Medea nunc sum
e altre
        storie   
         
        Walter Pagliaro con Antonia Anania   
         
         
        Antigone, Elettra e Filottete di Sofocle, Baccanti di
        Euripide, Tieste di Seneca, riscritture moderne di miti come Anfitrione di
        Heinrich von Kleist (1809) e Philoctète di André Gide (1899), fino ad arrivare ad
        oggi, alla preparazione della Medea di Seneca che sarà in scena a Segesta dal 4 al
        9 Luglio. Teatro antico diretto per scelta e per passione quello di Walter Pagliaro, un
        tempo calato nellantichità, adesso invece nella contemporaneità in bianco e nero,
        alla ricerca introspettiva e continua di "chiavi e molle", come le chiama lui
        stesso, per entrare nei testi e trovarvi il senso. Testi che raccontano di angosce e
        atrocità, incesti e matricidi, vendette ed espiazioni di colpe quasi sempre ereditarie,
        amori adulteri o negati, questioni di giustizia, di politeismo, teismo e ateismo.  
         
        Tutte storie che dovevano svilupparsi mitologicamente o in tempi storici e luoghi
        geografici lontani, perché non era concesso rappresentare la realtà contemporanea; farlo
        avrebbe procurato ai tragediografi sanzioni, multe e castighi, come daltronde
        successe. Si doveva scrivere solo di miti, o almeno rivestirne la realtà, per non far
        soffrire il pubblico, per elevare le storie a paradigma e per purificare e liberare gli
        uomini (la catarsi aristotelica) dai dolori delle guerre e degli scontri politici. Doveva
        essere un momento totalmente liberatorio, trovarsi a teatro e assistere alle vicende di
        personaggi simbolo caratterizzati solo dallazione, di eroine collocabili in un
        femminismo preistorico e di eroi minati dal male o da una colpa. 
         
        Un teatro etimologicamente (il termine greco "teatro" significa "che è
        visto") e fattivamente visibile a tutti, in cui maschere, oggetti, veli, vestiti e
        ciocche di capelli sono i segni esteriori dei riconoscimenti dei personaggi sia tra di
        loro che da parte del pubblico. Ma i diademi, le collane e i mantelli, una volta intrisi
        di veleno, possono diventare anche armi letali come in Medea di Euripide e Medea
        di Seneca, in cui una donna barbara, dopo aver dato tutto al suo uomo, Giasone, viene
        abbandonata per un altro matrimonio più favorevole, quello con Creusa, figlia di Creonte,
        il re di Corinto. Piena dodio e dira nei confronti di quelluomo
        approfittatore ed egoista, Medea per vendetta ucciderà Creusa e Creonte con doni pregni
        di veleno e i figli nati dallamore con Giasone, sul tetto della reggia ormai in
        fiamme.  
         
        Incontro Walter Pagliaro al Teatro della Villa che dirige ormai da tre anni su mandato del
        Comune di Roma e dove in questi giorni fervono i preparativi e le prove della messinscena
        della Medea.  
         
        Locandine, stampe, foto di scena e le foto di Lucio Battisti, perché la sua generazione,
        racconta sorridendo, "è cresciuta anche con Fiori rosa, fiori di pesco".
        Una lampada da scrivania crea luce e ombra nel suo studio, dove a una parete cè
        incorniciata una lettera che Giorgio Strehler scrisse a Pagliaro, suo primo-aiuto per
        tanti anni, prima di affrontare da solo la carriera di regista di prosa e lirica:
        "Walter caro! Tutto il mio bene per questa sera. (
) E stato ed è molto
        dura. Ma continuiamo così. Il lavoro che fai mi sta a cuore anche se ti avrei voluto
        sempre accanto. Tu voglimi bene come sei. (
) Grazie! Giorgio" 
         
        Domanda dobbligo: secondo lei per quale motivo si continua a proporre il teatro
        antico? 
         
        Per lattualità dei suoi contenuti che sono le radici del pensiero
        contemporaneo. I miti greci sono uno dei momenti più alti del fantasticare umano,
        costituiscono le nostre origini e dunque ci appartengono. Noi entriamo in questo mondo
        mitico col senno delluomo contemporaneo e con la lezione freudiana e psicoanalitica
        novecentesca, mentre il fascino degli antichi Greci è che loro ci sono arrivati da soli e
        anzi per Freud sono stati i termini di paragone, di studio e di approfondimento.  
          
         
         
        Qual è lemozione più forte in progetti di questo tipo? 
         
        Ci sono due momenti emozionanti. Il primo è solitario, quando si capisce di avere
        lintuizione registica che possa accompagnare il testo senza sovraccaricarlo. Il
        secondo è collettivo, quando durante la rappresentazione, si avverte che il testo e la
        messinscena arrivano al pubblico. E lemozione è più forte proprio quando le
        messinscene avvengono nei teatri greci, dove sembra di viaggiare allindietro nel
        tempo, e di ritrovarsi per esempio a Siracusa insieme ad Eschilo per assistere alle sue
        tragedie. 
         
