Questo articolo è apparso su "il
manifesto" del 28 Marzo 1999
Due milioni di pellegrini provenienti da 100 nazioni si trovano alla
Mecca per il grande pellegrinaggio annuale (hagi) che è iniziato giovedì 25 marzo e
finirà martedì 30. Già da mesi, da Dakar, Chicago, Mindanao, Samarcanda, Surabaia, da
ogni luogo abitato dal miliardo 200 milioni di musulmani (un quinto di tutti gli umani),
agenzie di viaggio e linee aeree offrono prezzi stracciati, forfait per gruppi, sconti per
famiglie. Le banlieues parigine, i ghetti turchi di Dortmund, i suburbi pakistani di
Londra sono tappezzati di annunci del hagi e videocassette. Un sito Internet
(http://islam.org/islamicity/hajj/) diffonde informazioni con calendari e mappe
dell'itinerario del hagi. A scansare ogni equivoco sulla pretesa arcaicità del
pellegrinaggio, c'è un Haji Channel at CyberTv.

Un formidabile apparato logistico fa fronte all'immane invasione (La
Mecca ha 370.000 abitanti). Memori del rogo del 1997 che uccise 347 pellegrini attendati,
quest'anno i sauditi hanno distribuito 30.000 tende ignifuge, in teflon, con estintori e
allarmi. Gli ospedali da campo hanno 5.000 posti letto e uno staff di 10.000 persone. Il
Hagi va dall'8 al 13 del mese Thul-Hijjah, quando l'Islam ricorda il sacrificio di Abramo.
Nel Corano Allah dice ad Abramo: "purifica la Mia Casa per quei che l'aggirano pii,
per i ritti in preghiera, per chi s'inchina e si prostra! E leva fra gli uomini voce
d'invito al pellegrinaggio, sì che vengano a te a piedi, e su cammelli slanciati, che
vengano a te da ogni valico fondo tra i monti".
Per quanto nel corso dei secoli molti europei si siano travestiti per
vedere la Kaaba, per chi non è musulmano è impossibile afferrare il valore del hagi nel
forgiare l'Islam. "Né la presenza di Lourdes in Francia, né quella di Fatima in
Portogallo hanno reso necessaria l'istituzione di un ministero del Pellegrinaggio,
ministero che invece troviamo nell'Arabia saudita e che è fra i più importanti e potenti
di quello stato" (Manfred Kropp), anche se - a dire il vero - a Roma non sarebbe
inopportuno un assessorato al giubileo.Per quanto diffuso infatti, tra i cristiani il
pellegrinaggio è un atto facoltativo, una benemerenza in più per il fedele. Nell'Islam
invece il Hagi è uno dei cinque pilastri (rukn) della fede, dovere, almeno una volta
nella vita, di ogni musulmano cui la salute e i mezzi lo permettano, tanto che una
tradizione attribuisce al Profeta il detto: "Chi muore senza aver compiuto il hagi,
muoia come un ebreo o un cristiano". Sono incolpevoli minorenni, dementi e schiavi.
L'obbligo riguarda anche le donne, ma a patto di essere accompagnate dal marito o da un
membro della famiglia che non può sposare a causa dei legami di sangue. "A rigore il
marito è tenuto a darle la possibilità di compiere almeno una volta nella vita il
pellegrinaggio; ma chiunque conosca un po' la realtà dell'Oriente comprenderà che queste
disposizioni restano per lo più lettera morta, perché ben di rado una donna è in grado
di costringere suo marito a fornirle i mezzi necessari", scriveva nel 1880
l'islamista olandese Christian Snouck Hurgronje ne Il pellegrinangio alla Mecca (Einaudi,
'89): ma da allora la situazione non è cambiata.

Nell'Islam primitivo, La Mecca era alla portata di tutti, dei
"piedi" e dei "cammelli slanciati"; era un grande bazar e "i
pellegrini si finanziavano il viaggio recandovi mercanzie e scambiandole con altre che si
portavano indietro" (Ira Lapidus). Ma quando l'Islam si diffuse per tutto il Maghreb
e poi fino in Cina, India, Indonesia, nelle Filippinee e nell'Africa australe, il hagi
divenne troppo oneroso e arduo per il comune fedele. E il titolo "El Hagi", di
cui era insignito chiunque avesse compiuto il pellegrinaggio, divenne onorifico, come dire
"Il santo". Ma mentre diventava più elitario, il hagi si faceva sempre più
necessario per mantenere coesa l'unità islamica, poiché la lingua originaria del Corano,
un arabo arcaico e intraducibile, diventava sempre più incomprensibile per i fedeli
sparsi per il mondo.
L'antropologo Victor Turner ha scritto pagine magistrali per descrivere
il ruolo del pellegrinaggio nel plasmare le comunità dei credenti. Ma in un Islam ormai
"globale" questo ruolo non sarebbe stato praticabile senza la rivoluzione
industriale dei trasporti. Fu grazie alle navi a vapore (oggi gli aerei) che il hagi
divenne un'"epopea mondiale", come scrive un depliant saudita. Fu grazie ai
vaporetti che i musulmani niegeriani riportarono dalla Mecca le idee dei riformatori e
diffusero l'influenza dei sufi. In uno dei più grandi romanzi coloniali europei, fu
proprio sul Patna, una nave carica di pellegrini asiatici diretti alla Mecca, che conobbe
la sua vergogna un giovane secondo ufficiale a cui più tardi indigeni isolani avrebbero
affibbiato il nome di "Lord Jim".

