Caffe' Europa
 
Attualita'


"Nuovi argomenti"/Giornali: la vittoria del villaggio locale

Andrea Salerno

 

 


«Leggere giusto», è il titolo che offre il nuovo numero di «Nuovi Argomenti», la rivista diretta da Enzo Siciliano, Arnaldo Colasanti, Furio Colombo, Raffaele La Capria e Dacia Maraini. Nella rivista - disponibile in libreria - articoli di Emanuele Trevi, Alfredo Reichlin, Marco Tullio Giordana, Biagio De Giovanni, e una lunga intervista a Vittorio Foa. Caffeeuropa anticipa questa settimana l'articolo di Andrea Salerno sulla lettura dei quotidiani. («Nuovi Argomenti», Leggere giusto, trimestrale, Mondadori Editore, lire 15.000).



SANDRO: Ma lei li legge i giornali, l'ha mai aperto un libro in vita sua? Io non credo. Glielo dico io cos'è l'ultima cosa che ha letto lei: il libretto di istruzioni del suo cellulare!
RUGGERO: Cosa c'entra...
SANDRO: C'entra, invece. Perché sui libri che lei non ha letto, c'è scritto che in questo paese c'è stata una dittatura lunga vent'anni, ha presente?
RUGGERO: Vabbè, che paragoni sono... Ma lei quanti anni ha, scusi?
Quarantatré, quarantacinque?
SANDRO Ne ho fatti quaranta a giugno.
RUGGERO: Io sono del quarantanove. A quei tempi non c'eravamo nessuno dei due. Perché si scalda tanto? Io ho capito com'è lei: è uno di quelli che ha letto tanti libri ma che è infelice, perché non ha capito nulla della vita e difatti non se la sa godere. Io di libri ne ho letti pochi, è vero. Ma ho lavorato tanto e ho avuto le mie soddisfazioni. Due negozi, mi sono costruito casa, ho una famiglia unita, insomma sono contento: non mi sento certo inferiore a nessuno, e tanto meno a lei!
(Dialogo dal film, Ferie d'Agosto, di Paolo Virzì)


***

DRUGO: Come va il mercato culi - tette?
TREEHORN: Ah, non ne ho idea. Io mi occupo di editoria, spettacolo, appoggi politici. Le nuove tecnologie ci permettono di fare cose entusiasmanti nel campo del software erotico interattivo. Avanguardia del futuro. Cento… per cento… elettronico.
DRUGO: Beh, io mi faccio ancora le seghe a mano.
(Dialogo dal film, The Big Lebowsky, dei Fratelli Coen)


Una piccola comunità
Coraggio. Porsi il problema di "come" si leggono i giornali è già un bel passo avanti. Vuol dire che ci si è lasciati alle spalle, almeno per l'occasione, il dilemma più scabroso e serio da sollecitare nel nostro Paese quando si pensa alla libera stampa: perché i nostri fogli nazionali non se li compra nessuno? Perché soltanto cinque-sei milioni di persone praticano tutte le mattine la preghiera laica per eccellenza? Se per Fruttero e Lucentini la risposta sta nel fatto che «gli italiani hanno il dramma di sentirsi ignoranti e quindi nessuno vuol sapere fino a che punto esattamente è ignorante», è vero che a guardare dati di vendita e statistiche torna in mente Luigi Pintor quando scrive che «l'Italia, in bilico fra l'Europa e il Terzo Mondo, è sempre incerta se scalare le Alpi o tuffarsi nel Mediterraneo». Tanto per citare, e concludere poi qui l'elenco delle maggiori dissertazioni sui nostri malanni «quotidiani», è lecito ricordare che «quello italiano è da sempre un modello informativo interventista, schierato, partigiano, integrato nei meccanismi del potere, con un tasso bassissimo di autonomia, e una scarsa sensibilità all'esigenza di una tutela della credibilità collettiva degli operatori». (Rodolfo Brancoli, Check-up del giornalismo italiano); e che «il continuo infarcimento dei giornali con supplementi e regali di vario genere, sia perché è una droga di nessun aiuto alla diffusione sia perché è umiliante nei confronti dei giornalisti e dei lettori, è diventata un'iniziativa insostenibile» (Carlo De Benedetti, Ansa). E si può buttare lì anche l'antidoto più sponsorizzato negli ultimi convegni e tavole rotonde: ci salverà la globalizzazione e il giornale elettronico. Sì quello che avrà un supporto come la carta ma non sarà di carta, che si pagherà come i giornali di adesso ma non si sa con cosa. Noi, invece, intanto partiamo dalla lettura e chissà che non ci venga qualche altra risposta a qualche altro perché.


