Perche' il flop del referendum? L'effetto
Kosovo e una formulazione arzigogolata
Anna Chimenti intervistata da Antonio Carioti
"Il referendum e' una sorta di cavallo imbizzarrito, del tutto
imprevedibile. I cittadini votano direttamente sui temi che vengono loro sottoposti, senza
condizionamenti clientelari o di partito. Manifestano liberamente quella che Leonardo
Sciascia chiamava 'l'ansia di mutare qualcosa'. E spesso le aspettative degli stessi
promotori vengono clamorosamente deluse". A parlare e' Anna Chimenti, ricercatrice di
Diritto costituzionale presso l'Universita' di Roma "La Sapienza". All'argomento
ha dedicato un saggio denso di dati e tabelle, intitolato "Storia dei
referendum" (Laterza), dal quale si ricavano molti esempi di questo tipo.
"Con il referendum sul divorzio" ricorda "la Dc sperava
di riaffermare una forte egemonia cattolica sulla societa' italiana, ma il voto segno'
invece una grande vittoria laica. Nel 1991 Bettino Craxi invito' gli elettori ad andare al
mare, per annullare il referendum sulla preferenza unica, e ottenne l'effetto contrario. I
referendum sulla legge Mammi' del 1995 vennero promossi dagli avversari di Silvio
Berlusconi, per colpirne l'impero televisivo dopo il successo elettorale del Polo, e
invece segnarono la rivincita parziale del Cavaliere, che aveva perso poco prima la guida
del governo. Anch'io del resto, nel mio libro, prevedevo al referendum sulla legge
elettorale, appena fallito, una vittoria scontata del Si'".
Come si spiega il mancato raggiungimento del quorum? E' dovuto alla
situazione contingente o segnala un logoramento dell'istituto referendario in quanto tale?
Non trarrei conclusioni generali da un insuccesso che mi sembra frutto
di due cause specifiche. Innanzitutto la guerra alle porte di casa, che ha avuto un
violento impatto emotivo sull'opinione pubblica, facendo passare in secondo piano le beghe
della politica interna italiana. Quando tutte le sere si assiste alle immagini
terrificanti delle deportazioni e dei bombardamenti, non si ha tanta voglia di occuparsi
di una materia molto tecnica e arida come la legge elettorale. E qui veniamo al secondo
fattore: il quesito proposto era assai complesso, ostico anche per gli addetti ai lavori.
Fra gli stessi costituzionalisti, coloro che si occupano specificamente di leggi
elettorali, come Fulco Lanchester e Augusto Barbera, si contano sulle dita di una mano.
Figuriamoci se possono appassionarsene gli elettori.
Tuttavia in altre occasioni quesiti in materia elettorale hanno
suscitato una forte partecipazione.
Certo, si puo' dire che il voto sulla preferenza unica abbia segnato il
ponte tra la prima e la seconda Repubblica. Ma la situazione era diversa. Il Parlamento
era inerte da molti anni sui temi istituzionali, tanto che lo stesso presidente Francesco
Cossiga, proprio nel 1991, invio' un messaggio alle Camere per sollecitarle ad agire. E si
avvertivano i primi sintomi di Tangentopoli. In quel clima il referendum acquisto' una
valenza antipartito che ne determino' il successo.
Pero' sulle riforme istituzionali da allora non e' cambiato molto.
Anche la Bicamerale ha fatto naufragio.
Questo e' il problema piu' grave. Modificare la legge elettorale,
introducendo il principio maggioritario, non basta, se la struttura istituzionale resta
quella contenuta in una Costituzione pensata per il proporzionale. Tra l'altro, se
leggiamo gli atti dell'Assemblea Costituente, constatiamo che le leggi elettorali erano
state incluse tra le materie non sottoponibili a referendum. Solo un errore di
trascrizione, nel passaggio del testo dalla commissione all'aula, ha reso ammissibili i
quesiti sottoposti agli elettori negli ultimi anni.
Che comunque non si sono dimostrati risolutivi...
Una consultazione referendaria puo' essere utile come stimolo, ma non
puo' sostituire l'intervento delle Camere, che resta comunque necessario, soprattutto in
materia istituzionale. Il referendum abrogativo serve per cancellare delle norme, non per
riscriverle. A questo deve pensare il Parlamento.
Il guaio e' che spesso le indicazioni uscite dal voto dei cittadini
vengono disattese dal legislatore.
Purtroppo alcuni referendum sono stati traditi in modo eclatante. Penso
a quanto e' successo sul finanziamento pubblico dei partiti, sul ministero
dell'Agricoltura, sulla responsabilita' civile dei magistrati. E' vero che il voto
referendario non puo' essere un semplice dettato per legislatore, ma bisognerebbe almeno
rispettarlo. A questo proposito vorrei far notare che il numero eccessivo dei partiti,
oltre 40, di cui si e' parlato nella recente campagna referendaria, non deriva dalla legge
elettorale, ma da quella sul finanziamento pubblico dei partiti, che consente anche a un
solo parlamentare di ottenere somme rilevanti creando dal nulla una forza politica
esistente solo sulla carta.
Torniamo alla questione del quorum. Ormai per far fallire un
referendum si punta sulla scarsa partecipazione al voto, sommando l'astensione fisiologica
a quella politicamente motivata.
E' stata un'invenzione di Craxi. Fino al 1991 le battaglie referendarie
si combattevano tra fautori del Si' e del No. Fu il leader socialista il primo a invitare
la gente a disertare le urne, sperando che l'affluenza ai seggi restasse sotto il 50 per
cento. Pero' Craxi sbaglio' enfatizzando il suo appello. Invece a chi vuol sabotare un
referendum conviene mettere il silenziatore alla discussione sul tema oggetto del quesito.
In Svizzera un referendum e' valido a prescindere dalla percentuale
degli elettori che vi partecipano. Lei sarebbe favorevole all'abolizione del quorum?
No. Credo che la nostra Costituzione preveda un bilanciamento molto
delicato di pesi e contrappesi. Meno si tocca questo equilibrio e meglio e'.
Quindi non condivide nemmeno le proposte di chi, al contrario, vorrebbe
limitare le possibilita' di ricorso al referendum.
Sarebbe un errore, perche' il referendum e' un simbolo della sovranita'
popolare, un importante correttivo di democrazia diretta rispetto al sistema
rappresentativo. Non dimentichiamo che, dopo la Costituente, questo istituto venne tenuto
per 22 anni nel cassetto, senza che venisse approvata la necessaria legge di attuazione,
perche' se ne temevano gli effetti sugli equilibri politici. Per molti versi il referendum
e' uno strumento a due facce, prezioso e pericoloso al tempo stesso, ma innalzare il
numero delle firme necessarie per promuoverlo, o restringerne in altro modo
l'effettuabilita', sarebbe come mettere un bavaglio ai cittadini.
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