Questo articolo è stato
pubblicato su la Repubblica (www.repubblica.it) del
23 settembre
La Chiesa che "chiede perdono per le colpe storiche dei suoi
figli" allontanatisi dallo spirito di Cristo e del suo Vangelo offrendo al mondo
"lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano forme di antitestimonianza e
di scandalo": è questo mea culpa dunque la sfida suprema, temeraria e formidabile,
probabilmente l'ultima, senz'altro la più difficile, con cui papa Wojtyla ha deciso di
misurarsi, ponendola al centro del Giubileo nel bimillenario dell'evento cristiano.
Giovanni Paolo II mostra così di conoscere bene il peso che il passato
è ancora in grado di esercitare alla fine del secolo dei genocidi e delle etnoreligioni
risorgenti. Un passato che diviene spesso ossessione nevrotica, manipolata e artefatta,
perché la memoria dei popoli è difficile da rielaborare serenamente sotto il giogo di
sempre nuove ingiustizie.
Non è affatto scontato che il proposito del pontefice venga assunto
dall'insieme della sua Chiesa, in cui tornano a manifestarsi i sentimenti impauriti di una
cristianità che si sente assediata, costretta a difendersi da un Islam aggressivo da
Timor, al Sudan, fino alla grande Russia. Una cristianità divisa su cui il passato pesa
ancora come un macigno, se è vero che il sinodo ortodosso greco rifiuta di ricevere il
capo dei cattolici almeno finché non avrà "chiesto perdono e fatto penitenza"
per l'operato del Vaticano "dall'epoca dei crociati a oggi".
Ma se Wojtyla raggiungesse il suo scopo, e dunque se i milioni di
uomini e donne che fra breve si metteranno in cammino come pellegrini di fede verso Roma,
Gerusalemme e gli altri luoghi giubilari davvero si proponessero come portatori di una
nuova consapevolezza storica, ebbene ne deriverebbe un contributo poderoso alla pace e
alla comprensione reciproca. Sarà bene allora misurarsi con le difficoltà del progetto
pontificio, ma prima ancora va riconosciuto che l' atto gratuito e unilaterale di Giovanni
Paolo II, la sua richiesta di perdono al mondo, contiene in sè la forza di parlare agli
altri, di smuovere l'animo dei non cristiani, ponendo le basi di un loro effettivo
coinvolgimento in un Giubileo che solo così potrà rivelarsi evento rilevante anche per i
laici.
Certo, i pellegrini saranno mossi dall'aspirazione personale
all'indulgenza plenaria, alla remissione dei peccati, una speranza che come tale
interpella lo specifico della fede cattolica. Ma allorchè il papa evoca "le
implicanze comunitarie del peccato" - come ha fatto nella catechesi dello scorso
primo settembre - inevitabilmente egli chiama a una riflessione comune anche chi vive
fuori dal suo gregge. Non a caso ha progettato come momento preliminare all'anno giubilare
il viaggio sulle tracce di Abramo - un viaggio politicamente "scandaloso" da Ur
(in Irak), fino al Sinai (in Egitto), passando per Gerusalemme in terra d'Israele -
perchè il concreto riconoscersi dentro alle radici abramitiche comuni delle tre grandi
religioni monoteiste già di per sè prefigura l'aspirazione al loro reciproco
avvicinamento, di cui il mondo contemporaneo avverte la necessità vitale.
Nella sua catechesi Wojtyla invita testualmente la Chiesa a imitare
l'esempio degli ebrei che si facevano carico delle colpe commesse dai loro padri,
rispondendo così all'obiezione di quei vescovi che protestano: che titolo abbiamo per
criticare chi ci ha preceduto? Ai cristiani che non temono la verità emergente da
"ricostruzioni storiche serene e complete", viene dunque proposto di far propria
l'esperienza ebraica della teshuvah, cioè del pentimento e dell'espiazione. Ma se
l'invito papale al mea culpa suscita tante inusitate resistenze nel mondo cattolico, ciò
non dipende solo dal fatto che rende necessaria una presa di distanze dall'operato di
tanti pontefici, santi e autorevoli Dottori della Chiesa su materie scottanti come gli
scismi, le crociate, l'inquisizione, l'antigiudaismo, la conversione degli indios, la
tragedia degli schiavi africani.
Più grande ancora è la paura dei critici del papa. Essi vivono la
Chiesa come comunità assediata, non capiscono quest' ansia di autoflagellazione in
un'epoca che già costringerebbe i cristiani sulla difensiva, vittime dell'altrui
invasione culturale sui propri territori se non addirittura di vere e proprie
persecuzioni. In realtà, a seminare il panico tra costoro è già di per sé il grande
cambiamento consumatosi nell'epoca contemporanea: il disgiungersi, cioè, della nozione di
Occidente dalla nozione di Cristianità. Ragionano come se vi fossero ancora delle
roccaforti da difendere, non si rassegnano al fatto che metropoli come New York, Londra,
Parigi, e in prospettiva anche le città italiane non possano più dirsi cristiane in
quanto tali. Vivono come una perdita tragica la nuova dimensione extraterritoriale assunta
dalle religioni dentro le capitali dello sviluppo, delle grandi migrazioni, della
globalizzazione.