Giorno che vai, giornale che trovi
Tanto per segnare delle date, il panorama editoriale di riferimento con il quale il lettore si trova a fare i conti è mutato profondamente negli ultimi tre anni. Il 1995 può essere ricordato - occupiamoci anche dell'infraordinario - anche per l'invasione inarrestabile di promozioni, e gadget, dizionari e cassette, cd e librettini, allegati con dispendi economici senza rientro ai maggiori quotidiani e settimanali italiani. Una corsa che aveva (ed ha tutt'ora) come scopo principale più che la conquista di nuovi potenziali lettori, quello di strangolare la concorrenza più debole. Insomma l'equazione da invertire diventa allora - e oggi non è cambiata - la seguente: invece che «molti giornali (in Italia 94 compresi gli sportivi) per pochi lettori», «pochi giornali per molti lettori». Così «Repubblica» regalava un'enciclopedia a puntate e univa al suo supplemento del «Venerdì» una collezione di cassette di film (il gadget del gadget); il «Corriere della Sera» seguiva a ruota e dispensava fascicoli di dizionario. L'«Unità» continuava a battere cassette e ad allegare al giornale grandi film americani e i libretti su registi e autori; anche il «Manifesto», pur in regime di cassa integrazione, sfornava libretti. La «Stampa» lanciava il suo magazine, mentre il «Messaggero» di Roma mandava in edicola tutti i giovedì un supplemento cittadino. Risultato: prezzi di copertina variabili e strampalati e edicolanti che vedono aumentare in un solo autunno lavoro, potere contrattuale e incassi.
Per tornare al discorso di partenza, tutto questo, dal punto di vista del lettore, a volte è una manna, a volte una tragedia. La giornata del venerdì, ad esempio - anche trascurando l'uscita di settimanali di scarso successo - è la giornata dedicata alla palestra. Infatti, il peso della "mazzetta" media, compresi «Panorama», «Espresso» e «Venerdì di Repubblica», supera i due chili. Il tempo di lettura diventa talmente «importante» che manda in secondo piano i contenuti. Nessuno si lamenta più degli articoli che possono essere tranquillamente ignorati, sarà solo una fatica in meno e tempo prezioso guadagnato. Fioriscono quindi le rubriche con foto, più semplici da scrivere (prescindono dalle notizie) e più semplici da leggere. La differenza tra una pagina e l'altra è che in una c'è la festa a casa di Tizio Politico (dove si decidono le riforme istituzionali) in cui - scoop - lei è in compagnia di un lui che non è lui, e in un'altra l'orologio da regalare a Natale al noto presentatore tv. Sembra che si faccia di tutto per dar ragione a Georges Perec quando scriveva, a proposito di giornali: «Dietro a un avvenimento ci dev'essere uno scandalo, un'incrinatura, un pericolo, come se la vita dovesse rivelarsi soltanto attraverso lo spettacolare, come se l'esemplare, il significativo, fosse sempre anormale... Nella precipitazione che abbiamo di misurare lo storico, il significativo, il rivelatore, non dimentichiamo però l'essenziale: ciò che è davvero intollerabile, veramente inammissibile: lo scandalo non è il grisou, è il lavoro nelle miniere. Il malcontento sociale non è preoccupante durante lo sciopero, è intollerabile ventiquattr'ore su ventiquattro» (George Perec, postumo 1989). In questo caos d'offerta, è estremamente difficile orientare il potenziale lettore. L'unica facilitazione viene dal fatto che dovendo necessariamente occuparci di già-lettori (i lettori nuovi non esistono e se esistono non leggerebbero certo, per prima cosa, una rivista come questa) possiamo tracciare una sorta di tipologia della lettura media in una giornata media.


Lettura tradizionale (o lettura di Candide)
«La formula del neo-giornalismo? E' quella che ho raccolto da un collega che si occupa di politica per un grande quotidiano nazionale: una voce finché non c'è smentita è notizia», Paolo Murialdi, Reset.