        Qual è la peculiarità della drammaturgia greca? 
         
        La drammaturgia greca è larchetipo geniale di ogni teatro. E fatale che
        quanto è venuto dopo ne sia levoluzione, così come da un corifeo (n.d.r. la guida
        del coro) si passò ai tre attori in scena e dunque alla canonizzazione del ciclo tragico. 
         
        Cè un autore di teatro moderno che si potrebbe porre a confronto? 
         
        Il confronto è impossibile, però mi piace molto lassociazione con Samuel Beckett,
        perché come gli antichi concepisce i testi come salti mortali. 
         
        Che cosa significa? 
         
        Che in entrambi i casi, i testi sfidano la mente umana, i problemi dellanima, e
        ti obbligano a iniziare un viaggio di coinvolgimento psicologico soprattutto in argomenti
        scabrosi: i rapporti col padre, con la madre, col sesso, con laltro sesso, con
        lomosessualità. Nelle Baccanti per esempio il rapporto tra il giovane re
        Penteo e il vecchio indovino Tiresia tocca tantissime zone dombra. Il regista non
        potrà mai affrontare testi del genere in modo superficiale. 
         
        Dunque testi che sfidano i registi?  
         
        Sì, la necessità di comprenderli e capirli dà la possibilità di crescere anche
        professionalmente, di confrontarsi con contenuti che sono straordinari e difficili proprio
        perché non sono realistici. E un esercizio e una sfida per la mente, un modo per
        affinare le conoscenze e le capacità intellettuali. 
         
        Quale regia di tragedie greche non sua le è piaciuta particolarmente? 
         
        Ledizione di Peter Stein della trilogia dellOrestea di Eschilo. Mi ha
        affascinato la sua intuizione di coro come ventre della tragedia. La cosa più
        impressionante è stato il lavoro sul coro dei vecchi di Argo dellAgamennone,
        per il quale Stein è riuscito a mettere insieme dodici primi attori, tra cui Gunter
        Berger, Udo Samel e Greger Hansen, e poi la presenza di Ute Lemper... In Italia invece i
        grandi attori non vengono mai a fare il coro, solo ragazzi, spesso non attori
        professionisti o agli inizi. 
         
        Quali caratteristiche di messinscena e regia si attuano per il teatro classico? 
         
        Ci sono due scuole di pensiero. Una vuole la lontananza massima rispetto al mondo moderno:
        si considerano queste opere come delle storie lontane ricostruibili e antichizzabili
        secondo congetture. Laltra vuole invece la vicinanza massima al nostro mondo, per
        accostare le opere alla realtà e alle reazioni delluomo contemporaneo. 
         
        A quale delle due scuole appartiene Walter Pagliaro? 
         
        Adesso mi sento più vicino alla seconda, per cui tendo a soggettivizzare sempre più
        queste storie. Significa averne un approccio onesto, da persona che si avvicina a un testo
        e lo attraversa con la mentalità e la cultura del suo tempo. Taluni hanno cercato di
        ricostruire, ma i documenti sono pochi e gli studi sullantiquaria teatrale, sulla
        musica che accompagnava le rappresentazioni o in generale sulla tragedia, come quelli di
        Jean-Pierre Vernant, sono per lo più congetturali. E' anche per questo che io grecizzo
        sempre meno. 
         
        E sul dibattito riguardante luso o meno delle maschere? 
         
        Io non le ho mai usate, non perché non minteressi ma perché credo che
        lutilizzo delle maschere debba avere una spiegazione registica e scenica che finora
        non ho dato. 
         
        Cè però qualcosa che vorrebbe sperimentare? 
         
        Sì, nella tragedia greca, gli attori erano tre e tutti maschi. Sulla scena,
        dividendosi i ruoli, accadeva che lo stesso attore interpretasse un personaggio e il suo
        contrario sia per sesso che per tipologia: Deianira ed Eracle nelle Trachinie di
        Sofocle, Alcesti e Ferete nellAlcesti di Euripide, Agave e Tiresia nelle Baccanti.
        Mi piacerebbe un giorno sperimentare con gli attori proprio questo gioco teatrale. 
         
          
         
        Quale sua messinscena ricorda con più soddisfazione? 
         
        LElettra di Sofocle della stagione 1998/99, perché ha funzionato
        dovunque soffrire dei cambiamenti., nei teatri allaperto (Nola, Tindari, Segesta) e
        al chiuso (Teatro della Villa a Roma). 
         
        Qual è stato il motivo di questo successo?  
         
