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Letti per voi/Il cellulare e il declino dell'eros

Vincenzo Cerami intervistato da Riccardo Chiaberge

 

Questo articolo e' apparso sul "Corriere della Sera" (www.corriere.it) di venerdì 11 giugno

 

Il Gsm? Sì, ce l'ho, ma non lo uso molto. Più che altro quando sto all'estero. E più per chiamare che per essere chiamato".

Non faccia lo snob, Cerami, confessi che le piace.

"Vabbe', a dire il vero è anche un po' un giocattolo, un passatempo. Certe volte, quando viaggio, lo accendo e mi diverto a scorrere i numeri e i nomi che ho memorizzato. Scopro gente che non c'è più, o che non vedo da tanto tempo. Mi si apre un universo di relazioni, di incontri, di atmosfere, di memorie. È come portarsi dietro un pezzo del proprio passato".

 

La vita è bella, per Vincenzo Cerami, anche nell'era della comunicazione globale. Lo scrittore e commediografo romano, al quale dobbiamo la sceneggiatura di tanti film di Roberto Benigni, compreso l'ultimo, "La vita è bella", che ha vinto l'Oscar, non criminalizza il cellulare. Non si sente un mostro, o un borghese piccolo piccolo, per il fatto di averne uno che gli trilla nel taschino. Solo certi eccessi, più che comici, gli sembrano disgustosi.

"C'è gente che ci lavora, con il telefonino. In treno è diventato impossibile, parlano con le segretarie, fanno i cazziatoni in diretta, discutono con il socio: la licenziamo quella, oppure no? Ma l'episodio che più mi ha colpito risale a tanti anni fa, quando ancora c'erano pochissimi di questi aggeggi in circolazione".

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Ce lo racconti.

"Un giorno, su un Intercity, un tizio tira fuori un cellulare e si mette a sbraitare nel microfono. Dà ordini agli impiegati, chiede di comprare azioni, si informa sull'andamento delle valute, ma chissà perché è sempre lui a chiamare, non lo chiama mai nessuno. A un certo punto un altro passeggero si sente male, un infarto, e il capotreno si precipita dal tizio con il portatile. "Me lo presta un attimo? - gli chiede -. Devo avvertire la stazione più vicina che chiamino un'ambulanza". Quello fa resistenza, non vuole mollare il suo coso. Finché, messo alle strette, confessa che è finto, che se l'è comprato soltanto per fare colpo sulla gente".

 

Divertente. Sembra un miniromanzo di Cerami, una di quelle gag che inventava per la Metro Goldwin Mayer...

"E invece le garantisco che è vero. Ma lo sa che a Napoli, per un certo periodo, c'era un mercato fiorentissimo di telefonini falsi. Quando era uno status symbol, che ce l'avevano soltanto rampanti e tangentari, chi non se lo poteva permettere si arrangiava così...".

 

Adesso ce l'hanno perfino i ragazzotti del suburbio.

"Eh sì, i coatti. La sa quella dei due coatti che si incontrano? "Dove sei stato quest'estate?", fa uno. "Alle Maldive, mi pare... Anzi no, alle Bermude. Non mi ricordo. Però il Gsm funzionava". Per certa gente, non importa il posto dove sei, l'essenziale è che il telefonino "prenda"".

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Un delirio collettivo, insomma. Ha ragione chi ne diffida, allora?

"Niente affatto, io credo che sia una cosa bellissima. Non bisogna fare i luddisti. Oltre tutto può salvare tante vite, pensi a Soldini in mezzo all'oceano, o agli scalatori nella bufera. L'unico aspetto che mi preoccupa è la privacy. Ora che giriamo col telefonino in tasca ci possono spiare, seguire ogni nostro movimento con i satelliti. Molti mafiosi e delinquenti li hanno acchiappati così. Ma bisogna stare attenti: pensi che un mio amico - non le dico il nome perché è famoso - ha un apparecchietto che gli permette di ascoltare le telefonate altrui".

 

Un bel ficcanaso, questo suo amico.

"No, l'ha comprato la moglie, che era gelosa di lui e voleva controllare tutte le sue chiamate. Poi quello se n'è accorto e gliel'ha levato".

 

Umberto Eco sostiene che il telefonino serve soprattutto agli adulteri. Ti consente di essere sempre reperibile, ma mai localizzabile.

