"Allarmi siam fascisti": il ritorno di criteri razzisti nella demografia francese
Massimiliano Panarari
La guerra, si sa, nellambito delle ideologie e delle dottrine politiche di una parte delle destra europea novecentesca, ha tradizionalmente rappresentato un "salutare bagno rigeneratore", a cui, per i suoi araldi maggiormente sensibili alle "sirene" malthusiane si aggiungeva lidea che si trattasse, inoltre, di un ineludibile e, anzi, benvenuto meccanismo di riequilibrio e compensazione della popolazione. Ma ora, un conflitto piuttosto "cruento" pare essere esploso in Francia tra gli stessi demografi, avendo come teatro delle operazioni il tempio transalpino della disciplina lIned e come "bottino di guerra" il "riequilibrio" dellinfluenza sulla corporazione dei gruppi "lun contro laltro armati", col rischio, peraltro, di lasciare sul campo parecchi "morti" e "feriti".
In realtà, al di là della inevitabile componente dellaspirazione al regolamento dei conti che serpeggia tra fazioni diverse (non dichiarate ma ben presenti, come recita il jaccuse del principale protagonista della vicenda, il celebre studioso Hervé Le Bras, trascinato addirittura davanti ai giudici dallIned), ad apparire determinante è la dimensione di scontro sulle implicazioni ideologiche della ricerca demografica, aspetto implicante tutta una serie di questioni e nodi problematici, seguendo i quali si giunge allinterrogazione sui fondamenti stessi della disciplina.
Il "casus belli" consiste in una serie di dichiarazioni di Hervé Le Bras, decano degli studi demografici in Francia, a giudizio del quale si assisterebbe ad uno strisciante allinearsi dellIned a posizioni razziste o, comunque, tali da favorire oggettivamente e legittimare lestrema destra, che continua ad essere oggetto di "embargo ideologico" da parte delle coscienze demografiche. Le Bras è una figura assai prestigiosa del mondo intellettuale francese, uno dei numi del pantheon della cultura progressista, già caporedattore per dieci anni (dopo due padri della disciplina quali A. Sauvy e M. Lévy) di Population, la rivista ufficiale dellIstituto, membro di rilievo del suo organigramma interno in qualità di directeur détudes e distaccato da qualche tempo (ma finanziato dal medesimo Ined per quanto riguarda la conduzione delle sue ricerche) presso lÉcole des hautes études en sciences sociales, dove ricopre lincarico di direttore del Laboratoire de démographie historique.
LInstitut national détudes démographiques venne costituito nel 1945 (mediante unordinanza recante le firme congiunte di De Gaulle, Tillon e Pleven) con il compito di indagare ed analizzare le questioni demografiche e di svolgere un ruolo consultivo per gli organi dello Stato in materia di politiche della popolazione. Portandosi, però, dietro anche un "peccato originale", lombra di un "passato che non passa": lIned nacque, infatti, sulle ceneri della Fondation française pour létude des problèmes humains, partorita dal regime collaborazionista di Vichy nel 1941 e diretta dal medico eugenista Alexis Carrel; una "macchia" che, sommata allipoteca di una radice di destra gravante storicamente sugli studi demografici, ha fatto sì che listituto divenisse oggetto di infiltrazioni consistenti e, in taluni suoi settori, finisse per offrire il brodo di coltura ideale per la diffusione di tesi razziste e nazionaliste. Nel suo ultimo volume (Le Démon des origines: démographie et extrême droite, édition de lAube, 1998), successivo ad un altro (Marianne et les lapins, lobsession démographique, Olivier Orban, 1991), già contenente un duro atto di accusa allindirizzo dellIned, Le Bras passa in rassegna le pubblicazioni e la produzione più recente dellistituto per affermare chiaro e tondo che il sancta sanctorum della demografia transalpina farebbe il gioco dellestrema destra. In primo luogo, a causa della presenza tra le file del personale di ricerca di vari studiosi che non fanno mistero delle loro propensioni negli scritti e nelle apparizioni in pubblico.

