Letti per voi/In ricordo del liberalismo di
Vittorio Zincone Piero Ostellino
Questo articolo e' apparso sul "Corriere della Sera" di mercoledi' 12 maggio
Finora, Vittorio Zincone (1911- 1968) aveva, ai miei occhi, un solo merito: quello di
essere il padre di due fra i più autentici spiriti liberali del nostro Paese, nonché
miei carissimi amici, Giuliano e Giovanna. Giuliano scrive da oltre trent'anni su questo
giornale; Giovanna è stata una colonna del Centro Einaudi di Torino, che io stesso ho
contribuito a fondare nel '63.
Vittorio Zincone, ora, ha, ai miei occhi, un altro merito: quello di aver pubblicato, nel
1947, un acuto libricino sul totalitarismo, opportunamente ristampato oggi, con una lunga
prefazione di Dino Cofrancesco, dalla Casa editrice Ideazione ("Lo Stato
totalitario", pagg. 222, lire 18.000). Non solo come liberale, ma anche come ex
corrispondente dall'Unione Sovietica e dalla Repubblica popolare cinese, ho ritrovato,
nello scritto di Zincone senior, molte delle riflessioni che avevo fatto io stesso sul
totalitarismo comunista o che avevo letto nei libri dei sovietologi e sinologi di molti
anni successivi a quello di Zincone. L'Autore parte dalla lettura dei testi del pensiero
totalitario di destra e di sinistra. Ciò gli consente una prima, felice intuizione, che
sarà poi quella di tanti altri studiosi e intellettuali anticomunisti, da Silone alla
Arendt, fino a Bobbio: la natura illiberale e anti-democratica del comunismo non è la
conseguenza del "revisionismo" degli interpreti, primo fra tutti Lenin, di Marx.
Essa, bensì, ha le sue radici già nel pensiero di quest'ultimo, così come in quelli di
Mussolini e di Hitler riguardo a fascismo e nazismo.
L'intuizione, come si vede, ha due conseguenze importanti. La prima è che, come avrebbe
scritto molti anni dopo Bobbio, Marx "non è innocente". La seconda è che, come
avrebbe poi scritto Ernst Nolte, comunismo, fascismo e nazismo sono assimilabili in quanto
le "migliori" intenzioni programmatiche del primo non lo assolvono dai suoi
peccati, ma ne rappresentano un'aggravante.
Lo spirito di intolleranza che ha portato i totalitarismi "realizzati" a
commettere i loro crimini, spiega bene Zincone, è uguale ed è alla base del pensiero
teorico di tutti e tre. Esso nasce dalla presunzione di sapere quale è il bene e quale è
il male per gli uomini e di voler imporre questa conoscenza con la forza. Al riguardo, su
un punto non credo di essere d'accordo, invece, con l'Autore. Là dove egli fa risalire
alla scissione machiavellica fra morale e politica l'origine del carattere intollerante
dei totalitarismi. Io credo che, al contrario, sia proprio l'assenza di tale scissione,
che Machiavelli teorizzò per affermare l'autonomia dello Stato dalla Chiesa, il
"peccato originale" che ha alimentato l'intolleranza meta e pre-politica del
pensiero totalitario. Una seconda, felice, intuizione di Vittorio Zincone è
l'equiparazione fra la tendenza monopolistica del Capitale in campo economico, nella
moderna produzione di massa, e l'analoga tendenza totalitaristica del potere in campo
politico, nelle moderne democrazie di massa. Tendenza che, per il liberalconservatore
Zincone, si traduce nella difficoltà di conciliare democrazia e liberalismo, mentre, per
il liberale moderno, si traduce nella difficoltà di conciliare i due principi di
organizzazione, capitalistico (selettivo ed elitistico) e democratico (egualitario e
partecipativo). La tesi dell'Autore, secondo la quale il "consigliere delegato"
esercita la sua dittatura sia sulla massa degli azionisti, sia sullo stesso Consiglio di
amministrazione, riecheggia singolarmente la polemica trotzkista contro il centralismo
democratico staliniano che portò alla dittatura del partito sul proletariato, poi, del
Comitato centrale sul partito e, infine, del segretario politico sul Comitato centrale e
sull'Ufficio politico. Quella sulla inevitabilità che "nei dirigenti politici legati
a posti retribuiti di partito" si formi una "mentalità conformista precede, a
sua volta, la polemica contro la burocratizzazione del "quartiere generale" del
Mao della Rivoluzione cultural e. Insomma: l'opposizione nei confronti delle degenerazioni
del potere assoluto finisce con accomunare, pur su basi del tutto diverse, il liberale
Zincone e due illustri "eretici" del totalitarismo comunista!
Molte altre cose ci sarebbe da dire su questo lavoro, che si distingue anche per l'estrema
modernità del linguaggio. Non ultima, l'attualissima denuncia - che precede i tempi delle
nostre "adunate elettroniche" chiamate sondaggi e Tv spazzatura - dei pericoli
che le democrazie di massa facilitino la nascita e l'ascesa di populisti e demagoghi nei
confronti dei quali la gente si limita a professare un "atto di fede", invece
che lo spirito critico. Ma, per restare nell'ambito della chiave interpretativa che ho
scelto come ex corrispondente dai Paesi comunisti, voglio segnalare un'altra intuizione di
Vittorio Zincone. Essa precede di oltre vent'anni l'analisi di Gordon Skilling (sulla
articolazione relativamente pluralistica del processo decisionale anche nei regimi
totalitari) e quella di Roy Medvedev (sul dissenso in Urss). L'intuizione riguarda due
aspetti della vita dei regimi totalitari. Il primo è la "differenziazione delle
funzioni", che secondo Zincone porta alla nascita delle oligarchie, secondo Skilling
a quella dei gruppi di pressione e secondo Medvedev a quella di una opposizione
"occulta", interna al regime. Il secondo è la diversa "intensità"
dei regimi totalitaristici, il che spiega, ad esempio, la maggiore facilità con la quale
Paesi totalitari di destra, come la Spagna e il Cile, dove il totalitarismo non era stato
pervasivo anche del mondo economico, siano approdati alla democrazia, rispetto agli ex
Paesi comunisti, dove lo Stato totalitario aveva occupato anche gli spazi dell'economia.
In conclusione. Non un libro "ideologico", e tanto meno "datato",
malgrado i tempi in cui è stato scritto. Ma, piuttosto, un "breviario"
politologico contro i pericoli dello spirito di intolleranza che rimane pur sempre la
matrice prima di ogni illibertà.
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