I
lettori scrivono
Da: csand@libero.it
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it>
Data: Sabato, 6 gennaio 2001 4:20
Oggetto: Intervista a Beck
L'intervista di G. Bosetti a U. Beck offre un'ottima sintesi delle
linee di fondo lungo le quali si articolano le analisi dell'autore
della Società del rischio, e consente di accostarsi al lessico di un
sociologo così originale e provocatorio. In poche battute vengono
anche anticipati i motivi discussi in modo approfondito e serrato nel
recentissimo libro-intervista Freiheit oder Kapitalismus (Suhrkamp,
2000; trad. it. in preparazione per Carocci), che ripercorre l'intero
itinerario teorico di Beck, mettendo a punto le coordinate della sua
concezione critica della "seconda modernità".
La descrizione dei caratteri di quest'ultima e della società del
rischio è lucidissima. Suscita qualche interrogativo la proposta
politica che Beck elabora a partire da questa diagnosi. Infatti:
1. E' davvero realistica la speranza (espressa appunto in Freiheit
oder Kapitalismus) che si crei un'opinione pubblica mondiale capace a
sua volta di dar vita a movimenti di protesta (movimenti ecologisti,
movimenti dei consumatori, ecc. ) tanto forti e combattivi da
correggere la tendenza a imporre sempre e comunque la logica del
profitto? Non si torna, alla fine, alla idea habermasiana della
rigenerazione di una sfera pubblica critica?
2. Nonostante la globalizzazione, tre quarti della società mondiale
sono ancora fermi a una condizione primo-moderna o addirittura pre- e
antimoderna. Si può davvero parlare, allora, di "società
mondiale del rischio", nel senso in cui ne parla Beck, cioè nel
senso di una estensione su scala planetaria delle trasformazioni
epocali che stanno investendo l'Occidente?
Ritengo comunque molto importante che la sociologia (e la sociologia
di Beck è ricchissima di spunti a questo riguardo) ragioni attorno al
concetto di "riconoscimento", come categoria utile a
immaginare la possibile convivenza tra identità differenti ma
accomunate dall'intenzione di realizzare un ordine sociale
cosmopolitico e transnazionale meno squilibrato di quello presente. Su
questo terreno i filosofi sono da tempo impegnati (penso, per la
Germania, soprattutto ad Axel Honneth e, per l'Italia, ad Alessandro
Ferrara).
Grazie per l'ospitalità
Carlo Sandrelli
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