I lettori scrivono
Caro Bosetti,
queste sue ultime riflessioni sulla guerra mi appaiono più sensate di quelle sulla sua
giustificabilità. Ho pensato, leggendole, che dev'esserci, una discrepanza difficile da
colmare tra valutazioni dei governi e percezione dell'opinione pubblica. Anzi, delle
opinioni pubbliche. Le certamente conoscerà la trasmissione radio "Zapping".
"Gli ascoltatori" intervengono sulle questioni politiche e poi degli ospiti
commentano. La sproporzione tra le possibilità di essere autorevoli sui giudizi tra gli
ascoltatori e gli ospiti (generalmente giornalisti o, come dice il conduttore
"esperti di comunicazione") è incommensurabile. Primo perché l'ascoltatore
dev'essere necessariamente conciso (il conduttore interviene ad interrompere "per
ragioni di tempo", o polemicamente a volte impedendo all'ascoltatore di svolgere il
suo ragionamento); l'ospite ha diritto di replica e, comunque, interviene più volte.
L'atteggiamento del conduttore è esplicitamente orientato a "contenere"
l'ascoltatore e a lasciar voce all'ospite. Naturalmente, una trasmissione così congegnata
non può essere condotta diversamente. Dare maggiori spazi agli ascoltatori le sarebbe
fatale dal punto di vista dell'ascolto. Così però si finisce per selezionare gli
ascoltatori tra quelli che intervengono con lo stesso stile per cui in italia "se non
si sa una cosa, anziché impararla la si insegna". Perciò si assiste ad una serie di
interventi in cui chi non è politico dà lezioni di politica, chi non è economista dà
lezioni di economia ecc.
La tentazione di intervenire a Zapping mi è sempre stata frustrata dal fatto che volente
o nolente si finisce a far la figura dell'ignorante saccente. Internet forse rimedia un
pò a questo rischio, ma le confesso che, scrivendoLe, sono pervaso dallo stesso timore.
Rispetto agli addetti, io sono un nessuno. Rispetto all'opinione pubblica, non sono più
di un frammento microscopico. Inoltre (per qeusto ho parlato di "opinioni
pubbliche") sono un frammento nel frammento. Cioé sono un abitante di questa nazione
che col proprio lavoro e impegno contribuisce a riprodurla e - si spera - a migliorarla.
La mia opposizione alla guerra perciò non ha la forza di caratterizzarsi in termini di
ragioni che non siano quelle di un singolo. Gruppi e lobbies tirano fuori argomentazioni
molto sensate, ognuna per loro, ma esse restano profondamente estranee al quotidiano. Lei
si pone la questione del possibile futuro bellico che può attenderci. Io mi chiedo quale
impatto porterà sull'organizzazione della mia esistenza (cioé del mio lavoro, dei miei
affetti, dei miei desideri, di quelli di mia moglie, mio figlio, ei miei amici). Mi chiedo
quale d'evessere la mia "umanità in questo contesto: me la caverò inviando aiuti ai
profighi? Queli gerarchie di sentimenti ed azioni dovrò instaurare d'ora in poi. L'amico
ammalato di un male incurabile passa in secondo piano rispetto all'incertezza che la
guerra stabilisce sui nostri domani? Dovrò comportarmi con mio figlio come insegnerebbe
Benigni ne "La vità é Bella"? Abit in una cittadina sopra la quale, più volte
al giorno passano gli aerei che partono da Aviano. Ci passano obbligatoriamente per
"prendere il giro", quindi a quota tale da disturbare ogni altro suono: voce,
musica, rumore di strada. Devo avere ogni volta la risposta pronta con mio figlio.
Ora la questione mi si pone così: sono stato educato (ne sono felice) a "ripudiare
la guerra". Mi interessa poco che sia nella nostra costituzione, a me è entrato come
semplice e buona regola di vita (e tenga conto che non sono stato uno stinco di santo in
gioventù). Originale, o come direbbero i nostri guru, innovativa rispetto alle
consuetudini bellicose, coltivate anche da noi fino a circa 50 anni fa.
Penso che i nostri cervelli dovrebbero essere esercitati in questa direzione inedita della
risoluzione delle controversie. Si dice che non potevamo più stare con le mani in mano.
