Privacy/Aspettando Orwell ad Atene Stefano Rodota'
Quella che segue e' la versione integrale della relazione
introduttiva della conferenza su "Ethics, Science, Politics" tenutasi a Tubinga,
il 10 e l'11 giugno.
1. Privacy e "cittadinanza elettronica"
Cambiano i tempi, si trasforma la democrazia. In Europa e negli Stati
Uniti, dopo i tempi della democrazia delle élites, seguita dalla democrazia di
massa di questo secolo, stiamo entrando nella nuova era della "democrazia del
pubblico", resa possibile dalle tecnologie dell'informazione e della comunicazione?
Torna Atene? Un singolare intreccio di nuove possibilità e di vecchi
modelli é davanti a noi, e non deve sorprendere il fatto che la società
dell'informazione venga considerata pure come il momento in cui i sistemi politici possono
finalmente realizzare quello che, per secoli, é stato considerato l'ideale più alto di
democrazia - appunto la democrazia diretta ateniese. Al tempo stesso, però, le nuove
tecnologie vengono considerate come lo strumento che può determinare una profonda
frammentazione sociale, come la forma congeniale al populismo politico, come la via verso
la società del controllo totale. La prospettiva, allora, é forse quella di "un
Orwell ad Atene"?
Se guardiamo al di là delle grandi utopie positive e negative che
hanno accompagnato il secolo che si sta chiudendo, il mondo ci appare ormai profondamente
caratterizzato da un insieme di tecniche della comunicazione che ne hanno mutato
fisionomia e dimensione. Parliamo sempre più spesso di un mondo senza confini,
delocalizzato, globalizzato: anche se le dure lezioni della realtà e della storia ci
obbligano poi a confrontarci con i conflitti locali, con il risorgere delle etnie, con le
chiusure della sovranità nazionale. Globale e locale convivono senza armonie,
l'unificazione del mondo é accompagnata da fenomeni continui di
"tribalizzazione".
La scienza e la tecnica, dunque, non riescono ad incarnare il mito d'un
progresso sempre benefico. Torna così l'immagine di una scienza bifronte come il Dio
Giano, apportatrice di bene o di male a seconda delle volontà di chi la utilizza e dei
contesti in cui viene adoperata, e dunque per sé neutrale. Ma la storia di questo secolo
ha messo drammaticamente in dubbio la neutralità della scienza: l'alternativa non é
soltanto tra utilizzazioni benefiche e dannose, ma tra il ricorso e il rifiuto di una
scoperta scientifica, di una innovazione tecnologica. Il problema dei limiti della scienza
non si pone soltanto nel campo della biologia, della genetica. Anche per le tecnologie
dell'informazione e della comunicazione bisogna chiedersi se tutto ciò che é
tecnicamente possibile sia pure socialmente e politicamente accettabile, eticamente
ammissibile, giuridicamente lecito.
Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, infatti, hanno
un carattere pervasivo, si impadroniscono dei rapporti sociali e personali, delle
transazioni commerciali, delle attività politiche. Vita privata, mercato, democrazia
vengono trasformate giorno per giorno. Non si tratta di vicende tra loro indipendenti. Il
modo in cui viene tutelata la privacy ridefinisce i diritti di cittadinanza e può
influenzare la partecipazione politica; la logica commerciale provoca continue invasioni
della vita privata dei cittadini; le tecniche di mercato vengono trasferite nell'attività
politica, tanto che si parla di marketing politico.

Questi cambiamenti sono percepiti come un mutamento radicale
dell'organizzazione sociale, anzi come la vera e propria fine di un'epoca. Le parole sono
rivelatrici. Si parla di "fine della democrazia", e questa formula é stata
recentemente ripresa da una copertina di "The Economist", dove appunto si
annunciava "the end of privacy". Non é una novità. Se si dà un'occhiata alla
sterminata letteratura in materia, si trovano già trent'anni fa titoli come "Privacy
under Attack" (Madgwick, 1968), "The Assault on Privacy" (Miller, 1971) o,
con toni definitivi, "The Death of Privacy" (Rosenberg, 1969). D'altra parte, lo
stretto legame tra privacy, libertà e democrazia é fortemente sottolineato dai libri di
uno degli studiosi che hanno maggiormente innovato la discussione su questo tema, Alan
Westin, che ha usato titoli come "Privacy and Freedom" (1970), "Information
Technology in a Democracy" (1971), "Databanks in a Free Society" (1972).
