Scalfari, Vassalli e altre fole di fine anno Guido Martinotti
Come sempre, le vacanze di fine anno hanno offerto l'occasione per riflessioni sullo stato delle cose, ma quest'anno i commentatori si sono sbizzarriti anche più del solito, grazie all'occasione offerta dall'entrata in vigore della moneta unica europea. Così si sono potute leggere, oltre a molte cose interessanti, anche varie amenità, tra le quali ha sicuramente dominato il motivo conduttore che l'Europa è senza cuore, perchè "si è partiti dalla moneta". Frase che confonde gravemente il lettore perchè l'adozione dell'Euro, lungi dall'essere una partenza, è semmai una tappa di arrivo preceduta da lunghi anni di preparazione. Forse andrebbe anche detto che il sacrificio di interessi a breve termine per vantaggi futuri è uno degli atti più coraggiosi che una collettività possa fare. Atto che non può essere realizzato senza il profondo radicamento di una idea nelle coscienze individuali o, se proprio si deve usare l'espressione canzonettistica, nel cuore di milioni di persone.
Questa generale fiducia costituisce una esperienza di massa che, indipendentemente dagli esiti dell'Unione - che non stanno scritti da nessuna parte, ma saranno il risultato di sempre più difficili scelte a venire- rappresenta un dato storico tra i più rilevanti di un secolo che non è certo stato povero di entusiasmi collettivi. E questo dato di fatto viene ampiamente dimostrato dalle ricerche europee, tra le quali la monumentale indagine della European Science Foundation in cinque volumi su Beliefs in Government. E' evidente che la cultura giornalistica italiana non riesce ad apprezzare il clima di relativamente sobrio entusiasmo che ha circondato questo significativo risultato dell'Unione Europea. Sobrietà di cui dobbiamo invece essere particolarmente grati a quegli uomini politici che l'hanno realizzata e che, con grande senso di responsabilità, proprio in questi giorni non mancano di sottolinearne, oltre ai vantaggi, anche i pericoli. Gran parte dei commentatori sembra essere rimasta con l'amaro in bocca perchè l'Euro non ha prodotto un bel coro verdiano di "partiam, partiam" e neppure una canzonetta come "Faccetta nera" o "Tripoli bel suol d'amore". E così si è inventata la formuletta meruliana del "senza cuore".
Ma quale societa' senza padre? Per piacere...
Tuttavia per lo scarto tra l'autorevolezza degli autori e la genericità dei contenuti, mi hanno sopratutto colpito due editoriali, uno di Eugenio Scalfari e uno di Sebastiano Vassalli, in cui si trovano affermazioni che lasciano allibiti. Che Eugenio Scalfari cominci un articolo ("Il padre che manca alla nostra società", La Repubblica, 27 Dicembre 1998) scrivendo, all'alba del xxi secolo, "Qualcuno s'incomincia ad accorgere che è venuta meno la figura del padre…" non può che essere attribuito a quell'autismo tipico di molti intellettuali, più frequente invero nella tradizione continentale che in quella anglosassone, che scambiano una buona idea per una idea originale. E' appena il caso di dire, in proposito, che il tema dei cambiamenti nella struttura e nelle funzioni della famiglia e delle relazioni tra queste e il sistema di potere, è uno dei temi centrali della ricerca scientifica sulla società contemporanea. Dai tempi, almeno, della fondamentale indagine di Horkheimer e Adorno, Studien ber Autoritt und Familie, i cui risultati i due autori dell' istituto francofortese pubblicarono parzialmente, se ricordo bene, a Parigi nel 1936, in fuga verso New York, dove le idee della ricerca servirono di base, oltre che all'esperimento tuttora vitale della New School for Social Research, anche per la grande indagine del dopoguerra sulla personalità autoritaria.
"La gerarchia familiare - scrive ancora Scalfari - aveva il compito di trasmettere l'identità, la memoria storica e il sapere orale. Ebbene questo mondo è affondato: ma poichè la natura non sopporta il vuoto, al posto del padre, della madre, dei fratelli, si è insediata la cultura del branco". Ora, a parte lo stile ridondante e l'uso di termini puramente evocativi come "branco", questa affermazione non fa che riprendere la teoria di David Riesman sull'emergere della personalità "eterodiretta", esposta in un libro, dal titolo La folla solitaria, tradotto in italiano più di quarant'anni fa. "La società attuale non è in grado di sostituire in modo soddisfacente l'azione economica ed educativa del padre". La frase potrebbe essere tolta pari pari dall'articolo di Scalfari nel 1999, ma è di Adorno e Horkeheimer nel 1956 (Volume IV dei Frankfurter Beitraege fr Soziologie tradotto in italiano per Einaudi con il titolo Lezioni di sociologia nel 1966, p.159).