Senza che questo venga preso come il "solito discorso", abbiamo sopportato: il
Ruanda, la Bosnia, sopportiamo il Kurdistan, ci siamo lasciati passare le stragi degli
indios dell'ammazzonia, i Kmer rossi e ancora il Chiapas. Cos'è che ci ha così indignato
in Kosovo? E' una domanda, non retorica. Dunque siamo intervenuti (e dico siamo, non sono)
per evitare la pulizia etnica. Oggi il kosovo è vuoto e in tempo record! La sapienza
popolare del nordest dove abito direbbe: "pezo el tacon del buso" (peggio la
toppa del buco che vuole chiudere). La sapienza popolare è però defunta. Perciò non ci
si sofferma più a riflettere. A chi fa osservare che il risultato dell'azione militare
umanitaria è fallimentare si risponde: Milosevic è un criminale, bypassando la
questione. In quel modo si vuole dire che è "colpa sua" comunque. Certo che io
trovo ipocrita questo modo di vedere, perché gioca a scaricare le responsabilità: c'è
quell'antipatico atteggiamento manicheo che in altre occasione viene aspramente criticato
dagli stessi che lo utilizzano a piene mani oggi. Se si scatena una guerra per questioni
di colpe, la faccenda è davvero grave. Se serve a semplificare il discorso si può
accettare, ma se la metafora è spacciata per rzaltà, rischiamo conseguenze imprevedibili
davvero. Sembra che un uomo, un uomo solo, abbia scatenato la reazione di 19 paesi (faccia
lei la moltiplicazione del numero complessivo di abitanti) per la sua "criminalità,
"ferocia" barbarie"; sembra che le vittime siano degli innocenti che
vivevano tranqullamente, senza aspirazioni di qualche genere (il paragone con l'olocausto,
ovviamente, non tiene: nessun ebreo ha mai aspirato a costruire la grande Israele in
Germania). Caro Bosetti, siamo singoli disorientati, ma non bambinetti. Anche perché
quotidianamente sappiamo che per condurre la giornata dobbiamo destreggiarci tra interessi
compositi.
La questione che mi pare emerga è quella della Way of Life occidentale.
Le dico subito che io sono filo americano. Davvero la mia opposizione alla guerra non ha
niente a che fare con l'antiamericanismo. Ed io sono anche filo occidentale. L'america ha
colonizzato i nostri cervelli, ed io sono un colonializzato soddisfatto. Io amo e sono
fatto della cultura americana. Ritengo che il modus vivendi sviluppato in questi 50 anni
di pace abbia delle felici originalità di cui la cultura americana è responsabile per
una buona metà. La questione è come convincere della bontà di questo modello gli altri
popoli della terra. E se ne abbiamo il diritto. Io dico con-vincere, non imporre, non
vincere. Oggi difendiamo gli albanesi del Kosovo, ma TG2 dossier di ieri sera, assime
all'assurdo nazionalismo serba, metteva ben in luce lo speculare nazionalismo kosovaro.
Tra gli intervistati delle due etnie circolano comportamenti uguali: ambedue sono disposti
a morire per la loro patria tirandosi nella tomba gli altri.
Ora: l'America, intesa come USA porterà lì gli interessi occidentali, l'America come
Europa potrebbe portarci i valori di quella che, per usare una definizione a Lei cara, si
definisce "società aperta". Io vorrei vedere, nella costruzione dell'Europa che
andiamo facendo, il superamento delle nazioni e l'obsolescenza dei nazionalismi. Questo
dovremmo dirlo agli albanesi del Kosovo: vi aiutiamo a diventare europei: ci state?. Ma
dovremmo proporlo anche ai serbi. Può essere che tra interessi americani e valori
americani ci sia contrapposizione? Gli interessi hanno bisogno di società chiuse e
prottet(orat)e? Ho sospetto per le terapie d'urto e per quelle che fanno resistenza.
Meglio una strategia frendly. La cosa che temo di più è quella di contribuire a
mantenere come principio formatore di comunità l'odio. Scusandomi per lo spazio rubato,
La saluto cordialmente
Sandro Montagner
xsandro@tin.it
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