Quando una formula funziona
sono molti a cercarne il segreto, e chiunque vi sia associato subisce un terzo grado
perche' riveli quali sono gli elementi che hanno dato origine all'alchimia perfetta. Vale
per la Coca Cola come per Padre Pio, e ora anche per Commesse, il serial televisivo che,
dal 12 aprile, tiene inchiodati gran parte degli italiani davanti allo schermo di RAI1.
Fin dal suo debutto, Commesse ha tenuto testa al primo passaggio (su Mediaset) di
Independence Day, e gia' dalla seconda puntata ha raggiunto la vetta dei 10 milioni di
audience, per uno share del 36,4%.
Sono cifre in linea con quelle ottenute da altri recenti successi
televisivi: i16 milioni del Maresciallo Rocca, ad esempio, o gli 11 di Un medico in
famiglia. E allora tutti a celebrare il successo della fiction televisiva all'italiana,
considerata non solo come nuova avenue creativa per l'agonizzante cinema di casa nostra
("Siamo noi adesso il cinema medio, come in America", ha dichiarato la
sceneggiatrice Laura Toscano, che firma sia Commesse che Il Maresciallo Rocca), ma anche
come ancora di salvezza per quei registi e attori che sul grande schermo trovano via via
sempre meno spazio.
E' vero, le protagoniste di Commesse -- Sabrina Ferilli, Nancy Brilli e
Irene Pivetti -- sono interpreti di buon livello che anche in sala riscuotono un discreto
successo commerciale, ma hanno bisogno della popolarita' televisiva per mantenere in vita
la propria carriera cinematografica (non a caso due di loro, Ferilli e Pivetti, hanno gia'
alle spalle l'esperienza di Sanremo, e la terza e' reduce dalla campagna pubblicitaria per
la Lotteria nazionale); lo stesso dicasi per Giulio Scarpati di Un medico in famiglia o
per Stefania Sandrelli del Maresciallo Rocca, se non addirittura per Proietti.

La produttrice di Commesse, Edwige Fenech, e il regista Giorgio
Capitani provengono invece da quel cinema italiano di serie B (leggi: soft porn) che ha
avuto il suo momento di gloria negli anni Settanta ed e' poi stato accantonato insieme al
borsello e ai basettoni (anche il nonno di Un medico in famiglia, Lino Banfi, proviene
dallo stesso sottobosco). Capitani e' un veterano dei serial tv: era lui il regista di
quel E non se ne vogliono andare, la miniserie interpretata dalla ex star del grande
schermo Virna Lisi che nel lontano '88 ha inaugurato il filone della fiction all'italiana,
affrontando l'italico tema della permanenza in casa dei figli cresciuti. Ha poi firmato la
regia della prima serie di Un prete fra noi e le tre edizioni di Un cane sciolto, fino a
dirigere il Maresciallo Rocca, oggi alla sua terza tornta.
Ma gli unici "talenti" prettamente televisivi del gruppo
responsabile del successo di Commesse sono i due sceneggiatori, Laura Toscano e Franco
Marotta, che stanno al piccolo schermo come Sveva Casati Modignani (pseudonimo di una
coppia marito-moglie) sta alla letteratura. Grandi lavoratori, attenti ai cambiamenti del
costume e alle fluttuazioni del gusto degli spettatori, Toscano & Marotta sfornano da
anni successi televisivi, senza grandi pretese artistiche ma con un buon fiuto per quanto
fa cassetta: dal Maresciallo Rocca all'Avvocato Porta (entrambi con protagonista Gigi
Proietti) a Commesse.
Sull'onda del successo di Commesse (per il quale gia' si parla di
sequel) arriveranno fra breve sul piccolo schermo altre storie di gente comune e
professioni quotidiane: un serial dedicato a una tassista, uno al mondo degli asili nido,
un altro all'ambiente della scuola. La stessa Fenech ha gia' in cantiere la miniserie Le
madri, che abbinera' l'attenzione per l'universo femminile a quella, tutta italiana, per
la maternita'.
Nell'impossibilita' di stabilire con certezza (soprattutto a caldo)
quale sia stato l'elemento decisivo nel decretare il successo di Commesse, proviamo ad
isolare alcuni elementi chimici della formula, disponendoli in ordine alfabetico,
indipendentemente dall'entita' del contributo al risultato finale.
