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Le impronte della discordia



Antonio Carioti



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Quando la sinistra prende iniziative sul tema della sicurezza e dell'ordine pubblico, non mancano mai le reazioni polemiche. Ovviamente da parte della destra, che non ama le si faccia concorrenza sul suo terreno di caccia, ma anche da parte di significative componenti dello schieramento progressista, preoccupate di vedere compromessa la tutela dei diritti individuali. Se poi si va a toccare anche la questione delicata dell'immigrazione, squilla subito il campanello d'allarme contro i pregiudizi etnici. E la bufera è assicurata.

Se lo aspettava sicuramente il sottosegretario all'Interno Massimo Brutti (Ds), quando ha proposto di prendere le impronte digitali degli stranieri che chiedono il permesso di soggiorno. Subito è scattato il ricordo della sparata folkloristica con cui il leghista Erminio Boso, anni fa, propose che agli africani venissero rilevate le impronte dei piedi, in modo che se ne potesse distinguere la tribù. E mentre Giuliano Ferrara ironizzava da par suo sul "cinismo di sinistra", il senatore verde Luigi Manconi, indomito paladino degli extracomunitari, bocciava l'idea come inutile e propagandistica, oltre che in odor di xenofobia.


Più pragmaticamente Fabrizio Rondolino, sulla "Stampa", si è chiesto come dovrebbe funzionare esattamente la raccolta delle impronte digitali, facendo notare che già oggi, su tutte le carte d'identità, esiste uno spazio dove apporre quella dell'indice sinistro.

A fare chiarezza è intervenuto il ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini. L'impronta digitale sugli attuali documenti d'identità cartacei, ha spiegato, è un elemento puramente facoltativo, che "si mette se l'interessato vuole". Ovviamente ciò non avviene quasi mai. Diversa questione, ha proseguito il ministro, è invece il progetto di inserire dati biometrici in grado di identificare con sicurezza ogni singolo individuo (impronte digitali o riproduzione dell'iride oculare) nelle carte elettroniche del futuro, munite di banda ottica laser, che potrebbero essere introdotte nel giro di un paio d'anni. In tal caso però la rilevazione riguarderebbe tutti, immigrati e cittadini italiani, e consentirebbe di evitare qualsiasi falsificazione di documenti personali e permessi di soggiorno

Tornando alle impronte digitali, bisogna ricordare che già oggi vengono prese a tutti gli arrestati, di qualunque nazionalità siano, e la legge Turco - Napolitano, tanto vituperata dal Polo per il suo presunto lassismo, già prevede che vengano rilevate agli stranieri, quando vi siano dubbi sulla loro reale identità. Insomma, alla fin fine la proposta di Brutti sarebbe una novità solo per gli immigrati regolari: non va dimenticato, insiste il sottosegretario, che tra di essi vi è anche "chi distrugge il permesso di soggiorno per non essere identificato o chi utilizza l'identità di altri".

Insomma si tratterebbe di rendere la vita più difficile a coloro che, entrati nel nostro Paese attraverso canali d'accesso previsti dalla legge, poi si dedicano ad attività illecite e cercano di confondere le acque circa le proprie generalità per sfuggire più facilmente ai controlli esercitati dalle forze dell'ordine.


Per evitare di essere raggirata da questi individui, capaci di improvvisare decine di identità diverse, oggi la polizia dispone di un apparecchio avveniristico, il cosiddetto Spaid, sigla che corrisponde a "sottosistema periferico per l'acquisizione delle impronte digitali". In pratica è un computer di dieci chili (ma ben presto ne verranno realizzate versioni miniaturizzate) dotato di un sensore per la rilevazione delle impronte, che permette di verificare nel giro di un'ora al massimo se la persona fermata risulta già schedata in un'enorme banca dati, contenente milioni di nominativi. Se si tratta di uno sconosciuto, lo Spaid ne elabora rapidamente il profilo e lo invia alla centrale. Quando il sistema sarà collegato ai terminali delle altre polizie europee, nell'ambito del cosiddetto progetto Odisseo, sarà possibile esercitare un controllo capillare, senza più inchiostri e tamponi né lunghe ricerche di cartellini in archivi antiquati.

Alle prospettive fantascientifiche aperte dalle nuove tecnologie corrispondono tuttavia di frequente, nella realtà quotidiana, inefficienze dal sapore antico. Così su "Repubblica" Giovanna Casadio ha denunciato che a Gorizia, da dove ogni anno migliaia di clandestini penetrano in Italia, giacciono abbandonate le impronte digitali di circa novemila individui bloccati alla frontiera ed espulsi negli ultimi mesi. Le loro schede sono da tempo stipate in appositi contenitori, in attesa di essere memorizzate nel cervellone del Viminale.

Insomma, mentre i politici dibattono sui massimi sistemi e in alcune situazioni si sperimentano le meraviglie dell'era digitale, permangono altrove grosse sacche di arretratezza. Bisognerà convincersi, prima o poi, che le grandi riforme cominciano dalle piccole cose, anche dalla semplice capacità di tenere aggiornati gli schedari.


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