In questo modo, la privacy viene proiettata al di là della
tradizionale definizione come "diritto ad essere lasciato solo". Si presenta
come parte ineliminabile della libertà esistenziale, come "tutela delle scelte di
vita contro ogni forma di controllo pubblico e di stigmatizzazione sociale". Non é
più soltanto il diritto di escludere gli altri dalla possibilità di conoscere o
divulgare le informazioni che mi riguardano. Diviene diritto di controllare l'uso di
queste informazioni in qualsiasi momento e presso chiunque. Si trasforma in un potere
sociale, quello di controllare direttamente tutti i detentori di dati personali. Così, in
una società nella quale le informazioni divengono la risorsa più importante, la tutela
della privacy contribuisce in maniera decisiva all'equilibrio dei poteri. Ecco perché la
fine della privacy non rappresenterebbe soltanto un rischio per le libertà individuali:
può davvero portare alla fine della democrazia.
Questa prospettiva si ritrova nella Direttiva europea 95/46, il cui
obiettivo dichiarato é quello di offrire ai cittadini dell'Unione europea un elevato
livello di tutela dei loro dati personali. Nasce così un'area nella quale la garanzia
della privacy é attualmente la più intensa tra quelle previste nei diversi paesi. Con un
risultato che può sembrare paradossale: nell'area "d'importazione", l'Europa,
la privacy ha oggi uno statuto giuridico più forte di quello che ha nella sua patria
d'origine, gli Stati Uniti.
Non é questo l'unico (apparente) paradosso. Se si esamina la
disciplina dei dati "sensibili", accanto a quelli effettivamente riconducibili
al diritto d'essere lasciato solo (come quelli riguardanti la salute o la vita sessuale)
si collocano i dati riguardanti le opinioni politiche o sindacali, l'appartenenza a
partiti o altre associazioni. Questi ultimi dati non sono destinati a rimanere riservati o
segreti. Al contrario, caratterizzano la sfera pubblica, devono poter essere liberamente
resi pubblici per offrire a ciascuno la possibilità di partecipare pienamente alla vita
civile e politica. Se ad essi viene attribuita una tutela particolarmente forte, é per
evitare discriminazioni o esclusioni. L'obiettivo, dunque, non é quello di favorire la
solutidine, ma di garantire l'eguaglianza.
Viene così confermato che la privacy, in questo suo più ampio
significato, costituisce ormai un elemento fondamentale della cittadinanza della nostra
epoca, della "cittadinanza elettronica". La società dell'informazione richiede
nuovi strumenti, un nuovo quadro istituzionale. Da anni, infatti, si parla della
necessità di un "Information Bill of Rights", espressione impegnativa,
adoperata anche dal vice-presidente degli Stati Uniti, Al Gore.
2. Piccoli e Grandi Fratelli
I mutamenti del linguaggio accompagnano e rendono evidenti le modalità
del cambiamento. Per secoli, "citizen" (cittadino) é stato la parola chiave per
le indagini e le riflessioni intorno alla democrazia. In tempi più recenti, si é usato
il termine "denizen" per sottolineare i cambiamenti intervenuti nei rapporti tra
il cittadino, il territorio e lo Stato. Oggi si parla sempre più spesso di
"netizen": la possibilità effettiva di utilizzare Internet, "The
Net", sta infatti divenendo un elemento essenziale della cittadinanza elettronica.
Una cittadinanza che non può essere chiusa nei tradizionali confini degli stati, che si
distende nella dimensione mondiale.
