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La bomba sull'ambasciata cinese sgretola il fronte Nato?

Joseph LaPalombara


La bomba caduta sull’ambasciata cinese di Belgrado ha intensificato a Washington, e forse anche in qualche capitale europea, il timore che stia per disintegrarsi il fronte unito della NATO favorevole alla linea dura contro la Serbia. Il bombardamento involontario ha fatto seguito all’apparente allentamento delle severe condizioni da imporre a Milosevic, concesso dal G-7 al fine -- come ha detto Madeleine Albright senza troppi eufemismi -- di tirare in ballo anche la Russia. Difatti, anche su questo punto la camicia di forza politica imposta da Washington rischiava di scoppiare.

Adesso, la Cina ha in mano uno strumento ancor più efficace per continuare a insistere, come ha sempre fatto, che i raid aerei della NATO contro la Serbia rappresentano un’inaccettabile interferenza esterna negli affari interni di una nazione sovrana. Più ancora che il merito di questa argomentazione, forse, conta il fatto che essa contribuisce ulteriormente alle divisioni interne alla NATO e alla sua potenziale disintegrazione. Ormai dev’essere ben chiaro a tutti gli interessati che l’integrità della NATO corre seri rischi.

Negli Stati Uniti, saranno in molti a giudicare l’erosione del fronte unito della NATO come l’ennesima manifestazione dell’incapacità dell’Unione Europea di darsi anche solo un minimo di posizione comune, persino rispetto a conflitti atroci e a violazioni dei diritti umani che avvengono nel cuore stesso dell’Europa, come nel caso della Serbia. Ora, questo sarà anche vero: ma la grave incertezza in cui versa l’Alleanza atlantica ha altri due motivi, non meno profondi, che riguardano non l’Europa ma proprio gli Stati Uniti.

Il primo è costituito dai continui errori di calcolo commessi da Washington, sia in merito alla scansione temporale, che in merito all’entità degli interventi necessari. Per quanto riguarda Slobodan Milosevic, gli errori di valutazione della sua forza e della sua determinazione, della sua capacità di conseguire i suoi scopi e delle mosse necessarie a fermarlo o a sconfiggerlo, risalgono addirittura all’amministrazione di George Bush. Il suo successore Clinton non ha fatto che riprendere gli errori iniziali e aggiungervi i suoi, uno dopo l’altro, compreso l’accordo di Dayton. A dispetto di tutti gli eventi storici che dimostravano il contrario, Clinton ha fatto credere agli americani che fosse possibile sconfiggere avversari del calibro di Milosevic e dei serbi con i bombardamenti aerei, che comportano ben poche perdite fra i propri soldati.

Ma un secondo e più profondo motivo dell’attuale disagio della NATO sta nel fatto che a guidarla è proprio lui, Clinton, un presidente che non possiede una politica estera né per i Balcani né per altri "punti caldi" del mondo. La politica estera di Clinton sembra consistere nel porre richieste, rimproverare gli amici più recalcitranti e bombardare i nemici che non obbediscono agli ordini dell’America. Quando però scoppia una crisi, né gli amici né i nemici possono mai sapere con certezza quale sarà la "strategia della settimana" adottata da Clinton o da Madeleine Albright. Viste le circostanze, non c’è da stupirsi se l’eredità di Bush in politica estera, sommata agli errori di Clinton, finisce col costituire un triste elenco di occasioni perdute e di errori. Né c’è da stupirsi se in Europa c’è qualcuno che rimpiange apertamente i vari Kissinger e Brzezinski del passato.

 

L’aspetto più sconfortante di questo quadro, già fosco, è che sia fra i democratici che fra i repubblicani, in Congresso o più generalmente nel panorama politico americano, manca un leader dotato di quella lungimiranza e di quella saggezza che occorrerebbero per dare all’America una politica estera equilibrata e responsabile. E, almeno finora, non sembra affatto probabile che un leader in possesso di queste qualità esista o possa emergere dal contesto europeo o della NATO.

Le mancanze dell’amministrazione Clinton comportano un prezzo potenzialmente assai gravoso, che va ben al di là dell’attuale impasse. I rischi di lungo periodo per la pace mondiale impliciti in questo conflitto balcanico derivano dall’ormai comprovata incapacità sia degli Stati Uniti che della NATO di integrare come è opportuno la Russia e la Cina in un sistema di sicurezza su scala mondiale. Se la bomba caduta sull’ambasciata cinese di Belgrado servirà a mettere in luce questa grave lacuna e l’esigenza di porvi subito rimedio, si raggiungerà forse, anche se involontariamente, un risultato costruttivo di cui si sente un gran bisogno.

 

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