Così, per primo il cardinale Biffi si è opposto all'idea della
revisione autocritica invocando il principio di una Chiesa che come tale è senza peccato.
Ma subito dopo si è levata la voce del vescovo Maggiolini che predica contro l'
"invasione degli extracomunitari" come atto di legittima difesa di un'identità
cristiana già barcollante sui suoi territori. La richiesta di Wojtyla destabilizza le
certezze di vasti settori della gerarchia, e scatena reazioni in tutta l' area
conservatrice del mondo cattolico. Vittorio Messori subito accusò di "atteggiamento
diffamatorio verso la Chiesa cattolica" il promemoria papale sul mea culpa, prima di
conoscerne l' autore. E oggi liquida il problema del rapporto tra Cristianità e Islam
denunciando la continuità dell'"aggressione musulmana" di fronte a cui non
restava (e non resta) che difendersi.
Frontale l' attacco di Antonio Socci alla visione storica del papa:
"Dunque in duemila anni la Chiesa sarebbe stata un autentico flagello per l'umanità,
almeno fino all'arrivo di Wojtyla". Mentre Franco Cardini, in un ragionamento più
articolato, elenca una raffica di interrogativi. Com'è possibile esprimere un giudizio
storico tutto negativo su crociate, inquisizione, appoggio ai movimenti
antirisorgimentali? E conclude ravvisando nella sfida papale un implicito invito alla
reciprocità: ci aspettiamo ora l'autocritica delle Chiese calviniste e luterane, oltre
che delle comunità islamiche...
Sembra emergere, in tali argomentazioni, quella stessa nevrosi
comparativa tipica del revisionismo storico al quale riesce impossibile denunciare le
malefatte nazifasciste senza evocare in parallelo le colpe del comunismo. Una nevrosi
comparativa che in questo caso finisce per sminuire la portata della sfida di Wojtyla, che
trae la sua forza proprio dalla sua gratuità e dalla sua unilateralità: riconoscere le
proprie colpe, senza chiedere niente in cambio.
Semmai, rivolgendosi agli altri, ai non cristiani, e coinvolgendoli nel
progetto del Giubileo, la riflessione storica di Giovanni Paolo II sui peccati della
Chiesa dovrà infine giungere a delle conclusioni probabilmente dolorose, come sempre
doloroso è il pentimento autentico. A tutti infatti è consentito relativizzare gli
errori e contestualizzare gli eventi del passato, a tutti ma non alla Chiesa che si
pretende unica nel corso dei secoli, portatrice di un messaggio evangelico eterno e
immutabile di generazione in generazione.
E allora quali potranno essere le conseguenze della revisione storica
appena intrapresa? Essa rimetterà inevitabilmente in discussione l'operato di importanti
personalità della Chiesa, tra cui molti predecessori di Giovanni Paolo II e santi
venerati. Prendiamo il caso di Bernardo di Clairvaux, l'ultimo grande Dottore della Chiesa
ma anche il più esplicito predicatore della guerra santa. A lui si deve la teoria del
malecidium cioè dell'uccisione dell'infedele come atto benemerito: "In occasione
della morte di un pagano, il cristiano si gloria in quanto Cristo viene glorificato".
Non si tratta forse di una bestemmia? Del resto Bernardo propugnò l'assalto ai cristiani
d'Oriente e promosse la crociata contro gli slavi dell'Elba col motto: "Che sia
distrutta quella nazione, se non si convertirà". E come giudicare il francescano
croato San Giovanni da Capestrano, che mandò al rogo ebrei ed eretici? O San Giovanni
Crisostomo celebre per le omelie antigiudaiche sulla sinagoga "lupanare di
Satana"? Gli esempi, purtroppo, potrebbero essere innumerevoli.
Papa Wojtyla, come è noto, ha proceduto nel corso del suo lungo
pontificato a un numero di beatificazioni superiore a quello di tutti i suoi predecessori
messi assieme. Non vi è certo tra le sue prerogative quella della decanonizzazione,
poichè la santità si considera un suggello raggiungibile solo nell'aldilà. Ma
riconoscere come anche dei papi e dei santi possano avere agito in vita contro il Vangelo
e contro la verità cristiana, si configura come una dolorosa necessità.
Il Giubileo così come l'ha concepito Giovanni Paolo II potrà essere
davvero un sommovimento prezioso, una risposta alle angosce del mondo contemporaneo, un
momento d'incontro tra le fedi e con i non credenti. Ma come tutti gli eventi decisivi,
prefigura un cammino comune lungo, appassionato, doloroso.