Medea, madre splatter
Antonia Anania
Nel buio e nel silenzio del palcoscenico avanza un feto illuminato,
portato da Medea, futura madre: “…Sì i figli, sì; simili al
padre! E simili alla madre siano generati. Ma la vendetta io l’ho
già pronta: ho già partorito…” Figli e vendetta entrambi
partoriti, e con loro: “Atrocità inaudite, orribili misfatti,…
sto coltivando dentro al mio cuore: ferite sanguinanti, carni
straziate, e lembi e brandelli di arti”.
Quel feto va via. E il coro viene a illuminare la fiaccola per la dea
Lucina e a cantare l’imeneo per le nuove nozze di Giasone, quelle
con Creusa, dopo che lui ha abbandonato Medea. La candela illumina la
cavea: sabbia sulla scena, ruote di bicicletta, una seggiola e una
lunga passatoia che all’occorrenza diventa reggia.

Medea di Seneca, prodotta dall’Associazione culturale ‘Gianni
Santuccio’, sarà un impegno e una geniale sorpresa per tutti coloro
che vorranno vederla. La regia è di Walter Pagliaro, che ha adattato
e ristrutturato la traduzione del testo latino di Filippo Amoroso,
secondo le esigenze sceniche e registiche. Medea è Micaela Esdra, la
voce italiana di Juliette Binoche; la nutrice è Tiziana Avarista,
Giasone Claudio Cipriani, Creonte Giuseppe Calcagno, il primo corifeo
Andrea Lavagnino, il secondo Giuseppe Butera.
“Sarà una messinscena contemporanea” aveva promesso Walter
Pagliaro alcuni mesi fa, in occasione della preparazione della
tragedia latina per il Teatro greco di Segesta (vedi articolo http://www.caffeeuropa.it/attualita/90teatro-pagliaro.html
). Ma l’improvvisa impraticabilità del teatro all’ultimo momento
aveva condizionato quella messinscena al Tempio di Segesta, con leggii
senza testi e sedie sdraio di legno, che era diventata un’emozionata
ma statica ‘lettura lirica'. Adesso, al Teatro della Villa di Roma,
la messinscena contemporanea è stata realizzata e l’effetto è
sconvolgente.
Il silenzio così come il buio e le ombre dietro le quinte si
insinuano continuamente a contrastare con lo scatenarsi delle parole,
delle grida di Medea, dei suoni, e delle musiche. Arrivano alla
ribalta personaggi preoccupati, complicati, vendicativi. Nei loro
vestiti contemporanei a noi: Medea in pitone, dentro un cappotto di
pelle nero-grigia, è una forza della natura, barbara, disperata nel
cercare di riportare a sé il suo Giasone, uomo vuoto, calcolatore,
che forse non la ama più ma le concede un ultimo abbraccio. Che è
ancora più tragico perché lei cerca di trattenerlo a sé (“fuggi
con me”), mentre lui pensa solo alle sue future nozze con Creusa, e
alle possibili ripercussioni di quell’incontro con una donna che
ormai non gli serve più: “Dobbiamo evitare i sospetti. Il nostro
colloquio sta diventando troppo lungo”.
Musica e parole, abbiamo detto. I cori diventano rap, a battito di
mani, frasi importanti sono accompagnate da vocalizzi accennati, da
canti lirici. Lo stesso susseguirsi delle parole a volte è così
veloce da sembrare un elenco di suoni, uno spartito musicale. Forse
perché gli attori sono eufonici (alcuni sono anche doppiatori), forse
perché, quando gli istinti imperversano, nessuna parola ha più
significato. Parole proferite e parole segnate sulla scena col gesso:
MONSTRUM. E Medea invece fa una malia in latino sullo scheletro di
Creusa (per chi non ha studiato latino anche questi saranno suoni).

Micaela Esdra nel cappotto di Medea è una donna-attrice potente ed
eccessiva, femmina incisiva e tragica, maga sfruttata, amante ora
rifiutata e madre inquieta. Sa che per vendicarsi di quell’uomo che
le ha tolto l’amore, dovrà uccidere i loro figli, che il re
Creonte, padre di Creusa, non le concede neppure di portare con sé in
esilio. I figli che sono ‘conforto’ per entrambi i genitori, i
figli che sono 'il punto vulnerabile', i figli abbracciati al seno e
poi fatti a pezzi e gettati ai piedi di Giasone, ormai solo. Medea
madre splatter dunque; Medea madre triste.
La regia di Walter Pagliaro è innovativa, sperimentale, e trova una
chiave nuova, cerebrale ed esasperata (nel senso positivo), per
entrare in un mito antico quasi come il mondo. Per Micaela Esdra non
ci sono altre parole: la sua Medea eccessiva e dirompente sulla scena
amplifica il dolore e la vendetta della tragica eroina.
Qualche parola invece per Tiziana Avarista, una nutrice incisiva con
un suo spazio e una sua forza, pur impotente, che viene espressa
spesso anche nell’immobilità del corpo. Anche il primo corifeo,
Andrea Lavagnino, dà tutto il meglio di sé.
L’ultima novità registica sta nel finale in cui come in una
struttura circolare sulla scena buia ritorna il feto, che stavolta ha
funzione di epilogo, perché una maternità è stata spezzata,
rifiutata, negata per vendetta, per disperazione. Ma allo stesso tempo
può forse quel feto diventare una speranza? Uno spettacolo che buca
lo stomaco, tremendo di bellezza.
Date della tourneè:
9-12 Nov. 2000: Bari, Teatro Piccinni;
24-25 Nov. 2000: Teatro Stabile dell’Umbria;
28 Nov.-3 Dic.: Circuito del Teatro Pubblico pugliese.
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