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La strana storia del rapporto Italia-Uck, tra armi, uniformi e “griffe” straniere.

Emmanuela C. del Re e Franz Gustincich


Già alla fine del 1997 appariva chiaro che Ibrahim Rugova, presidente della Repubblica parallela del Kosova e leader della LDK (Lega Democratica del Kossovo), nonché noto al mondo internazionale come "Gandhi dei Balcani", stava perdendo consensi all’interno della sua comunità. Il nuovo soggetto politico di cui si sentiva fortemente l’esigenza in Kossovo, non ancora delineato, avrebbe dovuto essere sicuramente meno moderato dell’LDK. Adem Demaçi, avversario politico di Rugova, promotore di un intervento armato per ottenere l’indipendenza, iniziava a recuperare spazio ed era sovente invocato come leader dalla diaspora albanese-kossovara. Dopo la strage del marzo 1998, che può dirsi la data ufficiale di inizio di questa guerra, quando le truppe speciali della polizia serba uccisero più di cinquanta persone, le numerose cellule dell’UCK nelle varie nazioni d’Europa si ingrandirono e si impegnarono nella raccolta fondi a sostegno della "causa".

Il primo "sbarco" in Italia di emigranti albanesi del Kossovo, che più spesso potevano definirsi esuli per via delle loro tendenze indipendentiste invise alla Serbia, risale ai primi anni novanta. L’organizzazione di questi in "cellule" italiane dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kossovo) è invece cosa recente. Queste cellule dell’organizzazione della resistenza anti-serba - che in Italia trovano terreno fertile nelle comunità albanesi del nord Italia- sono ben note al SISMI ed alla forze dell’ordine che le tollerano: la politica dell’Italia è infatti quella di non entrare in conflitto con loro purché vivano in accordo con le leggi nazionali. Le motivazioni alla base di questo atteggiamento potrebbero stare nel fatto che l’Italia non rientra tra i possibili obiettivi di attentati da parte dell’organizzazione indipendentista e inoltre esiste la possibilità di utilizzare la nascente struttura clandestina per operazioni in supporto ai nostri servizi di informazione.

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All’inizio della guerra, in Trentino, l’area italiana con il maggior numero di kossovari, si innescava un conflitto tra servizi segreti albanese del Kossovo e serbo, con l’UDB, quello serbo, in testa. Scopo dell’UDB era infatti quello di boicottare ogni iniziativa che avrebbe potuto rafforzare gli indipendentisti.

L’Italia, oltre ad aver tollerato l’UCK, sembra lo abbia indirettamente difeso dall’UDB per evitare l’ulteriore inasprirsi di un conflitto sul suolo italiano che poteva avere gravi conseguenze da vari punti di vista. Il nostro paese infatti, si trovava a dover necessariamente mantenere un equilibrio tra la Serbia, terra dove gli investimenti italiani si contavano a centinaia di miliardi, ed il Kossovo albanese, la cui instabilità rischiava di mandare all’aria un importante progetto di collegamento polifunzionale con l’oriente: il corridoio otto. Ecco uno dei veri, seppure poco noti, protagonisti della politica estera italiana nei Balcani negli ultimi anni: si tratta di un asse viario e ferroviario, con oleodotti ed elettrodotti, che metterà in comunicazione l’oriente con l’occidente, l’antica via Egnatia con la via della seta, la costa italiana e quella albanese fino, idealmente, alla Cina escludendo alcuni paesi tra i quali la Grecia e la Serbia, che invece oggi si fanno carico di una considerevole percentuale dei traffici commerciali tra oriente ed occidente. Per la realizzazione di tale progetto è necessario che l’intera area interessata -inclusi i paesi non attraversati dal corridoio- goda di stabilità. E’ qui che il ruolo dell’Italia acquista valore per doti di equilibrismo nella diplomazia. Diversa è la questione, quando entrano in campo forze militari.