Oggi leggiamo dei massacri di religione in Indonesia tra musulmani e
cristiani. Ma senza i vaporetti che permisero a tutta la classe dirigente giavanese di
formarsi alla Mecca, l'islamismo indonesiano sarebbe rimasto ben più annacquato:
"Nonostante il suo sincretismo, l'Indonesia ebbe più pellegrini alla Mecca di
qualunque altro Stato musulmano d'oltremare" (Gustave von Gruenenbaum). Nel suo
ultimo viaggio a Giakarta, lo scrittore V. S. Naipaul incontra il leader dell'associazione
islamica moderata, Wahid, che gli racconta: "Era l'inizio della navigazione a vapore
per il Medio Oriente. Era importante per il Hagi: divenne più facile. Fece anche emergere
nuovi ricchi coltivatori musulmani: questa classe di nuovi ricchi poté mandare i propri
figli a studiare alla Mecca. Era una coincidenza, ma spesso la storia è plasmata da
sviluppi non collegati. Così il mio bisnonno poté mandare mio nonno a studiare alla
Mecca alla fine del secolo scorso. Mio nonno arrivò alla Mecca nel 1890 a 21 anni, e ci
restò 5-6 anni...".Non stupisce allora che le autorità olandesi cercassero di
ostacolare questi viaggi, con l'inattesa conseguenza di favorire lo svilupo di Singapore
che divenne il centro di smistamento per i pellegrini di tuto l'Oriente. L'alibi degli
olandesi era la lotta al contagio. La diffusione mondiale del colera nell'800 fu dovuta
infatti al combinato composto delle navi a vapore e dei pellegrinaggi: con i vaporetti il
viaggio durava talmente poco che la malattia non aveva il tempo di completare il suo
decorso (lasciare cioè solo morti o guariti). "Il colera si stabilì alla Mecca nel
1831, nel periodo in cui i musulmani vi si recavano in pellegrinaggio... Da allora fino al
1912, quando il colera scoppiò per l'ultima volta alla Mecca e a Medina, le epidemie di
questa temuta malattia accompagnarono costantemente i pellegrinaggi musulmani, comparendo
non meno di 40 volte tra il 1831 e il 1912" (William McNeil in La peste nella storia,
Einaudi). Hegel morì di colera a Berlino nel 1831: sarebbe una nemesi storica se il
filosofo dello "spirito del mondo" fosse perito per un omaggio ad Allah!
In realtà il hagi non fa niente di più e niente di meno che qualunque
grande migrazione umana. Diffonde virus, costumi, codici genetici. Porta con sé colera,
ma anche idee sovversive. Perciò i sauditi hanno sempre avuto un atteggiamento misto
verso il pellegrinaggio: fieri del loro monopolio, ma esosi con i pellegrini come i
veneziani nei confronti dei saccopelisti e sospettosi verso i "contagi"
intellettuali. Ancora tremano per il grande attacco alla Kaaba del 20 novembre 1979:
quando più di mille fondamentalisti occuparono il massimo luogo sacro della Mecca e vi si
trincerarono: "L'accaduto gettò i dottori della legge in una profonda crisi"
scrive Reinhard Schulze (Il mondo islamico nel XX secolo Feltrinelli). Fra il 1983 e il
1989 i khomeinisti provocarono nuovi scontri, nell'87 con più di un centinaio di morti.
Ancora oggi il hagi è uno strumento politico: quest'anno Iraq e Libia hanno fatto
decollare i loro pellegrini per mostrare che possono violare l'embargo aereo.
Navi, aerei, videocassette, siti Internet: senza il grande apparato
tecnologico sarebbe impossibile il pellegrinaggio alla Mecca, che ogni anno infonde nuova
vita nell'Islam. Ma se si scrutano i particolari, questa tecnoglogia adempie riti
primordiali. Deve essere sì immolato un animale, una pecora di solito (ma una vacca -
oppure un cammello - può valere per sette pellegrini). Però esofago, trachea e carotidi
devono essere resecati insieme invocando il nome di Allah. C'è poi il lancio delle
pietruzze contro un cumulo che si trova a Mina (e le pietre devono essere così piccole da
poter essere tenute tra pollice e indice). Pietruzze saranno lanciate contro altri due
cumuli di Mina anche l'11-esimo giorno, detto "delle teste" e il 12-esimo, detto
"il giorno delle cosce" (dalle parti degli animali sacrificati che si mangiano
in quei giorni). E, infine, c'è il momento più noto: i sette giri intorno alla Kaaba. Ma
forse pochi europei sanno che il cognome del leader più secolare, più laico del
movimento palestinese, è il nome di una delle tre mete più importanti del hagi: il monte
Arafat.