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Linus Torvalds, l'anti-Gates

Giancarlo Mola

 

 

“Sono solo un buon programmatore”. Sarà pure falsa modestia, ma Linus Torvalds ama definirsi così. Quasi non gli importi di essere considerato in ogni angolo del pianeta come il guru del “free software”, quella branca del sapere dove informatica e anarchia finiscono per incontrarsi. Quasi non si voglia rendere conto di essere, a 29 anni, il vero, unico e credibile anti-Gates. Eppure, a guardarli in faccia, i due hanno una somiglianza che colpisce. William Gates III, l’uomo più ricco del mondo, il padre padrone di Microsoft, ha capelli chiari, tiene il ciuffo da discolo adagiato sulla fronte e porta occhiali spessi da miope. Linus Benedict Torvalds, squattrinato ma amorevole genitore di Linux, pure. Il ragazzo di Redmond e quello di Helsinki fanno anche lo stesso lavoro: realizzano sistemi operativi per personal computer. C’è però una cosa che li divide, e non è cosa da poco: la passione per il denaro. A quindici anni Bill Gates svelò il suo istinto per gli affari fondando, con l’amico Paul Allen, la Traf-O-Data, una società che realizzava software per lo studio dei flussi di traffico, da cui più tardi sarebbe germinata Microsoft. A dodici anni Linus Torvalds ebbe in regalo dal nonno Leo Toerngvist, professore di statistica all’università di Helsinki, un Commodore Vic-20. Ci si gettò su con gran voga. E dopo un paio di giorni sfornò il suo primo programmino in basic: che faceva scorrere all’infinito, sul televisore utilizzato come monitor, la scritta “Sara è la più bella”, dedicata alla sorellina minore. Subito dopo, appreso a tempo di record il linguaggio macchina, si cimentò nella realizzazione di un semplice videogame: un sottomarino che doveva navigare sotto un mare in burrasca evitando gli enormi pesci che gli venivano incontro. Duplicò il gioco su tante audiocassette e le regalò ai suoi compagni di scuola. Mai adolescenze sono state più profetiche.


Ma a Linus dei soldi sembra davvero importare poco. “In Finlandia - va ripetendo in giro – il peso di una persona non lo misuriamo in dollari”. Conta probabilmente più il riconoscimento degli altri. E questo davvero non gli manca. Torvalds è infatti il creatore di Linux, il sistema operativo che in quanto a prestazioni ed efficacia riesce a competere con le più sofisticate versioni di Windows di Microsoft. Con una differenza: che è completamente gratuito. Linux infatti può essere liberamente scaricato da una miriade di siti Internet o duplicato e distribuito in ogni altra forma. Impossibile sapere con precisione quanti sono i suoi utenti. Si calcola però che la sua diffusione sia cresciuta del 212 per cento tra il ’97 e il ’98. Tra i suoi affezionati si sa che, negli Stati Uniti, ci sono la National Aeronautics and Space Administration, l’Oak Ridge National Laboratory, e centinaia di gestori Web server. Il sistema operativo sarà presto offerto sui computer Hewlett-Packard, e nella seconda metà del Duemila su Linux gireranno i nuovi microprocessori che la HP sta realizzando in collaborazione con Intel.

Linux però non è semplicemente un sistema operativo gratuito. È soprattutto una “open source”, vale a dire una specie di risorsa comune. Chiunque può cioè metterci le mani sopra, cambiarlo, perfezionarlo. E perfino commercializzarlo. A una condizione: di lasciare a tutti gli altri la possibilità di intervenire a loro volta con le loro modifiche. “Linux e la comunità del free software possono essere immaginati come una vera meritocrazia”, ha detto Marc Ewing, l’uomo che nel 1994 ha fondato Red Hat Software, la più nota e potente società di distribuzione del sistema operativo ideato da Linus Torvalds. Il cui imprimatur sulla sua creatura è rimasto indiscusso. È lui in fin dei conti a licenziare di volta in volta le nuove versioni del prodotto. È lui, con il suo carisma, a mettere ordine in un corpo collettivo tendenzialmente anarchico. “La comunità di Linux – spiega Peter Anvin, suo amico e collega – è stata descritta come una benevolente dittatura. Sarà, ma non funzionerebbe se il popolo non amasse il suo dittatore”.