Il caso più eclatante è quello di Philippe Boursier de Carbon, membro a tutti gli effetti del Front national e "consigliere scientifico" di Jean-Marie Le Pen. A lui si affiancano altre figure che, pur non essendo schierate con i neofascisti, mostrano apertamente la loro collocazione: da Jean-Claude Barreau, presidente del consiglio di amministrazione e nel passato consigliere di Pasqua e Debré, a Jean-Claude Chesnais, direttore di ricerca, a Jean-Claude Casanova, presidente del consiglio scientifico dellistituto, politicamente prossimo a Charles Millon, esponente dellUdf assai favorevole a relazioni di buon vicinato con i lepenisti, fino ad una personalità incarnante perfettamente sotto molti aspetti la marcata inclinazione a destra di certi filoni della demografia. Si tratta di Jacques Dupâquier, vicepresidente del consiglio scientifico dellIned e membro dellAcadémie des Sciences morales et politiques, il quale in suo libro dal titolo alquanto significativo, La France va-t-elle disparaître, preconizza limmigrazione-invasione e taccia di irresponsabilità i sostenitori "pseudoscientifiques" della Francia multiculturale, incapaci di comprendere linassimilabilità degli immigrati che minacciano lancestrale e purissimo ceppo etnico francese. Il suo nome e le sue opinioni sulla necessità di un rigido controllo dellimmigrazione fanno spesso capolino allinterno di riviste quali National Hebdo, Krisis (il giornale di Alain de Benoist, fondatore della Nouvelle droite) e Renaissance catholique, prodotto editoriale della fraternità di monsignor Lefebvre, di cui Dupâquier rappresenta una sorta di beniamino ed è un assiduo frequentatore delle iniziative, dove solitamente agita lo spauracchio dellinvasione della Francia da parte delle barbariche orde di immigrati. Ed è proprio nel corso di un colloquio da lui organizzato sul tema "Morales et politiques de limmigration" (sfoggiante un folto parterre di nomi illustri della scena politica più "destrorsa") che Michèle Tribalat (una specialista delle ricerche sullimmigrazione, esponente anchessa dellistituto) è intervenuta, accendendo la miccia di unulteriore serie di polemiche e venendo additata da Le Bras quale esempio di un uso "irresponsabile" di strumenti euristici che finisce per rifornire di frecce larco dellestrema destra puntato contro la società multietnica.
Una polemica, questultima, tutta interna alla sinistra cui professa la propria appartenenza anche m.me Tribalat che ha indotto le Monde a descrivere la querelle nei termini di una battaglia tra due "versioni forti" della gauche républicaine. Nel realizzare, a partire dallinizio degli anni 90, alcune grandi inchieste statistiche relative allimmigrazione, la studiosa si è prefissa lobiettivo di abbattere il "tabù francese" che restringeva i criteri di analisi "legittimi" per indagare questo fenomeno al campo esclusivo della nazionalità. Si è trovata, così, a riscoprire lethnicité quale categoria giudicata imprescindibile per studiare la popolazione immigrata, focalizzando il proprio lavoro sui due parametri dellorigine ethnique, derivante dal luogo di nascita degli individui e dei loro genitori, e dellappartenance ethnique, definita sulla base della lingua materna dei soggetti; adottando tali discutibili criteri, lautrice della ponderosa Enquête sur les populations dorigine étrangère en France arriva ad introdurre la denominazione di Français de souche (traducibile, grosso modo, come francesi "di ceppo" o "di stirpe") per indicare gli abitanti "naturali" del suolo di Marianne, le "persone nate in Francia da genitori anchessi nati in Francia". Ovvero, una popolazione francese originaria.

Limpiego di elementi di valutazione come questi comporta chiaramente una drastica messa in discussione dell"ideologia francese" e del modello repubblicano che ne costituisce il pilastro primario, in nome del quale, e della concezione dellunità dello Stato-nazione, nulla deve minare unappartenenza alla comunità ed un accesso alla cittadinanza considerati in funzione del solo criterio della condivisione della nazionalità. La République pensa se stessa, nonostante le carenze ed i limiti evidenti, come una macchina per lintegrazione e non può che rifiutare laccettazione di griglie che, seppur pensate per verificare lassimilazione effettiva e, quindi, secondo le affermazioni di Tribalat, per individuare delle soluzioni ai problemi reali, svolgendo un ruolo "progressivo" rischiano di veicolare messaggi di segno ben diverso e di incrinare un paradigma fondamentale per lidentità collettiva, una sorta di religione secolarizzata inventata dalla Francia laica, di cui pure una certa demografia postbellica è una componente rilevante.
Ma, tra le righe di questa veemente polemica, si intravede anche altro e, innanzitutto, una crisi di identità della stessa scienza demografica, oggi obbligata a rideclinare il proprio statuto epistemologico e disciplinare, divisa tra i "démographes-statistiques", decisi a rivendicare una sorta di neutralità della materia e a porre laccento sulla dimensione specificamente tecnico-matematica degli strumenti di analisi ed i "démographes-sciences humaines" (il cui campione si rivela, naturalmente, Hervé Le Bras), secondo cui esiste un problema di ricaduta della modellistica e dei risultati delle ricerche, che impone una forte attenzione alla loro finalizzazione ed alla "politicità" intrinseca della scienza.
Lo scontro sta scuotendo in maniera autentica lopinione pubblica doltralpe e, data la vera posta in palio, la vittoria delluno o dellaltro dei contendenti non può sicuramente lasciare indifferente la cultura di sinistra.
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