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Attualita'


La spiegazione/Flessibilità

Dario Di Vico

 


Con questo primo contributo sulla "flessibilita' "Caffe' Europa tenta di spiegare ai suoi lettori alcuni concetti difficili di cui sono piene, quotidianamente, le pagine dei giornali.



E’ proprio vero che flessibilità è solo un sinonimo di licenziamenti? Ad osservare il dibattito corrente di queste settimane sembrerebbe proprio di sì. Un po’ tutti gli interventi, sia quelli decisamente favorevoli sia quelli contrari danno per scontato l’abbinamento. Varrà la pena, quindi, fare un piccolo viaggio a ritroso per cercare di capire come sia successo e quali significati il dibattito accademico abbia via via assegnato alla parola "flessibilità".

Si può tranquillamente dire che in origine I filoni erano già due. Quello forse più conosciuto rimanda ai lavori degli economisti americani Sabel e Piore che attorno ai primi anni Ottanta elaborarono una loro visione della flessibilità come risposta dell’organizzazione industriale alla turbolenza di mercato. Lo scenario è quello del superamento della produzione di massa standardizzata e della ricerca – da parte dell’industria – di adattarsi alla nuova situazione. Sabel e Piore non prendevano direttamente in esame le questioni del lavoro ma sostenevano che una "specializzazione flessibile" avrebbe avuto importanti conseguenze anche sull’organizzazione del lavoro. Saranno poi gli studiosi francesi della régulation – come Aglietta e Boyer – a coniare il termine "post-fordismo" ed ad accentuare il carattere critico nei confronti dell’establishment industriale delle analisi di Sabel e Piore. Tanto da sostenere che la vera risposta al post-fordismo da parte della grande industria dovesse consistere in una sorta di auto-segmentazione che la portasse a rispondere alla variabilità del mercato come tante piccole imprese.

 

Ma accanto a questi lavori eterodossi c’è anche un filone neo-classico. Già alla metà degli anni Settanta come replica al primo shock petrolifero si sviluppa dentro l’Ocse una riflessione sul positive adjustment. In questa versione la flessibilità sorvola sulle trasformazioni strutturali richieste alla grande industria e chiede, in buona sostanza, di lasciar liberi I mercati sia quello delle merci sia il finanziario sia quello del lavoro. La maggiore libertà concessa ai mercati è capace di produrre di per sé l’aggiustamento. In questa accezione è l’establishment che "cattura" la flessibilità, rifiuta rotture al suo interno e nel segno della continuità focalizza l’attenzione sul mercato più rigido, quello del lavoro. E’ abbastanza evidente come questo filone che per comodità chiameremo Ocse sia stato capace di influenzare fortemente il dibattito odierno, contrapponendosi (e oscurandola) alla visione movimentista alla Sabel e Piore.

Il filone della "specializzazione flessibile", infatti, è stato incapace di produrre sviluppi. Si è disperso in tanti sotto-filoni descrittivi. E’ palese la connessione tra le analisi di Sabel e le riflessioni sui distretti industriali avviate da economisti come Becattini. Un’altra filiazione è quella degli studi sul cosiddetto "capitalismo molecolare" dei Bonomi e dei Revelli che hanno scandagliato l’universo delle nuove occupazioni a partire dal "lavoro autonomo di seconda generazione". E non va taciuto come la riflessione di Aglietta, divenuto nel frattempo consigliere del premier Jospin, si sia diretta verso la rivendicazione di forme di allargamento del welfare, come il reddito di cittadinanza.

 

Va, infine, ricordato come in Italia in ambito para-sindacale si sia sviluppata un’indagine all’insegna del "negoziare la flessibilità". In proposito esiste un volume collettaneo del 1986 coordinato da Marino Regini che sostiene come la flessibilità mal si sposi con un comando rigido e che di conseguenza sia difficile da imporre. Chi appoggia queste considerazioni fa notare come il sindacato italiano abbia detto molti "no" ma nei fatti e "nelle maniere giuste" (espressione usata da Aris Accornero) abbia concesso molta flessibilità. Le forme di modularizzazione degli orari sono infinte e anche per quanto riguarda la rigidità del rapporto di lavoro molta acqua è passata sotto I ponti. Si va dal lavoro interinale alle squadre per il week end passando per il part time.



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