Ma l'ipotesi della libertà infinita, anarchica, garantita da Internet
entra in conflitto con l'altra realtà che é davanti ai nostri occhi. Telesorveglianza,
implacabile raccolta delle tracce lasciate usando una carta di credito o durante la
navigazione su Internet, produzione e vendita di profili personali sempre più analitici,
possibilità di interconnessione tra le più diverse banche dati indicano il progressivo
dilatarsi di una società del controllo, della sorveglianza e della classificazione.
Accanto agli archivi tradizionali, come quelli di polizia, assumono importanza crescente
infinite altre "anagrafi", prima di tutto quelle legate ai consumi, tanto che
nel 1991 un articolo pubblicato dal "New York Times" poteva essere intitolato
"Ricordi il Grande Fratello? Ora é il rappresentante d'una società
commerciale". L'immagine di tanti "Piccoli Fratelli" tende a sostituirsi a
quella orwelliana del "Grande Fratello".
Questa descrizione delle caratteristiche della società
dell'informazione rischia di lasciare in ombra la crescita altrettanto imponente delle
banche dati più tradizionali, quelle con finalità di sicurezza, che sono anch'esse
trasformate dalle tecnologie e dalla realtà di un mondo senza frontiere. Se si considera
la situazione dell'Unione europea, si nota immediatamente il moltiplicarsi di convenzioni
e accordi per la cooperazione in materia di sicurezza e di giustizia, che porta alla
costituzione di grandi banche dati. E' il caso dell'Accordo di Schengen, delle convenzioni
istitutive di Europol e del sistema doganale europeo, del prossimo regolamento Eurodac
(sulla raccolta delle impronte digitali di chi risiede asilo politico).
Si tratta di raccolte di dati imponenti. L'archivio Schengen conta già
9 milioni di informazioni, di cui sei milioni e mezzo relative a persone. Ma sono altri i
casi che danno con maggiore immediatezza le dimensioni e le prospettive delle raccolte di
informazioni a fini di sicurezza. In alcuni paesi europei esistono già banche dati del
Dna di soggetti ritenuti pericolosi. Si estendono le raccolte di dati sulla salute. Si
moltiplicano le forme di videosorveglianza, ormai abituali in settori come le banche, le
stazioni e i supermercati, e che controllano intere zone urbane ritenute "a
rischio" (in Gran Bretagna é stato investito mezzo miliardo di sterline in programmi
pubblici di telesorveglienza; in Italia, nel quadro di un progetto finanziato dall'Unione
europea, sta per entrare in funzione un sistema di videosorveglianza totale
dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria). In molti paesi esiste un obbligo dei gestori dei
servizi telefonici di conservare per un certo periodo i dati riguardanti il traffico
telefonico e di metterli a disposizione delle magistratura e della polizia: in Italia,
dove l'obbligo di conservazione é di cinque anni, questo significa una immensa banca dati
che conterrà tra 70 e 100 miliardi di dati, grazie ai quali é possibile rintracciare
tutte le telefonate fatte da una persona, determinando il luogo della chiamata, il suo
destinatario, la durata della conversazione. Due rapporti del Parlamento europeo sul
sistema Echelon ("An Appraisal of the Technologies of Political Control",
gennaio 1998; "Interception Capabilities 2000", maggio 1999) hanno analizzato il
capillare sistema mondiale di ascolto che fa capo alla Nationan Security Agency americana.
Una rete a maglie fittissime viene così stesa sull'intera società.
Naturalmente vi sono molte buone ragioni per sostenere la necessità di
utilizzare tutte le opportunità offerte dalle nuove tecnologie per difendere la società
dal crimine, favorire la prevenzione delle malattie, mettere i più deboli al riparo dai
rischi sociali. Si deve realizzare un giusto equilibrio tra una visione individualistica
della privacy e la soddisfazione di esigenze sociali, come sottolinea nel suo recentissimo
libro il maggior teorico dei communitarians americani, Amitai Etztioni ("The Limits
of Privacy", 1999).
