvc).

Perchè questi artisti sentono la necessità di entrare nei musei?
Perchè non restarsene sul Web? "Oramai tutto è su Internet - spiega il critico
d'arte Ludovico Pratesi - Avere un proprio sito è cosa comune. Gli artisti digitali
stavano sul Web dieci anni fa, quando nessuno lo faceva. Ma gli artisti sono dei pionieri,
amano arrivare prima degli altri, quando un mezzo appartiene a tutti per loro è
finito".
Ok, così ragiona l'avanguardia, ciò non toglie che, al di là degli
atteggiamenti snobistici, sia curiosa questa voglia di rientrare nel museo. Certo,
entrarci significa dare dignità artistica alle opere digitali, elevare il pixel al
livello dell'olio, tendenza che va di pari passo con la ricerca, almeno per gli artisti
digitali italiani, di temi e iconografie classiche(il nudo, il ritratto, il paesaggio).
C'è poi però un aspetto promozionale.
Quando i sovranintendenti hanno aperto le porte dei musei al digitale
temevano che queste opere, lontane dall'essere degli happening di dadaistica memoria, non
fossero in fondo altro che volgari siti Internet. Il rumore della novità, neanche questi
artisti volessero entrare nei musei in skateboard, poteva essere assordante, ma è stato
invece mitigato dalla consapevolezza che il pubblico ama Internet. E anche i
collezionisti.
L'opera realizzata al computer per sua natura ed essenza è
riproducibile. Più di un video, del quale esiste pur sempre la bobina d'oro, le opere
virtuali restano nell'aria, al massimo nella memoria RAM di un computer, o in un floppy
disc. Vincono l'immaterialità grazie alla stampa, in particolare col "plotter",
una particolare stampante usata in architettura, o su carta fotografica. Ma sul supporto
cartaceo assumono una valenza diversa. Eppure, nonostante i collezionisti sappiano che di
quell'opera esistono infinite copie in circolazione, molte anche su Internet, le
acquistano comunque. E spendono. "In media un'opera digitale di un artista italiano
può costare da uno a sette milioni - spiega Marziani - e i prezzi si stanno avvicinando
sempre di più alla pittura manuale".
L'unica cosa che il collezionista può possedere è l'originale in
CD-Rom, o il matrix, la matrice originaria del programma. Che garanzie ha? Nessuna. Certo
è rischioso, sperimentale. Ma anche questo fa parte del gioco. E sembra stia bene
comunque ai mercanti d'arte. Garantiti anche dal fatto che quel quadro, o quel software,
sta ormai entrando anche nel museo.