La lettura tradizionale è molto semplice: si inizia dalla prima pagina e, pian pianino, si arriva fino all'ultima (in genere saltando lo sport). Sembra banale, ma attenzione: si può praticare con facilità soltanto se residenti all'estero, in campagna senza televisione, in ospedale senza radio e tv. Perché? Perché è la lettura lenta che «crede» in quel che è scritto sul giornale senza dubbi, ma che, soprattutto, esalta ancora la funzione di medium del quotidiano, rallentando e respingendo la velocità famelica e onnivora del circuito mediatico. Infatti, a restare «nel mondo», ci si accorgerebbe che la notizia che apre la pagina della nostra gazzetta (o addirittura la sua smentita) è stata già annunciata - mentre la stiamo leggendo - dalla radio alle ore 8, dalla televisione nei tanti tg del mattino, è scritta sul teletext e troneggia, per i più tecnologici, su qualche decina di pagine Web su Internet. Notizie o smentite, oltretutto, che il più delle volte saranno fonte del titolo principale da leggere il giorno dopo sul giornale concorrente di quello che ora vi trovate felici tra le mani. Per non parlare del resto delle pagine. Nella maggior parte dei casi contengono, o commenti alla serata televisiva precedente o notizie già assimilate dal bombardamento di tutti i media non cartacei. Unica eccezione, i commenti. Ebbene sì, su tutto, troneggiano e si salvano i commenti. Unica vera differenza conclamata tra un giornale e l'altro. In fondo anche chiedere solo consiglio è, in pratica, già una scelta (se chiedi ad un prete circa un divorzio...). Così prendere un giornale piuttosto che un altro è già un passo avanti verso la selezione. Ma la scelta, ormai, è legata, appunto, quasi soltanto alla penna dei commentatori. Il resto, le notizie, sono, troppo spesso, uguali per tutti o incomprensibili nella loro differenza. Racconta il sociologo francese Pierre Bourdieu: «Nella logica di un settore orientato verso la produzione di un bene deperibile come le notizie, la concorrenza per acquisire fette di mercato tende ad assumere la forma di una concorrenza per acquisire la priorità, vale a dire per avere "notizie più notizie" (il cosiddetto scoop), e ciò è tanto più vero, evidentemente, quanto più si è vicini al polo commerciale. Il vincolo del mercato si esercita solo attraverso l'intermediazione dell'effetto di settore: in effetti, molti di questi scoop, ricercati e apprezzati come fossero carte vincenti nella conquista dei clienti, sono destinati a rimanere sconosciuti ai lettori o agli spettatori e ad essere evidenziati solo dai concorrenti, in quanto i giornalisti sono gli unici a leggere tutti i giornali...».



Lettura obliqua (o da salotto)
«Che la società contemporanea sia una società dello spettacolo, è un fatto assodato. Presto si noteranno solo quelli che non si fanno notare. Non si contano più le opere che descrivono un fenomeno che sta caratterizzando tutte le nazioni industriali, senza risparmiare i Paesi in ritardo rispetto al loro tempo. Il buffo, però, è che i libri che analizzano, generalmente per deplorarlo, questo fenomeno, devono a loro volta adeguarsi allo spettacolo per farsi conoscere». Le Monde, 19 settembre 1987).

Esempio di conversazione:
A: «Hai letto cos'ha scritto di Caio, Pago Cameriere?
B: Mmhm...
A: Dopo avere attaccato te, ora se la prende con il mio amico Pluto. Tu che lo ami tanto...
B: Mmhm...
A: Ora, se scrivi che Pago Cameriere sbaglia, mi dai la possibilità di scatenarmi. Potrò finalmente riprendere quella polemica che ti sta a cuore. A proposito, quand'è che sul tuo giornale pubblicate la recensione al mio ultimo libro, sai questa volta ho scritto un romanzo...».