Ma proprio la necessità di un uso sociale delle tecnologie impone di
progettare nuove istituzioni della libertà, capaci di evitare un inquinamento totalitario
della società e di assicurare la difesa dei diritti fondamentali in un ambiente ormai
caratterizzato da un ricorso massiccio alle raccolte d'informazioni. Bisogna diffidare,
infatti, dell'argomento di chi sottolinea come il cittadino probo non abbia nulla da
temere dalla conoscenza delle informazioni che lo riguardano: "l'uomo di vetro"
é una metafora totalitaria, perché proprio su di essa si basa poi la pretesa dello Stato
di conoscere tutto, anche gli aspetti più intimi della vita dei cittadini. E non bisogna
neppure lasciarsi affascinare da semplificazioni come quella che compare nelle prime
pagine di un libro recente (D. Brin, "The Transparent Society", 1998), dove si
parte dalla descrizione di una comunità urbana in cui ogni spazio pubblico é sottoposto
a videosorveglianza, e si contrappongono due modelli di organizzazione sociale. Il primo
é fondato sul potere di un gruppo ristretto (ad esempio, la polizia) di usare questa
tecnologia, diventando cosi depositario esclusivo del controllo sull'intera comunità. Nel
secondo, invece, tutti possono controllare tutti, compresi gli agenti che nelle stazioni
di polizia adoperano il sistema di videosorveglianza: a tutti verrebbe così attribuito un
eguale potere di controllo. Ma, a parte altre coniderazioni, questa trasparenza totale e
generalizzata conduce davvero ad una maggiore democrazia o, al contrario, non é in grado
di rimuovere il rischio maggiore, che é legato alla possibilità di conservare,
connettere, elaborare le diverse informazioni, che evidentemente rimane riservata ad un
gruppo ristretto?

Nell'ambito dell'Unione europea, grazie a diverse direttive e alla loro
trasposizione negli ordinamenti nazionali, é ormai nato un diverso modello. Il suo punto
di partenza é rappresentato dal riconoscimento di un diritto all'"autodeterminazione
informativa", per riprendere l'espressione usata nella sentenza sul censimento del 15
dicembre 1983 del Bundesverfassungsgericht. Questo non significa semplicemente attribuire
a ciascuno il potere di impedire determinate utilizzazioni delle informazioni che lo
riguardano, secondo l'ottica originaria del diritto a essere lasciato solo. Significa
soprattutto potere di controllare in ogni momento l'uso che altri faccia delle mie
informazioni.
Elementi chiave di questo modello, dunque, sono il consenso
dell'interessato e il suo diritto d'accesso a tutte le raccolte d'informazioni. Si tratta
di un potere diffuso, che non richiede mediazioni burocratiche, poiché l'accesso viene
esercitato direttamente dall'interessato nei confronti di tutti i soggetti, pubblici e
privati, che raccolgono dati personali.
In questo modo si cerca di introdurre un nuovo sistema di pesi e
contrappesi, di "checks and balances", all'interno dell'organizzazione sociale.
Ma il dislivello di potere tra i cittadini e chi raccoglie informazioni può essere molto
forte, determinando così pressioni e condizionamenti che vanificano le possibilità
effettive di controllo da parte dei cittadini, il cui consenso viene ridotto a requisito
puramente formale. Inoltre, il controllo legato al consenso e all'accesso non ha carattere
generale e sistematico, essendo legato alle particolari situazioni d'interesse che
spingono un cittadino ad intervenire. Può quindi accadere che intere aree, anche là dove
le raccolte di dati possono essere socialmente più pericolose, rimangano prive di
effettivo controllo.
Proprio per evitare questi rischi, nel modello europeo si vincola
l'attività di raccolta delle informazioni al rispetto di alcuni principi fondamentali (in
particolare, il principio di finalità) e si prevedono casi di
"indisponibilità", cioé situazioni nelle quali neppure l'interessato può dare
il consenso a determinate utilizzazioni dei suoi dati. Questo avviene per i dati
sensibili, soprattutto per quelli relativi alla salute ed alle opinioni: la promessa di
una contropartita economica, infatti, può spingere a dare il proprio consenso a usi dei
dati che possono determinare discriminazioni o, comunque, violazioni della dignità della
persona. Più in generale, si vuole evitare la trasformazione in merce dei dati che
riguardano la sfera più intima della persona.