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Spesso la stabilità di un’area dipende, più che dalla politica ufficiale, dalle forze occulte in campo. Nei conflitti uno degli aspetti poco approfonditi, sebbene estremamente rilevanti riguarda l’intervento diretto o indiretto di forze militari straniere che agiscono a vari livelli: addestramento, invio di mercenari, equipaggiamento. In qualche caso queste forze diventano addirittura "registe" del conflitto. Resta però sempre difficile documentare con prove certe le interferenze straniere, per quanto talvolta queste sembrino evidenti. (E’ il caso della Croazia, che per riprendersi la Krajna utilizzò una decina di aerei Mig 29 che recavano ancora le insegne della ex DDR: ufficialmente quegli aerei erano stati demoliti dal governo della Germania riunificata). Il fatto è che nella maggioranza dei casi è possibile riportare solo voci, spesso distorte da interessi particolari.

Come interpretare queste strane presenze? Il loro ruolo come attori nei conflitti non deve essere sempre interpretato negativamente. Ad esempio il fatto che il Genio Militare italiano, in seguito agli accordi bilaterali intercorsi tra Italia ed Albania, abbia addestrato allo sminamento ufficiali e personale militare albanese tra il 1997 ed il 1998 non induce di per sé al sospetto di ingerenze occulte. Che poi quegli stessi ufficiali albanesi, essendo stati addestrati a sminare, e avendo quindi ovviamente anche appreso la tecnica di posa delle mine, si siano poi trasformati a loro volta in addestratori dell’UCK, è un fatto accertato che può essere interpretato in vari modi. Soprattutto, se si tiene conto che molti osservatori indicano l’esercito albanese di stanza nel nord-est dell’Albania e l’UCK come una cosa sola. A Kukes è normale incrociare mezzi con targa militare albanese che trasportano uomini con il caratteristico scudetto dell’UCK cucito sull’uniforme mimetica.

E gli altri paesi? In veste ufficiale e non, Americani, Russi, Francesi, Inglesi, Italiani Turchi ed altri hanno partecipato ai conflitti, più spesso attraverso un’assistenza occulta alle parti in conflitto. Ad esempio, facendo un passo indietro è importante sottolineare che la prima assistenza all’Albania in materia di difesa è venuta dalle forze armate turche che, all’indomani della rivoluzione del 20 febbraio 1991, siglarono un accordo per inviare addestratori.

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Gli USA, molto parchi a differenza dell’Europa nel sostenere economicamente l’Albania, nello stesso periodo appoggiarono Sali Berisha (da allora fortemente filo-americano) finanziandogli la campagna elettorale, pensando così di ottenere in cambio l’utilizzo di alcune basi militari cosa che puntualmente avvenne per l’installazione degli aerei spia RPV (Remote Pilote Vehicle). Lo scopo non dichiarato era quello di creare all’interno dei Balcani una zona di controllo. Gli RPV erano intanto utilizzati per il monitoraggio della Bosnia. Quando agli USA fu concesso l’utilizzo anche di una base navale attrezzata per sommergibili, sorse un contrasto con l’Italia che aveva stipulato un accordo per la riorganizzazione della Marina albanese e la ristrutturazione dei fari e dei sistemi di segnalazione: l’Italia fu costretta a rinunciare al progetto. (Questo spiegherebbe in parte anche perché gli Albanesi spinsero per una frettolosa conclusione dell’operazione "Pellicano", che pure aveva salvato il paese dalla carestia). Alla fine del 1994, poi, Washington ottenne da Zagabria l’uso dell’isola di Vrac come base militare, e l’importanza geostrategica dell’Albania passò in secondo piano. Gli USA restano comunque una presenza massiccia nei Balcani (anche nelle missioni OSCE costituiscono sempre la maggioranza).

La presenza statunitense in Albania in questi giorni non cerca nemmeno più di celarsi sotto la bandiera della Nato. Questo è evidente a cominciare dai cartelli che fanno bella mostra di sé intorno all’aeroporto di Rinas: i cartelli scritti in albanese avvertono che l’area è sorvegliata dalla NATO, mentre quelli identici scritti in inglese avvertono che la sorveglianza è degli Stati Uniti. In alcune aree NATO sono ammessi solo giornalisti con passaporto americano. Nel distretto di Has, dove c’è un campo di addestramento di parte dei guerriglieri dell’UCK, è evidente la presenza delle forze armate americane, anche se l’addetto stampa NATO sostiene che l’alleanza atlantica non ha ne’ uomini ne’ mezzi in quella regione.

