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Attualita'


La doppia vita di Silone

Antonio Carioti

 

 

A oltre vent'anni dalla morte, non c'e' pace per Ignazio Silone. Vistosi titoli di giornale lo definiscono una «spia», suscitando l'incredulita' e l'indignazione di chi lo conobbe. Eppure gli eventi del 1989 hanno segnato per lui un trionfo postumo, convalidandone in pieno la scelta di rompere con il comunismo nel lontano 1931.

Crollato nell'ignominia il sistema sovietico, il socialismo umanitario e democratico dello scrittore marsicano, il cui nome di battesimo era Secondino Tranquilli, non poteva che trovare nuovi estimatori. Perfino tra le file ex comuniste, visto che importanti dirigenti dei Ds vantano la loro dimestichezza giovanile con i romanzi di un autore marchiato a fuoco come «un rinnegato» da Palmiro Togliatti.

Non a caso negli ultimi anni sono state parecchie le iniziative volte a riscoprire la figura e l'opera di Silone. Pensiamo alla ponderosa biografia scritta da Ottorino Gurgo e Francesco De Core, oppure all'antologia della rivista "Tempo Presente" (fondata e diretta dallo stesso Silone con Nicola Chiaromonte) che e' uscita di recente a cura di Tommaso E. Frosini.

 

In tutto questo si e' inserita pero' una nota stonata. La scoperta negli archivi, a partire dal 1996, di una documentazione sempre piu' fitta riguardante l'attivita' di informatore dell'apparato repressivo fascista svolta da Silone durante la sua militanza nel Pci. Dopo una prima relazione di polizia portata alla luce dal professor Dario Biocca, scoperte e rivelazioni si sono via via susseguite, con tanto di lettere autografe dell'allora dirigente comunista, fino a comporre un quadro inequivocabile.

Il punto sulla questione, ancora provvisorio, e' stato fatto in due recenti saggi sulla rivista "Nuova Storia Contemporanea". Il primo, scritto da Biocca, e' stato pubblicato sul numero di maggio-giugno 1998. Il secondo, opera del professor Mauro Canali, si trova nel fascicolo appena uscito.

In sintesi, ecco gli elementi che i due studiosi considerano acquisiti sulla base di fonti molto solide. Sotto lo pseudonimo di "Silvestri", Silone collaboro' per circa un decennio con un funzionario di primo piano della polizia politica, Guido Bellone, passandogli informazioni concernenti il Pci. Il rapporto tra i due non nacque, come si era creduto in un primo momento, per via dell'arresto, nel 1928, del fratello minore di Silone Romolo Tranquilli, anch'egli comunista, che poi mori' in carcere. Anzi quella dolorosa vicenda spinse probabilmente lo scrittore a cessare l'attivita' di confidente, come in effetti fece con una lettera datata 13 aprile 1930.

Anticipate da Dario Fertilio, il 25 gennaio scorso, con un pezzo sul "Corriere della Sera" dal titolo eccessivamente sensazionalistico ("Silone la spia che venne da Fontamara"), le conclusioni di Biocca e Canali non hanno convinto Indro Montanelli. Il 2 febbraio il decano del nostro giornalismo ha esposto sullo stesso "Corriere" le ragioni della sua perplessita', invitando a non fidarsi troppo dei documenti. L'indomani Canali ha replicato con un'intervista a "Repubblica". Poi e' intervenuto il biografo di Silone Ottorino Gurgo, ospitato da Montanelli, venerdi' 5 febbraio, nella sua rubrica di risposte ai lettori.

In realta', di fronte alla mole delle carte venute alla luce, destinata tra l'altro ad aumentare, l'unico argomento dei difensori di Silone si riduce alla loro stima per l'uomo e lo scrittore che hanno conosciuto e amato. Ma proprio qui forse sta la chiave di tutto: l'intellettuale di cui molti serbano legittimamente un affettuoso ricordo non era piu' il giovane dalla doppia vita, militante rivoluzionario e informatore di polizia, di cui ci parlano gli archivi.

Bisogna tener conto che Secondino Tranquilli, nato nel 1900, entro' in contatto con Bellone quando era un ragazzo, nemmeno ventenne, e diede un vigoroso taglio a quel passato, attraversando una lacerante crisi interiore, non appena raggiunta la soglia della piena maturita', proprio nello stesso momento in cui si allontanava da un movimento comunista ormai tiranneggiato da Stalin.

Percio' appaiono poco rilevanti gli attestati di stima per Silone contenuti nei documenti dei servizi americani citati da Ennio Caretto sul "Corriere" del 7 febbraio. Sono rapporti risalenti al 1944 e al 1946: anche in questo caso si parla di un'altra persona, che aveva cominciato una nuova vita da circa un quindicennio.

Forse, piu' che dubitare di prove difficilmente contestabili, bisognerebbe interrogarsi sul tormento di un giovane preso nella morsa tra l'adesione a un'ideologia totalizzante e il legame con un poliziotto di indubbio talento investigativo, che peraltro aveva conosciuto quando il fascismo era ancora di la' da venire.

Insomma, l'"Uscita di sicurezza" di Silone fu doppia, dunque ancor piu' difficile e travagliata di come lo scrittore ce l'ha narrata nel libro omonimo. E certo per rendere conto di una simile vicenda le fredde risultanze degli archivi non bastano. Ci vorrebbe, magari, la penna di Dostoevskij.



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