Per impedire, poi, la violazione di questi diritti e la nascita di zone
franche, al riparo da ogni controllo, si prevede l'esistenza di una serie di autorità per
la tutela dei dati personali, a livello nazionale e sovranazionale. Non si tratta di
strumenti di tipo "paternalistico" o "statalista": le autorità,
infatti, servono a rendere effettivi i diritti dei cittadini, ad esempio quando non
vengono prese in considerazioni le loro richieste di accesso; e ad evitare che vi siano
"governi" pubblici e privati incontrollabili e irresponsabili.
In definitiva, il modello di tutela europeo nasce dall'incontro della
tradizione americana di difesa della privacy con la tradizione europea di tutela
legislativa dei diritti dell'uomo. Si fonda sul riconoscimento di nuovi diritti
fondamentali della persona e sulla creazione di nuove istituzioni di garanzia. Si presenta
così come una prima, significativa risposta istituzionale alla nuova organizzazione dei
poteri sociali determinata dalle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
3. Una società della sorveglianza?
Al di là dei modelli, quali sono le forze e le forme che concretamente
si manifestano nella società dell'informazione? L'immagine di tanti piccoli fratelli può
anche apparire rassicurante. In realtà, essa esprime la moltiplicazione e la pervasività
di strutture che, pur non concentrando in un unico luogo le possibilità di controllo
sulle persone, tuttavia non rendono questo controllo meno stringente e capillare. Inoltre,
il diffondersi di raccolte di informazioni personali sempre più ampie e specializzate, ad
opera dei soggetti più vari, mette in discussione la stessa identità di ciascuno, che si
trova frammentata e collocata in luoghi diversificati, talvolta indeterminati, persino
inafferrabili.
L'unità della persona viene spezzata. Al suo posto troviamo tante
"persone elettroniche", tante persone create dal mercato quanti sono gli
interessi che spingono alla raccolta delle informazioni. Ognuno di noi compare in diecine
di banche dati. Stiamo diventando "astrazioni nel ciberspazio", ognuno di noi
assume le forme di un "individuo moltiplicato".
La società della sorveglianza non scompare, anzi coglie nuove
opportunità per rafforzarsi. Al tempo stesso, emerge, e si consolida, la società della
classificazione, nella quale é insita la possibilità di una incessante produzione di
"profili" individuali, familiari, di gruppo. La persona, di volta in volta, può
così divenire l'utente privilegiato di un servizio, il destinatario di una particolare
attenzione politica, il target di una campagna pubblicitaria, l'escluso dal godimento di
determinate opportunità sociali.
Proprio la diversità di queste dinamiche, e di altre che si potrebbero
indicare, impone distinzioni, e può indurre a valutazioni diverse delle forme che sta
assumendo la società della comunicazione. Non saremmo di fronte a fenomeni di
spersonalizzazione. Al contrario, proprio la possibilità di raccogliere ogni minimo
dettaglio su opinioni, gusti, preferenze consentirebbe un'offerta sempre più mirata e
personalizzata, tagliata sulla misura di ciascuno. La nuova organizzazione sociale
assumerebbe così i caratteri di una "società individuale di massa", grazie
all'impiego generalizzato delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
Si tratta di analizzare, a questo punto, quali siano le caratteristiche
proprie di questo nuovo modello sociale, se esso si ispiri alla logica dei diritti o a
quella del mercato. Le due logiche, evidentemente, non sono incompatibili: lo sviluppo del
commercio elettronico offre grandi possibilità a ciascuno, esige sicurezza delle
transazioni, e quindi anche garanzie adeguate per la privacy dei consumatori. Bisogna,
però, chiedersi se un cambiamento così radicale debba essere affidato unicamente alla
dinamica spontanea delle forze di mercato, o se siano necessarie anche politiche
pubbliche.