"Magari ci fossero le infedeltà. A me sembra che i telefonini aumentino di pari passo con il declino dell'eros. I maschi hanno dei problemi grossi...".

 

Tutta quest'orgia di comunicazione, secondo lei, aiuta a vincere la solitudine?

"Al contrario, io direi che la esaspera. Uno si circonda di brusii, di rumori per sentirsi vivo, per credere di marciare con i tempi, di vivere la propria giornata pienamente, di identificarsi con la storia, quando la sua condizione è proprio quella opposta. Quella che De Martino chiamava la crisi della presenza. La società di massa è una società vuota, anomica, senza identità. Abbiamo duemila anni di civiltà contadina alle spalle, ci ricordiamo ancora dei nostri nonni che si chiamavano da una cascina all'altra, gridando, e ci troviamo di colpo nell'era del virtuale".

 

I più ritardatari sono gli scrittori, i romanzieri. Non sembrano essersi ancora accorti dell'esistenza dei telefonini.

"Per forza. Perché un oggetto entri nei romanzi, deve acquistare una sensualità letteraria, una sua "fotogenia". E se c'è una cosa poco fotogenica è proprio il telefonino, o il computer. Non è bello da vedere. Il frullatore, quello sì che è poetico, evoca cucine, vestaglie, donne ubriacone. Gli oggetti devono caricarsi di vissuto, sporcarsi, diventare materia della nostra vita, per poter mandare segnali espressivi che ancora non hanno".

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Lei ha dei figli, Cerami?

"Sì, due, uno di ventotto e uno di quindici".

 

Gli ha regalato il telefonino?

"No, ma al più piccolo quando esce la sera glielo metto nel marsupio. Se alle tre di notte ancora non è a casa, e sua madre ed io non riusciamo a dormire, almeno sappiamo di poterlo raggiungere. Non per controllarlo, ma per mantenere un filo. È una gran cosa. Quando eravamo giovani noi, e andavamo in giro per il mondo, i genitori manco sapevano dove eravamo".

 

I ragazzi usano il telefonino anche per scambiarsi messaggi scritti.

"Pure a me ne arrivano, di messaggi. Ieri per esempio, mi ha scritto una certa Louise: dice che sua madre è stata operata e che tutto è andato bene. E alla fine mi chiede: perché non ti fai mai vivo? E io neppure la conosco, questa Louise. Succede anche questo, nell'era del telefonino. Frammenti di vita che viaggiano nell'etere e arrivano alla persona sbagliata".

 

Un giorno forse li pubblicheremo, come dei moderni epistolari.

"Succede già. Hanno fatto dei libri, e anche dei film, con le storie d'amore via Internet. Ha presente "C'è post@ per te"? Ma è un genere che non ha successo. Promette tanto e alla fine non ti dà quasi niente. La metafora è troppo forte ed è sempre la stessa. L'alienazione, la solitudine, il dialogo con i fantasmi. E poi l'impatto con la realtà".

 

Qualcuno dice che i telefonini fanno male alla salute. Emettono onde nocive.

"E che, vuole scherzare? Noi non sappiamo quante cose fanno male. La televisione, per esempio, è radioattiva come l'uranio. Per stare tranquillo dovresti vederla da tre metri di distanza. Così, quando mettiamo il cellulare nel taschino, sono sicuro che alteriamo il campo magnetico del cuore. Se ci facessero un elettrocardiogramma, si vedrebbe l'effetto che fa".

 

Rispetto al mondo violento di "La vita è bella", il mondo di domani, così interconnesso, sarà anche un mondo più pacifico? Le telecomunicazioni sono un antidoto al razzismo, alle discriminazioni, alla guerra?

"Temo proprio di no. La comunicazione non è obiettività, è virtualità. Che cos'è stata, per noi, la Guerra del Golfo? Un po' di fuochi d'artificio su Bagdad. E il cormorano tutto nero di petrolio, che poi era una vittima della Exxon Valdez, non di Saddam... Attraverso questi mezzi passano molte verità, ma anche tante menzogne. La parola che ci arriva via telefonino è una parola senza volto, senza corpo, senza immagine. Dal tono della voce devi indovinare l'intenzione di quello che dice il tuo interlocutore. Le persone non si parlano solo con le parole, ma con gli sguardi, i gesti. Perciò, paradossalmente, più aumentano le parole più diventa difficile capirsi, più ci si allontana dalla verità".

 

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