Accessibilita': Commesse non intimidisce, ne' per la complessita' della
trama (lineare, con personaggi fortemente caratterizzati) e dei dialoghi (semplici, ricchi
di colloquialismi), ne' per la spocchia delle interpreti, che si propongono in modo
diretto, senza inutili divismi.
Attualita': evocata soprattutto a proposito del lavoro: la precarieta'
dell'impiego, l'assenza di solide prospettive future, la necessita' di lavorare non per la
gloria ma per la minestra, la frustrazione nel poter solo "guardare e non
toccare" i beni in vendita, cioe' nel non poter aspirare a quel modello di vita che
ci viene costantemente messo sotto il naso (vedi Beautiful) ma che rimane inaccessibile
alla maggior parte di noi
Blue collar: le protagoniste sono, lo ricordiamo, commesse, anche se di
un negozio di lusso. La loro estrazione sociale e' piccolo-borggghese, il tenore di vita
medio-basso, la preparazione culturale scarsa (vedi le scene in cui la Brilli legge
Intimita'). Facile identificarsi con loro, o -- ancora meglio --0 sentirsi loro superiori
Confezione: il prodotto sara' pure accessibile, ma non e' terra terra.
La regia e' precisa e pulita, la recitazione competente, l'ossatura drammatica forte,
l'appeal estetico elevato. Niente sciatteria ne' approssimazione, ma al contrario molto
"mestiere".
Comune: e' la gente che popola Commesse, almeno nelle intenzioni degli
autori. Nella realta', una con la faccia di Miss Italia (Anna Valle, che interpreta il
ruolo della commesa piu' giovane) non lavorerebbe nella boutique del centro ma farebbe la
velina a Striscia la notizia.
Continuita': sia all'interno della tradizione cinematografica italiana
che in quella americana. Qui si potrebbe discutere per ore, ma ci limitiamo a osservare
che Commesse si rifa' tanto al cinema dei telefoni bianchi quanto al filone poveri ma
belli anni Cinquanta, (anche se allora fare la commessa equivaleva a mettersi in vetrina
per farsi
notare dal futuro marito ricco), senza stare a scomodare il
neorealismo, (la Ferilli ricorda piu' la Ralli che la Magnani, tanto per cominciare) o il
Frank Capra di La vita e' una cosa meravigliosa, come suggerisce Capitani. Nel ritratto di
un gruppo di donne che affrontano insieme difficolta' economiche e problemi di cuore c'e'
anche una strizzatina d'occhio al cinema americano anni Trenta, dal Palcoscenico di La
Cava a Le donne di Cukor, dal quale infatti la Fenech dichiara di aver tratto ispirazione.
Costruzione drammatica: le storie, anche se trite, sono ben congegnate,
i personaggi fedeli a se stessi, le battute scorrevoli. Tutto gia' visto, ma grondante
coerenza narrativa.

Demagogia: abbastanza da rendere il serial appetibile al grande
pubblico. Ripetuto sfoggio di solidarieta' verso i soggetti deboli ( la barbona che chiede
alla Ferilli il prezzo dei vestiti in vetrina, il bambino down), tolleranza verso i gay,
simpatia per le calamita' femminili.
Donne: le telespettatrici, oltre che le protagoniste del serial. A loro
e' indirizzato il prodotto, e a loro va tutta la comprensione possibile, in quanto eroine
della quotidianita', dilaniate da scelte impossibili, costrette a indossare decine di
cappelli (o maschere) nell'arco di una sola giornata. Con molta attenzione, e non poca
piaggeria, Commesse punta l'obbiettivo dritto sul loro universo, continuando a
congratularsi con loro per il semplice fatto di esistere (e di guardare la tv).
Generazione: quella delle trentenni di oggi, che stanno ancora in mezzo
al guado, spesso senza grandi prospettive. Pensateci: se questo serial fosse stato girato
negli anni Cinquanta, le commesse avrebbero dieci anni di meno. La commessa trentenne
senza marito e senza soldi sarebbe stata una figura tragica e marginale, non la
protagonista della storia. Brilli-Ferilli-Pivetti sono li' a dirci che e' normale non
avere ancora trovato la propria direzione allo scoccare dei trenta (e dei 40, vedi la
proprietaria del negozio con figlio drogato)
Glamour: va bene la quotidianita', ma Brilli-Ferilli-Pivetti vantano un
trucco impeccabile e acconciature a prova di superlavoro. Le luci, soprattutto quelle dei
primi piani, sono soft, le inquadrature "costruite". Come nei film americani
degli anni Trenta (o negli episodi di Beautiful) bisogna essere belle anche quando si
soffre.