Il problema non é solo quello di prevedere adeguati strumenti di
tutela dei diritti, come cerca di fare il modello europeo prima descritto. Bisogna anche
operare in modo che "la società in rete" non venga progressivamente
identificata con lo spazio commerciale, nel quale i diritti riconosciuti sono
sostanzialmente solo quelli legati allo scambio di beni e di servizi. Bisogna impedire
"il nuovo totalitarismo dolce del consumismo" (B. Barber, "A Passion for
Democracy", 1998), evitare la riduzione del cittadino a consumatore, anche se si
tratta di un consumatore ben provveduto di strumenti di tutela. Bisogna impedire che la
sfera pubblica e privata vengano riassorbite nella sfera della produzione e dello scambio.
Si tratta di rischi concreti. In un rapporto dell'insospettabile Aspen
Institute sul commercio elettronico si sottolinea che "la corsa degli interessi
commerciali a colonizzare Internet rafforzerà il ciberspazio e lo renderà accessibile
alla gran parte degli americani". Ma si aggiunge che "può anche marginalizzare
il vasto "terzo settore' del non-profit, dei gruppi di volontariato e di azione
civica e di quelle istituzioni pubbliche che in generale non hanno i mezzi e le strutture
necessari per participare alle attività in rete".
Internet e le sue trasformazioni, il ciberspazio, devono rimanere
disponibili per consentire la libera formazione della personalità, l'esercizio della
libertà di espressione e di associazione, lo svolgimento di iniziative civiche, la
sperimentazione di nuove forme di democrazia. Oggi l'accento viene posto soprattutto sul
commercio elettronico, la cui grandissima importanza può tuttavia spingere a trasformare
Internet in un luogo asettico, dove il consumatore adulto o bambino può entrare come in
un immenso shopping mall, senza correre il rischio d'essere turbato da qualcosa che può
distoglierlo dalla pura attività di consumo.
Questo obiettivo può spingere a deprimere o a rendere marginali tutte
le utilizzazioni di Internet che contrastano con questa immagine di spazio socialmente
"pacificato". E' giusto preoccuparsi dei rischi legati ad usi che possono
favorire la pornografia, la pedofilia, le attività contrarie alla sicurezza comune. Ma
questa può anche rivelarsi la via che conduce a rinnovate forme di censura, a reprimere
il dissenso, le opinioni minoritarie, i comportameni socialmente stigmatizzati. Si tratta
di un rischio che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ben tenuto presente quando, nel
1998, ha ritenuto contrastante con il Primo Emendamento della Costituzione sulla libertà
di manifestazione del pensiero il Communications Decency Act, che limitava appunto la
libertà di espressione per tutelare i minori contro i messaggi pornografici su Internet.
4. La democrazia continua
Nei paesi dell'Unione europea, come altrove, molte iniziative cercano
di favorire un uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione che realizzi
una molteplicità di obiettivi sociali. Sono stati avviati programmi di alfabetizzazione
di massa, per evitare che l'impiego sempre più intenso di quelle tecnologie produca
fenomeni di esclusione, con una nuova gerarchia tra abbienti e non abbienti: ricerche
condotte negli Stati Uniti, infatti, mostrano che in questi anni sono nate nuove
diseguaglianze, che vi é il rischio di una vera "information apartheid", visto
che é cresciuta la distanza tra diverse categorie di soggetti nell'utilizzazione dei
computers e nell'accesso ai servizi in rete, in funzione di varabili socio-economiche come
il reddito, l'istruzione, l'étà, l'appartenza etnica. Per evitare questi rischi,
l'alfabetizzazione deve essere accompagnata da misure che diffondono la logica del
servizio universale, facilitando l'accesso alle reti e sviluppando la connettività.
Viene così confermata la necessità di politiche pubbliche attive, che
finora hanno prodotto soprattutto riforme della pubblica amministrazione che ridisegnano i
rapporti tra questa e i cittadini. Sono ormai diffuse forme di accesso diretto dei
cittadini ai servizi locali, che rendono l'amministrazione più trasparente e, quindi,
più controllabile. Si diffondono le reti civiche, che possono consentire una
partecipazione più diretta dei cittadini all'amministrazione locale, favorendo la
discussione o addirittura l'intervento in procedimenti di decisione. Si favorisce il
ricorso alla firma elettronica e al documento digitale, si eliminano i divieti all'uso
della crittografia nella comunicazione elettronica.