        Avevamo centrato il senso della tragedia e dunque trovato limpostazione registica
        più giusta per il testo. Il motivo del successo è stato capire che Elettra adopera il
        dolore come arma strategica per minare la sicurezza della madre Clitennestra e del suo
        amante Egisto: più Elettra soffre, più mette in crisi i due assassini del padre
        Agamennone, fino ad agire nellinconscio della madre e a provocarle il sogno nefasto,
        profetico e distruttivo. 
         
        Dalla regia dellElettra di Sofocle arriviamo ad oggi, alla Medea di
        Seneca, perché questa scelta latina? 
         
        Innanzitutto per celebrare il bimillenario della nascita di Seneca, poi ho sempre
        pensato che il Teatro di Segesta sia più adatto alla drammaturgia senecana più di parola
        che dazione, perché è un teatro stupendamente raccolto e somiglia a un eremo di
        riflessione. Infine questanno cè il Ciclo di Teatro Greco organizzato ogni
        due anni dallINDA (n.d.r. Istituto Nazionale del Dramma Antico), al Teatro Greco di
        Siracusa: scegliere il teatro latino mi è sembrato un modo adeguato per variare sul tema. 
         
        Comè questo testo? 
         
        Arduo, da sbatterci la testa per tanto tempo: una serie di monologhi in cui cè
        una continua autoesortazione allassassinio, come se Medea si ricaricasse per poter
        compiere il delitto finale. 
         
        Quali le differenze con la Medea di Euripide? 
         
        Direi che questa è una tragedia originale, perché mentre in Euripide cè un
        continuo confronto e rapporto tra Medea e Giasone, Occidente e Oriente, tra mondo
        civilizzato e barbaro, la Medea di Seneca è una tragedia della psiche in cui vince
        lirrazionalità, il sentire più sfrenato e devastante di Medea. Inoltre le donne
        del coro euripideo sono complici attive della protagonista, in Seneca invece il coro dei
        Corinzi è più vicino a Giasone, commenta e medita e anche per questo ho pensato di
        affidarlo solo a due attori. Lultima differenza con Euripide sta nel senso di
        capovolgimento cosmico realizzato da Seneca: la parabola del regno è arrivata alla fase
        terminale, la società politica è corrotta, non ha più una consistenza etica ed è
        giusto che venga annullata. Attraverso Medea si produce il capovolgimento dei valori: la
        donna che per sua natura partorisce figli, qui diventa una donna che uccide figli. Solo
        tramite questo caos la società precedente si azzera e si potrà costruire quella nuova. 
         
        Messaggio attualizzabile? 
         
        Sì, perché oggi qualsiasi persona che ha capacità di sentire è fottuta: o diventa
        cinica o soccombe. Medea però è più attrezzata di noi: sta bene dopo aver ammazzato,
        come se avesse soppresso le capacità del suo sentire.  
         
        Che cosha Medea che manca alle donne di oggi? 
         
        La forza, ma non è soltanto questo. Medea è un personaggio complesso, totale e
        devastante, anzi più che un personaggio è un grumo di sentimenti, è il nostro
        inconscio, quindi è difficile trovare qualcosa in comune o no. Ma daltra parte mi
        viene anche da pensare a quante donne oggi uccidono i propri figli, e per quali motivi,
        poi: in alcuni casi cè stato un black out mentale dovuto alla povertà, alla
        disperazione, o è accaduto qualcosa di terribilmente grave da provocare un gesto
        irrazionale. 
         
        Cè un verso della Medea che ama in particolar modo? 
         
        Il verso 910: "Medea nunc sum", "Ora sono Medea", perché attesta
        il cammino che il personaggio fa per avvicinarsi a sé e al compimento del mito.
        Allinizio della tragedia infatti Medea aveva detto: "Fiam Medea",
        "Diventerò Medea", e solo alla fine, solo dopo aver incendiato il palazzo e
        ucciso Creusa, Creonte e i suoi due figli, potrà dire: "Ora sono Medea".  
         
        Ci svela qualche novità scenografica? 
         
        Sarà una Medea assolutamente contemporanea nei vestiti e negli elementi scenici. La
        scenografia sarà essenziale: a Segesta il pubblico viene a vedere anche il monumento e se
        glielo occultiamo potrebbe persino arrabbiarsi. 
         
        "Medea" di Seneca regia di Walter Pagliaro, con Micaela Esdra (Medea),
        Tiziana Avarista (Nutrice), Claudio Cipriani (Giasone), Giuseppe Calcagno (Creonte),
        Giuseppe Butera ed Andrea Lavagnino (Coro) 
        Dal 4 al 9 Luglio 2000, Teatro Greco di Segesta; 
        Fine Ottobre 2000, Teatro della Villa-Villa Lazzaroni, Roma. 
         
         
          
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