Incertezza: domina le vite delle tre commesse, esattamente come quella
delle donne (e degli uomini) di oggi. Di nuovo, se anche Brilli e Ferilli (la Pivetti fa
meno testo) sono tormentate da dubbi e sensi di colpa, forse anche noi siamo OK.
Intimita': siamo al tramonto delle ideologie, nessuno crede piu' ai
politici, il posto fisso ce lo siamo scordati. Cosa ci rimane, se non i sentimenti?
Commesse ci si butta a pesce, in perfetta sintonia con la tendenza generale di ritorno
alla sfera del privato.
Italianita': l'unico modo per competere con Beautiful era quello di
(ri)dimensionare i serial televisivi alla realta' italiana. Ecco allora gli interni
carichi di soprammobili e cornici, gli spaghetti in tavola, il mammismo, la religione, il
gallismo (vedi il commesso gay che tenta di rimorchiare i pochi clienti maschi).
Maschi: pochi, marginali, privi di personalita'. Ma, in perfetta
coerenza con l'"innato" masochismo femminile, terribilmente importanti nella
vita delle protagoniste che sono, si intende, molto migliori di loro, ma sempre
"disposte a perdonarli"
Melo': l'amante ammalato, il bambino down, il figlio drogato, lo
stupro, l'aborto, i grandi amori piu' o meno corrisposti. Sono i temi sopra le righe
(aggiornati agli anni Novanta) del piu' tradizionale fuiletton (o della sceneggiata
napoletana), che tira soprattutto quando abbiamo bisogno di individuare qualcuno che se la
passa peggio di noi.
Parolacce: frequenti, completamente fuori tono all'interno di un simile
baba', ma inserite come concessione all'attualita', in linea con altri serial televisivi e
varieta' di successo (vedi Le iene)
Political correctness: di nuovo il commesso gay e il bambino down, la
solidarieta' verso le donne e alla piccola borghesia: tutto very liberal.
Quotidianita': oltre che essere una scelta tematica, determina anche il
ritmo narrativo, che infatti e' oppressivamente lento (e noioso)

Rassicurazione: l'obbiettivo di tanto interesse per la quotidianita',
di tanta attenzione al reale, di tutta quella empatia per le protagoniste. E' l'arma
impropria del trio Capitani-Toscano-Marotta, sfoderata in tutti i loro serial. Ancora una
volta, il messaggio e': tenete duro, loro ce la faranno, e anche voi.
Recitazione: tanto di cappello a Brilli-Ferilli-Pivetti, e anche alle
altre. Sono professionali, composte, credibili. La cosa migliore del prodotto.
Retro': e' il fascino della serie, a cominciare dalla sigla iniziale,
che utilizza una musica anni '60 e una carrellata sulla boutique Jack Norton, arredata in
stile Alta Societa'. Una forma di "desuetudine", come ha scritto Aldo Grasso,
che fa tanta nostalgia.
Ripetitivita': e' la caratteristica dei serial, e Toscano& Marotta
non se ne vergognano. I loro personaggi si rafforzano attraverso la reiterazione dei loro
tratti caratteriali, le battute si riecheggiano: ora della terza puntata sappiamo
esattamente cosa aspettarci, e da chi.
Sintonia: dietro a Commesse si sente il lavoro di equipe, il buon
rapporto fra le attrici. Di qui la percezione di un senso generale di
Solidarieta', non solo nei confronti del pubblico femminile, ma anche
fra i componenti (soprattutto femminili) del team di Commesse
Umilta': del cast, ma anche del regista, nel confezionare un prodotto
artigianale, e degli sceneggiatori, che hanno stilato un copione "di servizio",
secondo regole drammatiche e commerciali incontestabili
Valanga: e' l'effetto che sta ottendo la fiction televisiva, e del
quale senz'altro ha beneficiato anche Commesse. Al di la del merito dei singoli serial,
ogni new entry riceve dal pubblico un'accoglienza fiduciosa, pronta a trasformarsi in
abitudine (o assuefazione) anche quando il prodotto non lo merita