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Calcio e violenza: e' piu' a rischio la curva senza leader

Antonio Carioti


Vent'anni fa, 28 ottobre 1979, la prima vittima della violenza ultra'. Era il tifoso laziale Vincenzo Paparelli, ucciso da un razzo allo stadio Olimpico. Oggi addirittura quattro morti in una volta sola: i giovani sostenitori della Salernitana periti nel rogo del vagone ferroviario su cui viaggiavano. Ci si domanda se non siamo di fronte a una escalation sanguinosa e inarrestabile. Intanto la prima misura assunta del ministero dell'Interno e' stata sospendere le trasferte dei tifosi nelle rimanenti giornate di serie B.

Per approfondire la questione "Caffe' Europa" ha scelto come interlocutore il sociologo Alessandro Dal Lago, preside della facolta' di Scienze della formazione all'Universita' di Genova, che ha dedicato molta attenzione alle dinamiche del tifo calcistico. A lui si devono due saggi fondamentali sull'argomento: "Descrizione di una battaglia" (il Mulino) e "Regalateci un sogno" (Bompiani), scritto insieme a Roberto Moscati.

 

La tragedia di Salerno lascia attoniti, soprattutto per la natura ciecamente distruttiva del gesto all'origine della strage. Il fenomeno degli ultras sta forse degenerando?

Senza dubbio c'e' un mutamento in corso gia' da alcuni anni. E' finita una generazione di leader della curva e in quasi tutte le tifoserie manca un'organizzazione di riferimento capace di tenere sotto controllo la situazione. Lo si era gia' constatato nel 1995, quando il tifoso del Genoa Vincenzo Spagnolo venne ucciso in un'azione di "cani sciolti". I gruppi ultra' sono sempre piu' frammentati e sfrangiati, il che aumenta la possibilita' di incidenti, ma la parola degenerazione mi sembra un po' forte. Non dimentichiamo che dopo il caso Spagnolo c'era stato, da parte degli stessi tifosi, un tentativo di calmare le acque, in parte riuscito.

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Ora pero' siamo di nuovo all'emergenza. Quattro morti in una sola trasferta.

E' difficile capire che cosa sia realmente avvenuto. Se si accetta l'ipotesi piu' accreditata, cioe' che ad agire siano stati dei ragazzini esaltati, probabilmente bisogna parlare anche di fatalita'. In effetti, senza l'incendio del vagone, si sarebbe parlato soltanto, come tante altre volte, di una domenica di calcio deturpata dal teppismo. Tuttavia credo non si possa fare a meno di denunciare la mancata prevenzione. Non si e' tenuto conto del pericolo estremo che comportava un finale di campionato allo spasimo, con alcune squadre che si giocavano tutto in 90 minuti. Tra l'altro gli ultras della Salernitana, particolarmente infiammati per via della Seria A conquistata dopo anni e anni di attesa, erano gia' stati protagonisti di episodi gravi, come il lancio di una bomba carta durante la partita di Coppa Uefa disputata dalla Fiorentina sul loro campo.

 

Qualcuno si e' indignato per lo striscione esposto ai funerali delle vittime, in cui gli stessi tifosi lamentavano l'esiguita' della scorta, ma solo 12 agenti per un treno speciale sono davvero pochi.

Non mi stupirei ne' scandalizzerei troppo per quella scritta. I rapporti tra i ragazzi della curva e la polizia sono piuttosto complessi e non certo di contrapposizione frontale. Puo' darsi che qualcuno si senta tradito rispetto al "modus vivendi" raggiunto con le forze dell'ordine. Ad ogni modo, 12 poliziotti messi a sorvegliare 1500 tifosi sono una cifra risibile, soprattutto per una trasferta notoriamente a rischio. Una piu' accorta regia dell'ordine pubblico, con l'impiego di forze adeguate, forse avrebbe potuto evitare la tragedia.

 

Un altro elemento di cui si e' parlato e' l'uso di droga da parte dei responsabili dell'incendio.

E' evidente che chi appicca il fuoco al treno su cui sta viaggiando, per giunta mentre sta attraversando una lunga galleria, non si rende conto di quello che fa. Per cui non si puo' escludere che fosse sotto l'effetto di stupefacenti. Una volta tra i giovani tifosi circolava soprattutto l'"erba" (hashish e marijuana), ma oggi si ricorre a sostanze assai piu' pesanti, a partire dalle anfetamine, con le conseguenze che si possono ben immaginare.

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A proposito dei rapporti tra polizia e ultras, alcuni commentatori affermano che gli stadi sono una sorta di "zona franca", in cui ai violenti viene garantita una sorta di impunita'. E' davvero cosi'?

Mi sembrano osservazioni di persone non molto competenti. Pochi stadi sono ben controllati come quelli italiani: infatti all'interno degli impianti non avvengono incidenti gravi da parecchio tempo. Sorvegliare un luogo relativamente chiuso non e' poi cosi' difficile, mentre all'esterno i problemi si complicano fortemente. Quanto all'impunita', probabilmente c'e' una certa tolleranza verso le trasgressioni meno rilevanti, ma essa e' funzionale ad evitare guai peggiori. E non vale solo per i tifosi. Reprimere con la massima durezza ogni comportamento lievemente deviante porterebbe a un effetto boomerang. Anche il disordine, in realta', ha delle regole che conviene rispettare.

 

E' opportuno vietare le trasferte e cancellare i treni speciali?

Non direi. Un simile provvedimento puo' servire a scongiurare alcuni pericoli, come la devastazione delle stazioni ferroviarie, ma probabilmente ne produrrebbe altri. C'e' addirittura il rischio che i violenti diventino meno controllabili e spuntino fuori inaspettatamente con gesti inconsulti. In una societa' a mobilita' elevata come la nostra, la liberta' di circolazione non puo' essere soppressa e neppure limitata oltre una certa soglia. Esistono vari modi di viaggiare e non e' poi cosi' difficile procurarsi i biglietti delle partite. Conviene piuttosto concentrare la vigilanza nei luoghi e nei momenti critici, che in fondo non sono difficili da individuare.

 

In che misura la violenza da stadio e' collegata al fenomeno piu' generale dell'emarginazione giovanile?

Non mi pare che ci sia un rapporto diretto. Se la violenza fosse frutto della disoccupazione, dovrebbe avere dimensioni spaventose nei centri urbani meridionali, dove grandi masse di giovani sono del tutto escluse dal mercato del lavoro. Ma non e' cosi'. Vorrei ricordare peraltro che in passato si parlava molto della specificita' negativa dei tifosi di citta' ricche come Verona e Begamo. In questo campo andrei molto cauto con generalizzazioni che non ci aiutano a capire la natura dei fenomeni.

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Da alcune parti si invoca una responsabilizzazione delle societa' di calcio, che dovrebbero occuparsi di educare i propri tifosi. E' una via percorribile?

Mi domando se chi fa simili proposte sa come funzionano le societa' sportive. A parte il caso dei grandi club controllati da potenti gruppi economici (Juventus, Milan, Fiorentina, Lazio e cosi' via), si tratta di imprese a conduzione semiartigianale, in cui qualche piccolo o medio industriale s'impegna allo scopo di ricavarne profitti e popolarita', o per soddisfare velleita' personali. Per la loro stessa ragione sociale, mi sembrano enti del tutto inadatti a svolgere qualsiasi funzione educativa. E di fatto hanno scarse capacita' d'influenza sulle frange piu' violente del tifo, che oggi, come si diceva all'inizio, sono molto piu' sfuggenti e magmatiche di un tempo.

 

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