Le molte sperimentazioni in corso, pur con significative varianti,
tendono soprattutto a realizzare una "democrazia amministrativa". Possono essere
considerate anche come l'anticipazione o l'annuncio di una più generale democrazia
elettronica?
Torna l'immagine di Atene, con il suo agorà dove i cittadini si
riuniscono per prendere le decisioni. L'ideale della democrazia diretta é dunque reso
finalmente possibile proprio dalle nuove tecnologie, sostituendo la democrazia
rappresentativa che ci ha accompagnato negli ultimi secoli?
Tuttavia, considerate dal punto di vista dei cittadini, democrazia
diretta e democrazia rappresentativa hanno un elemento comune: una partecipazione intermittente.
I cittadini possono essere chiamati a designare i loro rappresentanti o a prendere
direttamente le decisioni: in entrambi i casi, tuttavia, la loro presenza é periodica,
scandita da una distanza nel tempo, incardinata in luoghi ufficiali. I cittadini non
eleggono un Parlamento tutti i giorni, ma neppure erano sempre presenti nell'agorà.
Quella che si delinea davanti ai nostri occhi, invece, é una forma di democrazia continua,
dove la voce dei cittadini può farsi sentire in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo,
divenire parte di un concerto politico quotidiano.
I segni della democrazia continua sono davanti a noi. Ci si può
incontrare continuamente sulle reti; si comincia ad avere la possibilità di un accesso
continuo ad una grandissima quantità di informazioni; i sondaggi si presentano come un
mezzo che consente un ascolto continuo dei cittadini; crescono le occasioni e gli
strumenti di dialogo e di pressione continua degli elettori sugli eletti; la possibilità
di referendum elettronici istantanei moltiplica le possibilità di consultazioni continue
dell'elettorato; la campagna elettorale si svolge sempre più sulle reti, e tende a
divenire permanente.
Ma quale forma assumerà concretamente questa democrazia continua,
legata ormai ai molteplici strumenti di una vera e propria "tecnopolitica"? Vi
é il timore che la democrazia elettronica divenga la forma congeniale al populismo della
nostra epoca, e si trasformi così uno strumento della democrazia plebiscitaria. Vi é la
speranza che possa favorire, invece, una democrazia deliberativa, una "strong
democracy", dove la forza sia quella dei cittadini attivi, messi in grado di
partecipare effettivamente ai processi di decisione.
Per seguire quest'ultima strada, é necessario usare tutte le risorse
della tecnopolitica per favorire una cittadinanza "attiva", che é cosa ben
diversa dalla moltiplicazione dei referendum istantanei, dalla generalizzazione di una
democrazia del premere un bottone o un telecomando, da una partecipazione politica
limitata al gioco del sì o no, da una riduzione dei cittadini a "voci numerate"
da ascoltare attraverso i sondaggi,. La democrazia, invece, é un processo, e la
partecipazione deve poter avvenire in tutte le sue fasi, non essere limitata al solo
momento della decisione finale.
Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione offrono grandi
opportunità per promuovere una cittadinanza attiva. Il passaggio dalle comunicazione
verticale, tipica della televisione tradizionale, alla comunicazione orizzontale, tipica
di Internet, consente di riscattare il cittadino dalla passività dello spettatore,
rendendolo protagonista di un processo nel quale cade la distinzione tra produttori e
consumatori di informazioni.
Molti esperimenti, soprattutto a livello locale, vanno in questa
direzione. Si usano le videoconferenze, si discute sulle reti, si consentono forme di
intervento dei cittadini nel corso di procedimenti legislativi. Vincendo i vincoli dello
spazio e del tempo, nascono comunità delocalizzate, che uniscono persone lontane e danno
loro la possibilità di incidere sui processi di decisione. Si sperimentano
"assemblee civile elettroniche", "conferenze dei cittadini",
"sondaggi deliberativi": si cerca, in sostanza, di combinare la tecnica del
campione con la discussione tra i prescelti, e di questi con esperti, per arrivare non
alla distribuzione percentuale delle opinioni, tipica del sondaggio, ma ad una motivata
valutazione di tutto il gruppo.
