Non e' un semplice
campanello d'allarme. Secondo Marco Tarchi, politologo dell'Universita' di Firenze e
autore del ponderoso saggio "Dal Msi ad An" (Il Mulino 1997), Alleanza nazionale
ha tutte le ragioni di preoccuparsi per il tonfo subito alle elezioni europee.
"E' il primo serio arretramento in elezioni a carattere
nazionale" osserva lo studioso "da quando il Msi, prima ancora che nascesse An,
ha messo il vento in poppa per via di Tangentopoli e della crisi democristiana. In
politica interrompere un ciclo vincente e' di per se' un fatto grave, che contribuisce a
dissuadere i potenziali elettori. Inoltre questa sconfitta interviene a sorpresa: la
maggioranza dei dirigenti e dei militanti, ritenendo che lo spostamento verso il centro
avrebbe potuto premiare An, si aspettava invece un aumento dei voti. Il calo dei consensi
ha quindi determinato un certo smarrimento, che ne accentua le ripercussioni
negative".

L'intesa elettorale con l'Elefante di Mario Segni ha davvero avuto un
effetto rilevante nel provocare l'insuccesso di An?
Ritengo di si', perche' ha mostrato agli elettori schierati piu' a
destra che Gianfranco Fini vuole fare concorrenza a Forza Italia scavalcandola in senso
centrista. Teniamo conto che questa mossa e' giunta dopo una serie di segnali analoghi:
anche il battibecco alla Conferenza di An a Verona, con Fini che negava l'incombenza del
"pericolo rosso" mentre Silvio Berlusconi sventolava il "Libro nero del
comunismo", va riconsiderato con piu' attenzione. Secondo me l'elettorato
conservatore e tradizionalista teme che An si allontani da una posizione classica di
destra per competere con Forza Italia: una gara che ai loro occhi risulta dannosa per il
Polo e per giunta foriera di alleanze indigeribili.
Eppure Segni e' senza dubbio un uomo di centrodestra.
Non dimentichiamo pero' che insieme a lui si sono aggregati personaggi
come Marco Taradash, pochi ma significativi a livello d'immagine, che portano con se' una
storia e dei valori radicalmente opposti rispetto a quelli tipici di chi vota per An.
Comunque tale sconcerto non ha causato grandi perdite in direzione
neofascista, a giudicare dal magro risultato della Fiamma tricolore di Pino Rauti.
Sono d'accordo. Ma non trascurerei l'ipotesi che una quota
significativa dei vecchi elettori missini abbia potuto rifugiarsi nell'astensione,
considerando sterile o inadeguata ai tempi l'alternativa rappresentata da Rauti. Non ho
dati per affermarlo con certezza, ma dai contatti informali che ho avuto con esponenti di
An una tendenza del genere emerge in modo abbastanza nitido.

Come si puo' giudicare l'atteggiamento di Fini, che dopo la sconfitta
cerca di accentuare la concorrenzialita' con Berlusconi?
La ricerca di una maggiore autonomia da parte delle forze minori del
Polo, An e Ccd, e' probabilmente inevitabile di fronte alla netta conferma della
supremazia di Forza Italia. Ma la reazione di Fini mi sembra errata: la considero un
sintomo del fatto che la sua politica consiste in un succedersi di mosse tattiche, senza
alcun respiro strategico. Insistere sui referendum antipartitocratici, quasi per stizza,
e' un atteggiamento un po' infantile, che evita il problema cruciale di chiedersi quale
spazio d'iniziativa politica vi sia oggi in Italia per una forza specificamente di destra,
differenziata e riconoscibile rispetto al resto del Polo.
Esiste una soluzione per questo nodo?
Se la questione del ruolo di An fosse posta correttamente, dinanzi al
suo gruppo dirigente si aprirebbero in pratica soltanto due strade. La prima ipotesi,
proposta da Domenico Fisichella, e' il consolidamento di un'immagine conservatrice:
attestarsi nel Polo come guardiani dei valori tradizionali, rispetto agli eccessi di
liberismo e individualismo modernizzante che caratterizzano Forza Italia. La seconda
possibilita' consiste nell'andare alla pesca del voto di protesta sul terreno piu' consono
alla destra: immigrazione, ordine pubblico e cosi' via. Ma in questo caso l'eventuale
guadagno di consensi potrebbe essere annullato dal rischio di apparire troppo estremisti.
Non credo che per An vi siano altre vie praticabili: l'insistenza di Fini sulla campagna
referendaria e' semplicemente una non scelta.
Ha senso per An cercare il dialogo con la Lista Bonino?
Mi pare un enorme pasticcio. Su un versante Fini, malgrado le smentite,
da' l'impressione di voler rincorrere Marco Pannella. Ma dall'altra parte emerge
l'impossibilita' di una saldatura strategica con la Lista Bonino: se An non mantiene un
rapporto privilegiato con il fronte cattolico-conservatore, che vede la cultura libertaria
e permissiva dei radicali come il fumo negli occhi, rinuncia a un ricco serbatoio di
consensi, in cambio di un azzardo assoluto. Taradash puo' anche aderire individualmente al
progetto An-Elefante, ma quanti voti porta con se'? Temi come la bioetica, la droga,
l'immigrazione segnano un divario troppo ampio perche' possano bastare a colmarlo i due
referendum sulla legge elettorale e sul finanziamento pubblico dei partiti.
Per la prima volta Fini ha raccolto alcune critiche piuttosto aspre
all'interno del partito. Segno che la sua leadership e' in declino?
A suo tempo ho definito quello del presidente di An un carisma
"situazionale", dovuto cioe' non alle particolari capacita' dell'uomo, ma al
fatto che si era trovato al posto giusto nel momento giusto. E ho aggiunto che il vero
problema per lui sarebbe stato dimostrare di valere quanto si supponeva che valesse al
momento delle prime sconfitte. Gli ultimi avvenimenti mi sembrano quindi una prova del
bluff piu' che un inizio di decadenza della sua leadership.

Del resto non si vedono all'orizzonte alternative.
Fini ha personalizzato in modo esasperato l'ascesa di An e si e' fatto
cucire su misura uno statuto che gli attribuisce poteri enormi. Come se non bastasse, ha
eluso quelle stesse norme: il partito per statuto avrebbe dovuto celebrare
obbligatoriamente un Congresso entro il gennaio del 1998, mentre Fini lo ha portato fino
ad oggi senza alcuna verifica democratica, limitandosi a tenere una parata di facciata
alla Conferenza programmatica di Verona. Nel frattempo ha depotenziato e manipolato in
tutti i modi la classe dirigente, secondo la logica del "divide et impera". In
condizioni del genere, non e' pensabile che sorga in tempi medio-brevi una leadership
alternativa. Ma l'eccesso di personalizzazione con cui Fini ha risolto la recente crisi,
con minacce di abbandono e dimissioni congelate, potrebbe ritorcersi contro di lui. Simili
espedienti possono funzionare una volta o due, non all'infinito. La sua presa sul partito
resta forte, ma non so se riuscirebbe a resistere a un eventuale ciclo di sconfitte.