Ehud Barak, il nuovo
Premier israeliano, ha incominciato a sgranare i 45 giorni che gli sono concessi per
formare un governo. Ci riuscirà, ma come è successo sempre in Israele anche questa volta
il parto sarà laborioso, anche per la presenza nella nuova Knesset, il Parlamento
unicamerale israeliano, di 15 partiti, molti per i 120 deputati che lo compongono.
Le elezioni del 17 maggio hanno prodotto maggiori sorprese di quanto si
prevedesse.
La prima è stata la vittoria trionfale del candidato di
centro-sinistra. Tutti pensavano che lelezione diretta del Primo Ministro si sarebbe
risolta come la precedente, cioè sul filo del necessario 50% più uno. Così era andata
nel 1996, prima assoluta per il sistema di elezione popolare del capo del governo, quando
Benjamin Netanyahu prevalse su Shimon Peres per meno di 20.000 voti su quattro milioni e
mezzo di votanti, in percentuale lo zero virgola qualcosa per cento.
Questa volta il divario è netto: dodici punti separano il vincitore
dal perdente (56 contro 44%), segno che la gestione del potere di Netanyahu aveva
scontentato tutti, a destra come a sinistra.
Tenendo conto che a Barak non si è mai dato credito di molto carisma
(anche la sua faccia paciosa non desta brividi di passione politica), la seconda
spiegazione del suo successo risiede nel fatto che, proprio come Yitzak Rabin, il Premier
assassinato da un fanatico ebreo fondamentalista, anche Barak ha un passato militare di
tutto rispetto, avendo più che brillantemente percorso tutte le tappe della carriera fino
a diventare capo di Stato Maggiore. Un passato tranquillizzante per i più timorosi di un
"salto nel buio", e indotto il candidato di centro a ritirare la sua candidatura
per favorirlo.
La sua disponibilità a riprendere costruttivamente il negoziato con i
palestinesi e con la Siria e a chiudere lantico contenzioso, gli ha assicurato poi i
consensi del milione di arabi israeliani, tanto da indurre anche il candidato arabo a
ritirarsi. La vocazione laica di Barak gli ha fatto ricevere infine la maggioranza dei
voti del milione di ebrei provenienti dallex Unione Sovietica, che li avevano
precedentemente consegnati a Netanyahu. Ed è questa degli ebrei "russi" la
terza spiegazione del suo successo personale.
Vinta alla grande la sua sfida con Netanyahu, ora però Barak dovrà
fare i conti con un Parlamento letteralmente rivoluzionato.
Per la prima volta i due raggruppamenti politici storicamente
antagonisti, quelli intorno al partito laburista socialisti, ex comunisti e così
frantumando e quelli che hanno variamente fatto capo al Likud, non hanno
conquistato insieme la maggioranza dei seggi alla Knesset. Ne avevano avuti 32 ciascuno
nella precedente legislatura (ed era già un minimo), ora entrambi hanno perduto consensi.
Catastroficamente la destra del Likud, che è passato da 32 a 19 seggi, cinque la sinistra
laburista, da 32 a 27.
Questo risultato sorprendente significa in primo luogo che i termini
"destra" e "sinistra", già sfilacciati negli ultimi dieci anni, vanno
perdendo ulteriore significato, a vantaggio di formazioni, gruppi e gruppuscoli che in
Israele si distinguono semmai, con varie sfumature, in religiosi e laici.
Sbaglierebbe chi dovesse pensare che le grandi divisioni israeliane
passino per il negoziato con i palestinesi, perché non tutta la "sinistra" ha
le ali della colomba e non tutta la "destra" ha becco e zampe di falco.
La spaccatura del paese passa invece per la concezione dello Stato.
Manca ancora un Cavour che propugni con decisione una "libera Chiesa in libero
Stato", raccogliendo intorno a questa bandiera la maggioranza del paese, che esiste
ma che è perplessa, titubante e in gran parte "silenziosa". Non mancano invece
partiti e gruppi fermamente intenzionati a sostituire la legge dello Stato con quella
religiosa nella sua interpretazione fondamentalista.
E qui, in questa contrapposizione, che si giocherà
lavvenire dello Stato ebraico. La pace con i palestinesi prima o poi si farà, ma
quanto dilania lanima di un paese che trae le sue radici culturali e spirituali
dalla religione, che però non può ergersi a fondamento unico ed esclusivo di uno Stato
moderno, ecco il vero motivo dangoscia, conscio o inconscio, degli israeliani.
I numeri. E intanto: dove sono andati i voti sottratti ai due maggiori partiti
tradizionali?
Degli undici seggi che mancano al Likud, sette sono andati ad arricchire il carniere del
più integralista e rozzo dei partiti religiosi, lo Shas, il cui leader, Arieh Deri, era
stato appena condannato a quattro anni per tangenti, truffe e quantaltro. Lo Shas è
pertanto salito da 10 a 17 seggi. Nel loro insieme i partiti religiosi sono saliti da 23 a
27 seggi, una percentuale davvero notevole.
I due partiti più impegnati in una battaglia laica, Merez e Shinui,
hanno ottenuto insieme 15 seggi, una parte dei quali dirottati dal Labour.
La conta dei seggi in Parlamento garantirebbe sulla carta una certa
maggioranza a Barak, 67 sui 120. Ma è praticamente certo che il nuovo Premier cercherà
di assicurarsi altri consensi alla vigilia del negoziato con i palestinesi e della
costituzione del nuovo Stato palestinese, costituzione alla quale gli israeliani sembrano
rassegnati, anche se non entusiasti.
Non sembra però probabile che a fornire una solida stampella a Barak
possano essere i fondamentalisti di Shas, come qualcuno ha ipotizzato. Si tratterebbe di
una stampella che potrebbe farne cadere due: ottenere i 17 voti di Shas e perdere i 15 di
Merez e Shinui e i 7 dei "russi", non sembra un grande affare. E
i"russi" avevano voltato le spalle a Netanyahu e alla coalizione che lo
sorreggeva proprio a causa dei feroci attacchi dei fondamentalisti di Shas, che revocavano
in dubbio lappartenenza allebraismo di molti ebrei russi e li accusavano
inoltre (non senza qualche ragione, ma sono cose che non si dicono in campagna elettorale)
di avere portato in Israele la mafia, la prostituzione e la droga.
Se si dovesse azzardare un pronostico, si potrebbe ipotizzare invece
per Barak il recupero dei 5 seggi rimasti al Mafdal, il Partito Nazionale Religioso, più
pragmatico, più politicizzato (anche nel senso peggiore), più pronto a compromessi. Con
il P.N.R. Barak raccoglierebbe in totale 72 voti, un robusto 60% capace di garantirgli una
navigazione tranquilla. E quanto necessita Israele, il Medio Oriente e forse anche
unarea assai più vasta, viste le tempeste che flagellano il Mediterraneo.