Se il coinvolgimento degli Stati Uniti è evidente, più celato risulta essere quello italiano. Da molto tempo circolano voci sull’impegno italiano nell’addestramento ed equipaggiamento dell’UCK. La ricerca di argomenti incontrovertibili, tuttavia non ha dato frutti. Abbiamo rilevato che il materiale a disposizione non solo in gran parte non è verificabile, ma che la maggior parte degli elementi sono forniti da testimoni indiretti, anche se spesso di alto livello, nessuno dei quali ha permesso di essere citato. Qualcuno ha addotto a giustificazione della vaghezza delle proprie risposte la pericolosità dell’argomento in questione, concludendo con perplessi no comment. Con questa breve nota si intende, quindi, solo sollevare l’argomento e riportare alcune ipotesi.

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In tutte le guerre balcaniche di questo decennio è stata individuata una presenza italiana anche se nella maggioranza dei casi si è trattato di mercenari, come nella Brigata internazionale croata, dove l’addestratore militare era un ex ufficiale (a suo dire) del 9° reggimento d’assalto "Col Moschin". Altri nella stessa brigata provenivano dalla Lega Lombarda, e si trovavano lì "a titolo personale". Ufficialmente la brigata era adibita alla sorveglianza di alcuni chilometri di fronte in Slavonia, ma in realtà si occupava di alcuni traffici esecrabili che il presidente croato Tudjman ha condannato come "compiuti da un gruppo di stranieri": in primo luogo il traffico di armi dall’Italia e dall’Argentina. Oggi la Lega Nord è schierata con la Serbia, come dimostra la visita a porte chiuse di Bossi e i permessi senza limitazione forniti dalla segreteria di Milosevic ai giornalisti ed operatori di TelePadania.

In Bosnia un testimone sosteneva che tra i musulmani militavano dei mercenari italiani.

In una nostra recente visita in Kossovo, l’incontro con ufficiali dell’UCK si era svolto sotto il segno di una calda amicizia con "gli italiani" che tanto avevano fatto per la causa del Kossovo. Nel dire ciò l’ufficiale batteva la mano sulla fondina della sua Beretta cal. 9 parabellum. Pochi giorni dopo raccoglievamo la testimonianza di uno scafista di Valona che affermava di portare clandestini dall’Albania all’Italia ed armi nel percorso inverso. Si diceva allora anche che ci fosse un gruppo di kossovari a Milano, impegnato insieme ad alcuni militanti dell’estrema sinistra, nel reperimento fondi e acquisto armi da inviare in Kossovo attraverso l’Albania. L’unico fatto certo è che il 25 marzo di quest’anno sono stati arrestati a Mantova i componenti di una cellula dell’UCK che fornivano eroina in cambio di armi alle cosche malavitose italiane.

Ed il sospettato traffico d’armi tra Albania e Kosovo? "Tale traffico è durato a lungo, sotto gli occhi degli osservatori dell’OSCE, che infatti lo hanno riportato" ci riferiva un membro del parlamento italiano che preferisce non essere citato. Se gli italiani hanno avuto responsabilità nel traffico non hanno lasciato tracce, fatto salvo qualche episodio che ha visto protagonista la Guardia di Finanza nel sequestro di alcuni carichi di materiale bellico.

Dal porto di Bari ogni giorno, due volte al giorno, parte un catamarano veloce che copre la distanza con Durazzo in tre ore. Ogni giorno sbarcano a Durazzo una ventina di volontari dell’UCK, già pronti con le loro mimetiche tutte differenti. Abbiamo chiesto all’ufficiale addetto al reclutamento quali fossero le nazionalità dei volontari. La sua risposta escludeva gli italiani.

Ma di un volontario italiano si trova traccia nei racconti della comunità italiana di Tirana. Non vuole incontrare giornalisti ed il fatto di essere italiani ci ha precluso l’ingresso nel campo di addestramento di Kruma, vicino a Kukes. Unico motivo plausibile la presenza di italiani nelle file dell’UCK.

 

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