Più di recente Emmanuel Todd che, non dimentichiamolo, è stato uno dei pochi autori ad aver previsto con lucidità il crollo del sistema sovietico molti anni prima che si verificasse, ha avanzato una teoria interessante, anche se molto contestata, sui rapporti tra tipo di famiglia e diffusione del comunismo. L'elenco potrebbe continuare a lungo perchè è stato trattato da alcuni dei principali pensatori sociali del nostro secolo e in testi fondamentali per la comprensione del mondo contemporaneo.
Ma anche prescindendo dalla conoscenza di questi testi mi domando come sia possibile che chi si interroga, come fa Scalfari, sui destini della nostra civiltà possa esprimere tanto rammarico per la scomparsa della "gerarchia familiare" (in cima alla quale stava il padre) senza essere sfiorato da qualche dubbio sugli esiti sociali, politici e morali complessivi delle società europee nella prima metà di questo secolo, certamente dominate dalla figura paterna molto più di quelle della seconda metà. Se i vantaggi di una forte figura paterna sono quelli che si sono visti sulla Somme o nelle belle smargiassate di spezzare le reni alla Grecia, forse non è una grande perdita. E che dire di società tipicamente improntate al principio dell'autorità del padre, come quella in cui vivono un Saddam Hussein, uno Slobodan Milosevic o i buoni padri algerini del GIA (o del loro governo, quanto a questo) oppure ancora di tutte quelle rette da militari come quelli del buon papà Pinochet?
Attenti alle idee innate, meglio leggere.
Sebastiano Vassalli ("Quegli inni che suonano fuori tempo", Corriere della Sera, Lunedì 4 Gennaio 1999) scrive a decise pennellate, "Credo che ciò che accade in Europa in questi giorni rappresenti la definitiva disfatta del pensiero di Karl Marx: l'economista che esortava i poveri a unirsi (quando è noto che i poveri, tanto più son poveri e tanto più si odiano)…" A parte la meschinità retorica di chiamare Marx "economista", se è vero che oggi sparare su Marx è più facile che fare la mosca cocchiera, un minimo, minimissimo rispetto per i testi scritti, una persona colta lo dovrebbe avere. Marx non ha mai sostenuto che a unirsi dovessero essere i poveri, perchè parlava ai lavoratori, anzi a un particolare tipo di lavoratori nato con l'industrializzazione, il proletariato urbano. Marx aveva elaborato una sua teoria sulla formazione delle classi nel capitalismo, basata sulla attenta e acuta osservazione di quanto stava avvenendo nella divisione del lavoro industriale. Tra le tante parti della filosofia marxiana che si sono rivelate fallaci nella loro versione originale o nella vulgata posteriore, non rientrno quelle sulla formazione delle classi nella società industriale. Se Sebastiano Vassalli vive in una società moderatamente equa, con istituzioni sociali civili, come tutti noi, lo deve in larga misura a questa originaria intuizione di Marx, che in Europa ha dato luogo al più significativo aggregato di organizzazioni politiche e sociali degli ultimi due secoli. Si potrà criticare tutto quel che si vuole della tradizione socialista europea, ma non è contestabile il fatto storico che proprio sulla capacità del movimento operaio di organizzarsi e di tradurre in fatti istituzionali la protesta e il disagio, poggiano i partiti politici da cui derivano oggi i maggiori governi europei.
Quanto poi alla verificabilità storica della affermazione "è noto che i poveri, tanto più son poveri e tanto più si odiano" e quindi non si sanno organizzare, è inutile suggerire a Vassalli qualche lettura su un tema che ha un certo spessore, perchè chi parla con tanta sicumera in genere le idee le ha innate. Gli proporrei invece l'esperimento mentale di immaginarsi di andare a ridire questa frase nei luoghi dove lavorava Chico Mendez, nel Chiapas o in una delle centinaia di organizzazioni di quartiere nelle periferie delle nostre città. C'è da scommeterci che avrebbe una accoglienza ben diversa di quella che una frase del genere riceve a una tavolata di capodanno, tra un bicchiere e l'altro e tra signori e signore da sempre incrollabilmente convinti, senza alcun bisogno che il Vassalli di turno glielo ridica, che i poveri sono poveri e anche un po' stronzi.
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