Si chiamano «rimandi d'ascensore» (vedi Pierre Bourdieu). Io dico bene di te o ti difendo da qualcuno, tu dirai bene di me, mi inviterai ad un dibattito: assieme ci tireremo la volata di carta e vanità. Oltre che a cena, nasce così la manna quotidiana per gli amanti della Lettura obliqua. Stiamo parlando di un gruppo sicuramente minoritario, ma influente, nella schiera dei lettori dei quotidiani - giornalisti, politici, uomini di cultura e televisione, insomma il nostro Villaggio locale. E' vero però che con il passare del tempo (e la diminuzione delle copie vendute) questo insolito campione rischia di coincidere perfettamente con l'universo dei lettori (insomma, ce la si suona e ce la si canta). Colpa dei direttori? dei giornalisti, dello «spettacolo»? Diciamo che le colpe sono di tutti (e anche, quindi, di chi scrive). Comunque sia, la Lettura obliqua è l'esatto opposto della precedente, è valida soltanto se praticata in città (preferibilmente zona centro), se si guarda mediamente la tv, se si va al cinema, se si legge qualche costola di libro o, ebbene si, se si partecipa a qualche cena «giusta». Fa salotto anche parlarne male, ma è, indubitabilmente la più amata dai giornalisti. Le modalità sono facili da imparare. 1) Leggere con attenzione tutte le rubriche e dal titolo hard: «Su e giù», «Sopra e sotto», «Chi sale e chi pepe», «Chi massa e chi media», «Preservato», «Privé». 2) Passare in rassegna la pagina delle lettere e delle smentite tutte le mattine, assieme ai necrologi. 3) Conservare le classifiche dei libri e dell'Auditel. 4) Sorvolare su tutto il resto - «tanto le notizie le sappiamo lo stesso» - e concentrarsi soltanto sugli articoli di fondo, utilissimi da citare e, peraltro, unico comun denominatore con la Lettura tradizionale . E' evidente, poi, che la Lettura obliqua si può praticare a diversi livelli. Con il livello basic, limitandosi a leggere tra le righe delle rubriche o degli articoli più sfiziosi, si può sapere cosa si pensa in una tal redazione oppure in un tal salottino. Ma con la versione de luxe-campioni, applicata ai discorsi politici e ai grandi commenti, si può invece controllare addirittura la politica estera di un Paese: Ocalan chi?

Lettura rovesciata
(ovvero lettura estiva, coerente, o dello sportivo)
«Non c'è stampa al mondo, fatto salvo per l'Italia, dove le notizie televisive finiscano in prima pagina. Sfogliando un numero domenicale del "New York Times" ho trovato articoli e notizie sulla televisione soltanto a pagina 32 del supplemento su arti e spettacolo». Umberto Eco, Giornali in trappola, 1995.

Coerente con Eco e con se stesso, chi pratica la Lettura rovesciata inizia dalla fine. Così, passate le novità dei cinema, affronta stoico sport e pagina locale e risolve lì il suo bisogno di tabloid. E' un modello di lettore sano, che non ha fretta. Un lettore che potrà quindi compiacersi anche di un solo articolo ben fatto che troverà all'indietro. Come dire: dopo quello che ha visto, qualsiasi cosa si troverà poi tra le mani e sotto gli occhi - un saggio sulla morte dell'artista di Valeria Marini o un'intervista a Gadamer su Carramba che sorpresa - avrà il sapore della «Frankfurter Allgemaine». E' il lettore che usa il giornale di oggi per quello che serve oggi, un massimo di servizio (a che ora è la partita? gioca Ronaldo? dove fanno l'ultimo film di Bertolucci?) e un minimo di notizia (Bertinotti difende la scelta del parlamento curdo in Italia; Contro Fausto l'ira di Cossutta. Diliberto costretto a mediare?).

Proposta di lettura
«E' la stampa, bellezza». Humphrey Bogart, dal film L'ultima minaccia E' sempre più difficile, se non impossibile, valutare quanto, realmente, i gusti dei lettori possano influenzare la linea politco-editoriale di un grande quotidiano. A loro, quindi, non possiamo dar consigli. E' vero anche che sono sempre gli stessi e, visto il livello delle nascite nel Paese, destinati ad invecchiare. I non-lettori, invece, sono come il popolo dei non-votanti, sempre più numerosi sarebbero in grado di cambiare tutto, ma poi non cambiano nulla. Il rischio vero - a questo punto - è che la fabbrica chiuda per mancanza di acquirenti (la manodopera invece abbonda). Ecco perché a cambiare le cose non possono essere che i giornalisti. A chi sta a cuore la vita dei fogli quotidiani dovrebbe scattare automatica oltre che la riflessione, la voglia di provare strade nuove. Il tempo stringe. Luigi Pintor descrive nel suo ultimo libro «La signora Kirghessner» l'avventura editoriale del «Manifesto» e la sua nascita nel 1971. In poche righe riassume amore, speranze e delusione; a lui il compito di chiudere a noi quello di leggere: «Non ricordo nessun trauma infantile connesso alla carta stampata. Mi attiravano le edicole e le vetrine dei tabacchini con i giornali illustrati ma preferivo il cinematografo. Non fu dunque per impulso maniacale che dopo aver passato diciannove anni in un giornale decisi di passarne venticinque in un altro... forse credevo alla libertà in una sola tipografia... forse offrivo un'arma meno cruenta di quelle che andranno presto di moda... Mi sbagliavo come sempre... Giocando nella stiva con l'equipaggio per novemila sere consecutive ho perso tutto il patrimonio di eloquenza accumulato negli anni, come l'inetto capitano spagnolo del San Dominick che finì prigioniero di se stesso».


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