Vent'anni fa, 28 ottobre
1979, la prima vittima della violenza ultra'. Era il tifoso laziale Vincenzo Paparelli,
ucciso da un razzo allo stadio Olimpico. Oggi addirittura quattro morti in una volta sola:
i giovani sostenitori della Salernitana periti nel rogo del vagone ferroviario su cui
viaggiavano. Ci si domanda se non siamo di fronte a una escalation sanguinosa e
inarrestabile. Intanto la prima misura assunta del ministero dell'Interno e' stata
sospendere le trasferte dei tifosi nelle rimanenti giornate di serie B.
Per approfondire la questione "Caffe' Europa" ha scelto come
interlocutore il sociologo Alessandro Dal Lago, preside della facolta' di Scienze della
formazione all'Universita' di Genova, che ha dedicato molta attenzione alle dinamiche del
tifo calcistico. A lui si devono due saggi fondamentali sull'argomento: "Descrizione
di una battaglia" (il Mulino) e "Regalateci un sogno" (Bompiani), scritto
insieme a Roberto Moscati.
La tragedia di Salerno lascia attoniti, soprattutto per la natura
ciecamente distruttiva del gesto all'origine della strage. Il fenomeno degli ultras sta
forse degenerando?
Senza dubbio c'e' un mutamento in corso gia' da alcuni anni. E' finita
una generazione di leader della curva e in quasi tutte le tifoserie manca
un'organizzazione di riferimento capace di tenere sotto controllo la situazione. Lo si era
gia' constatato nel 1995, quando il tifoso del Genoa Vincenzo Spagnolo venne ucciso in
un'azione di "cani sciolti". I gruppi ultra' sono sempre piu' frammentati e
sfrangiati, il che aumenta la possibilita' di incidenti, ma la parola degenerazione mi
sembra un po' forte. Non dimentichiamo che dopo il caso Spagnolo c'era stato, da parte
degli stessi tifosi, un tentativo di calmare le acque, in parte riuscito.

Ora pero' siamo di nuovo all'emergenza. Quattro morti in una sola
trasferta.
E' difficile capire che cosa sia realmente avvenuto. Se si accetta
l'ipotesi piu' accreditata, cioe' che ad agire siano stati dei ragazzini esaltati,
probabilmente bisogna parlare anche di fatalita'. In effetti, senza l'incendio del vagone,
si sarebbe parlato soltanto, come tante altre volte, di una domenica di calcio deturpata
dal teppismo. Tuttavia credo non si possa fare a meno di denunciare la mancata
prevenzione. Non si e' tenuto conto del pericolo estremo che comportava un finale di
campionato allo spasimo, con alcune squadre che si giocavano tutto in 90 minuti. Tra
l'altro gli ultras della Salernitana, particolarmente infiammati per via della Seria A
conquistata dopo anni e anni di attesa, erano gia' stati protagonisti di episodi gravi,
come il lancio di una bomba carta durante la partita di Coppa Uefa disputata dalla
Fiorentina sul loro campo.
Qualcuno si e' indignato per lo striscione esposto ai funerali delle
vittime, in cui gli stessi tifosi lamentavano l'esiguita' della scorta, ma solo 12 agenti
per un treno speciale sono davvero pochi.
Non mi stupirei ne' scandalizzerei troppo per quella scritta. I
rapporti tra i ragazzi della curva e la polizia sono piuttosto complessi e non certo di
contrapposizione frontale. Puo' darsi che qualcuno si senta tradito rispetto al
"modus vivendi" raggiunto con le forze dell'ordine. Ad ogni modo, 12 poliziotti
messi a sorvegliare 1500 tifosi sono una cifra risibile, soprattutto per una trasferta
notoriamente a rischio. Una piu' accorta regia dell'ordine pubblico, con l'impiego di
forze adeguate, forse avrebbe potuto evitare la tragedia.
Un altro elemento di cui si e' parlato e' l'uso di droga da parte dei
responsabili dell'incendio.
E' evidente che chi appicca il fuoco al treno su cui sta viaggiando,
per giunta mentre sta attraversando una lunga galleria, non si rende conto di quello che
fa. Per cui non si puo' escludere che fosse sotto l'effetto di stupefacenti. Una volta tra
i giovani tifosi circolava soprattutto l'"erba" (hashish e marijuana), ma oggi
si ricorre a sostanze assai piu' pesanti, a partire dalle anfetamine, con le conseguenze
che si possono ben immaginare.

A proposito dei rapporti tra polizia e ultras, alcuni commentatori
affermano che gli stadi sono una sorta di "zona franca", in cui ai violenti
viene garantita una sorta di impunita'. E' davvero cosi'?
Mi sembrano osservazioni di persone non molto competenti. Pochi stadi
sono ben controllati come quelli italiani: infatti all'interno degli impianti non
avvengono incidenti gravi da parecchio tempo. Sorvegliare un luogo relativamente chiuso
non e' poi cosi' difficile, mentre all'esterno i problemi si complicano fortemente. Quanto
all'impunita', probabilmente c'e' una certa tolleranza verso le trasgressioni meno
rilevanti, ma essa e' funzionale ad evitare guai peggiori. E non vale solo per i tifosi.
Reprimere con la massima durezza ogni comportamento lievemente deviante porterebbe a un
effetto boomerang. Anche il disordine, in realta', ha delle regole che conviene
rispettare.
E' opportuno vietare le trasferte e cancellare i treni speciali?
Non direi. Un simile provvedimento puo' servire a scongiurare alcuni
pericoli, come la devastazione delle stazioni ferroviarie, ma probabilmente ne produrrebbe
altri. C'e' addirittura il rischio che i violenti diventino meno controllabili e spuntino
fuori inaspettatamente con gesti inconsulti. In una societa' a mobilita' elevata come la
nostra, la liberta' di circolazione non puo' essere soppressa e neppure limitata oltre una
certa soglia. Esistono vari modi di viaggiare e non e' poi cosi' difficile procurarsi i
biglietti delle partite. Conviene piuttosto concentrare la vigilanza nei luoghi e nei
momenti critici, che in fondo non sono difficili da individuare.
In che misura la violenza da stadio e' collegata al fenomeno piu'
generale dell'emarginazione giovanile?
Non mi pare che ci sia un rapporto diretto. Se la violenza fosse frutto
della disoccupazione, dovrebbe avere dimensioni spaventose nei centri urbani meridionali,
dove grandi masse di giovani sono del tutto escluse dal mercato del lavoro. Ma non e'
cosi'. Vorrei ricordare peraltro che in passato si parlava molto della specificita'
negativa dei tifosi di citta' ricche come Verona e Begamo. In questo campo andrei molto
cauto con generalizzazioni che non ci aiutano a capire la natura dei fenomeni.

Da alcune parti si invoca una responsabilizzazione delle societa' di
calcio, che dovrebbero occuparsi di educare i propri tifosi. E' una via percorribile?
Mi domando se chi fa simili proposte sa come funzionano le societa'
sportive. A parte il caso dei grandi club controllati da potenti gruppi economici
(Juventus, Milan, Fiorentina, Lazio e cosi' via), si tratta di imprese a conduzione
semiartigianale, in cui qualche piccolo o medio industriale s'impegna allo scopo di
ricavarne profitti e popolarita', o per soddisfare velleita' personali. Per la loro stessa
ragione sociale, mi sembrano enti del tutto inadatti a svolgere qualsiasi funzione
educativa. E di fatto hanno scarse capacita' d'influenza sulle frange piu' violente del
tifo, che oggi, come si diceva all'inizio, sono molto piu' sfuggenti e magmatiche di un
tempo.