Che Linus fosse un tipo bizzarro ma determinato, d’altronde, se ne erano accorti subito a casa Torvalds. “Una volta – ha raccontato suo padre Nils – disse di non voler più mangiare dolci. Gli promisi cento marchi finlandesi se fosse riuscito a trattenersi per un anno. Ce la fece, ma il giorno dopo prese i soldi e li spese tutti in un colpo solo. In dolci”. Ma la passione per le torte è stata presto soppiantata da quella per i computer. Che sono diventati la sua ragione di vita. Se le compagne di scuola si facevano avanti con la scusa di chiedergli “lezioni private di matematica”, lui le ignorava. Così come cadevano nel vuoto tutti i tentativi del padre di trasmettergli la passione per il basket. Preferiva starsene sul suo Commodore Vic-20 a programmare giochini, o a sperimentare le prime connessioni via modem. Fino al giorno dell’incontro decisivo. Quello con Unix. Che era il sistema operativo studiato sul finire dei Sessanta nei laboratori della AT&T, e sviluppato da un gruppo di mitici hackers di Berkeley e del Massachusetts Institute of Technology, tra cui Ken Thompson, Dennis Ritchie e Bill Joy. Il ragazzo della periferia di Helsinki cominciò a seguire le lezioni su Unix nel 1990, quando era iscritto alla facoltà di Informatica della sua università. All’inizio fu un grande amore. Poi Linus si rese conto che Unix aveva due problemi fondamentali. In primo luogo era diventato ormai un sistema operativo esclusivamente commerciale, e questo cozzava con lo spirito ribelle che lui da sempre aveva dimostrato. Ma soprattutto costava troppo: 5.000 dollari il software, 10.000 le macchine su cui girava.


Bisognava creare quindi un dialetto di Unix in grado di funzionare anche sui computer domestici, come il 386 che proprio in quei mesi Linus aveva comprato. Il giovane studente si barricò allora nella sua stanzetta. Nei primi mesi del ’91 aveva già elaborato il kernel, il cuore, del nuovo sistema operativo. Decise di metterlo a disposizione dei colleghi di università, per vedere cosa ne pensavano. Lo depositò allora nel server Ftp dell’ateneo della capitale finlandese. Doveva dargli un nome. Pensò a Freax, che era la contrazione di tre parole per lui molto importanti, Free, Freak e Unix. Ma ad Ari Lemmke, gestore del server, il nome non piacque proprio. La scelta cadde quindi su Linux, che era il suo nomignolo sul lavoro. Era l’estate del ’91. A gennaio del ’92 Linux girava sui personal computer di cento persone. Che però cominciarono a tempestare Linus di e-mail, raccontandogli le loro impressioni e sottoponendogli le loro idee per migliorarlo. Torvalds decise allora di affiliare la sua creatura allo standard “copyleft” (sarcastica parodia del copyright) della Free Software Foundation. Si trattava di un sistema basato sulla General public license, il meccanismo cioè che permetteva a chiunque di migliorare il prodotto, beneficiando del lavoro altrui e mettendo a disposizione degli altri il proprio. Da allora il cammino di Linux diventò una vera e propria marcia trionfale.

E Linus? Ha continuato incessantemente a lavorare al suo sistema operativo. Campando nel frattempo con l’assegno che gli passava l’università di Helsinki per un dottorato di ricerca. Fino al febbraio del 1996. Quando ha consegnato la sua tesi conclusiva (su Linux, ovviamente). Il ragazzo era ormai diventato adulto, l’università finlandese non aveva più borse di studio da offrirgli. Come nella più classica delle storie di provincia, l’epilogo poteva essere uno solo: l’emigrazione. Linus ha allora deciso di partire armi e bagagli per gli States. Non per diventare manager di una delle ormai potenti società di distribuzione di Linux. Né per prendere la cattedra in una prestigiosa università. Ma per andare a lavorare come programmatore di una sconosciuta società di software di Santa Clara in California: la Transmeta. Dove non si sa bene a che tipo di progetti sia impegnato. Quel che è certo è solo che non si tratta di Linux, a cui continua a dedicarsi solo nel tempo libero. Ma anche il suo trasferimento ha avuto un che di follemente romanzesco. Linus e la moglie Tove hanno infatti voluto aspettare, prima di mettersi in aereo, la nascita della prima figlia Patricia Miranda. “La gente pensa che siamo stati pazzi a non farla nascere negli Stati Uniti”, ricorda adesso Linus, che ha nel frattempo avuto un’altra erede, Daniela. “Ma per noi non c’è mai stata discussione: gli ospedali in Finlandia, sono decisamente migliori”.

Link

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