I bilanci sono prematuri, le previsioni rischiose. Oggi é
indispensabile soprattutto rendere effettive le condizioni di una nuova libertà. Questo
significa garantire il più largo accesso possibile a tutte le informazioni socialmente
rilevanti, pubbliche e private, attraverso una nuova generazione di leggi sull'accesso ai
documenti; assicurare la libertà di espressione, vincendo le tentazioni di rinnovate
forme di censura; impedire che le raccolte di dati personali si trasformino in strumenti
di discriminazione; reagire ad ogni forma di trasformazione in merce della persona.
Non sono pericoli immaginari. Uno dei criteri di distinzione tra paesi
democratici e autoritari può essere ormai basato sulla libertà dei cittadini di usare le
nuove tecnologie: molti paesi, infatti, escludono o limitano l'accesso ad Internet o l'uso
dei telefoni cellulari. Le mille opportunità offerte dalla rete ai cittadini possono
trasformarsi soltanto nella possibilità di scegliere in uno sterminato catalogo di beni e
servizi: così la vera interattività scomparirebbe, sostituita di nuovo da una
comunicazione verticale, riassunta nella formula "guarda e compra".
La società dell'informazione pone alla democrazia nuove sfide. Le
offre la possibilità di raccogliere ogni informazione sui cittadini, con l'argomento che
tutto può risultare utile per la tutela della sicurezza, della salute, e via dicendo. Ma
la democrazia é anche sobrietà, persino rinuncia quando può esservi un rischio per le
liberà dei cittadini. La civiltà moderna nasce con l'habeas corpus: la cittadinanza
elettronica esige un habeas data.
La democrazia é prima di tutto discussione, confronto, ricerca. Le
tecnologie dell'informazione devono esaltarne questo aspetto, non offrire ingannevoli
scorciatoie verso forme plebiscitare di decisione. Devono rendere possibile la
consapevolezza dei cittadini, non una loro più raffinata manipolazione.
Per cogliere tutte le opportunità del nuovo mondo in cui già ci
troviamo, servono politiche pubbliche adeguate, istituzioni costruite con la
consapevolezza che proprio le tecnologie cancellano spazio e tempo, e rendono ormai vane
le pretese di rimanere al riparo dei vecchi confini nazionali. Sta nascendo una nuova
forma di cittadinanza, ma deve nascere pure un'idea nuova di sovranità.
L'espressione "qualunque informazione", ripresa dalla Direttiva europea 95/46,
vuole evidentemente attribuire alla definizione di "dato personale" la massima
ampiezza, comprendendo in essa non solo le informazioni oggettivamente caratterizzate
(suscettibili appunto di una verifica e di un sindacato oggettivo), ma pure descrizioni,
giudizi, analisi o ricostruzioni di profili personali (riguardanti attitudini, qualità,
requisiti o comportamenti professionali), che danno origine a stime e opinioni di natura
soggettiva, finalizzate anche ad una valutazione del soggetto interessato. Questo é
l'orientamento comune nei diversi paesi dell'Unione europea, dove le valutazioni vengono
appunto considerate come dati personali.
Conferme in questo senso possono essere tratte da significative
disposizioni contenute in documenti internazionali, da decisioni del garante, da sentenze
della Corte di Cassazione. L'art. 9 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di
Schengen, ratificata con legge n. 338/1993, dispone che i dati trattabili nell'ambito del
Sistema dInformazione Schengen siano non solo quelli obiettivi (nome, cognome, luogo di
nascita, ecc.), ma anche quelli relativi alla "linea di condotta da seguire",
basata evidentemente su un giudizio contenente valutazioni. L'art. 8 della Convenzione
Europol, ratificata con legge n. 93/1998, contempla tra i dati oggetto di trattamento
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